Affidamento dell’incarico a proporre in vendita immobili delle pubbliche amministrazioni. Problematiche e questioni applicative (di Stefano Rosati)
Accade sempre più spesso che le pubbliche amministrazioni conferiscano a un privato l’incarico a proporre in vendita, per proprio conto, compendi immobiliari di proprietà delle stesse pubbliche amministrazioni, senza esclusiva e senza che venga riconosciuta alcuna provvigione. Il punto è se tale conferimento configuri una concessione ai sensi del d.lgs. 50/2016 (nuovo Codice dei contratti pubblici) e se, in caso negativo, detto incarico possa essere o meno affidato direttamente.
Ebbene, di frequente operatori del settore dell’intermediazione immobiliare presentano alle amministrazioni una proposta finalizzata ad acquisire il mandato[1], gratuito, a proporre in vendita alcuni immobili.
Il servizio sarebbe svolto dalla società nell’interesse dell’amministrazione, senza attribuzione di alcuna esclusiva, con oneri a carico degli eventuali acquirenti. Nel contratto viene spesso anche prevista la possibilità di concedere alla società l’utilizzo di alcuni locali dell’immobile da vendere, da utilizzare come ufficio vendite.
La società incaricata verrebbe remunerata dagli acquirenti e non direttamente dall’amministrazione. Sotto quest’ultimo profilo, sembrerebbe quindi possibile una similitudine tra l’incarico che si vorrebbe affidare e la concessione di servizi[2].
Considerate le caratteristiche del servizio che l’amministrazione acquisirebbe, tuttavia, parrebbe da escludere che il contratto di cui si tratta sia sussumibile nella fattispecie tipica della concessione di servizi, difettando, a tacer d’altro, il requisito del trasferimento del “rischio operativo” che costituisce il tratto connotativo dello schema tipico in questione.
Il nuovo codice dei contratti pubblici, infatti, recependo sul punto le chiare disposizioni della direttiva 23/2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione[3], prevede infatti che le concessioni “comportano il trasferimento al concessionario del rischio operativo definito dall’articolo 3, comma 1, lettera zz” (art. 165, comma 1, d.lgs. n. 50/2016).
Tale requisito era riconosciuto dalla giurisprudenza come elemento peculiare della concessione già nell’ambito della precedente disciplina degli affidamenti dei contratti pubblici[4]. In particolare, si riteneva che detto requisito costituisse un corollario desumibile dal fatto che la concessione si caratterizza per non attribuire al concessionario, quale corrispettivo[5] del servizio reso, un prezzo, come nell’appalto, ma il diritto di sfruttare economicamente il “servizio” o questo diritto accompagnato da un prezzo[6].
Discende da ciò che la concessione è funzionale all’esternalizzazione del rischio “operativo” di gestione del servizio[7], rispondendo all’esigenza della stazione appaltante di individuare un soggetto in grado di svolgere un compito di pubblico interesse recuperando il capitale investito mediante la gestione economica del servizio stesso[8].
Di conseguenza, non è ravvisabile lo schema tipico della concessione laddove non vi sia traslazione del rischio gestionale, ovvero, come nel caso in esame, laddove la parte del rischio trasferito sia “trascurabile” (v. art. 3, comma 1 cit.)[9].
A fronte di un significativo margine di profitto, seppur eventuale in quanto connesso alla stipula dei singoli contratti di vendita, la società non assumerebbe dunque alcun rischio significativo che dovrebbe essere riequilibrato con la predisposizione di un apposito piano di equilibrio economico finanziario (v. art. 165, comma 1, d.lgs. n. 50/2016).
Per la società, infatti, la gestione del servizio rappresenterebbe un costo trascurabile, sostanzialmente incrementale, essendo i costi della commessa assorbiti dai costi fissi che l’impresa distribuisce su tutti gli affari ordinariamente gestiti[10].
Attese le caratteristiche del servizio, alla luce di quanto detto, si escluderebbe che il contratto di cui si tratta sia sussumibile nella fattispecie della concessione, sembrando invece più “prossimo” allo schema dell’appalto di servizi, del quale però difetterebbe il requisito, parimenti tipico, dell’onerosità.
Sotto questo specifico profilo, parrebbe anzi potersi escludere che il contratto di cui si tratta ricada nel perimetro del d.lgs. n. 50/2016 che, come noto, disciplina i contratti “passivi” della pubblica amministrazione[11].
Va, tuttavia, considerato che la gratuità della prestazione non implica liberalità dell’attribuzione, essendo chiaro che la gestione dell’incarico integrerebbe una chiara occasione di profitto per la società proponente, dovendosi qui piuttosto parlare di gratuità interessata[12] o comunque di contratto con rilevanza economica indiretta[13].
Configurandosi come un’occasione di guadagno per i privati, l’affidamento dell’incarico di cui si tratta si rivela come un’utilità, suscettibile di valutazione economica, e, pertanto, contendibile sul mercato che deve quindi essere attribuita nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento nazionale (imparzialità e buon andamento) ed europei (principio di concorrenza e relativi “corollari”; non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza etc.)[14].
Poiché, per le sue caratteristiche il servizio pare idoneo a suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese, l’offerta privata deve pertanto incontrare la domanda in una procedura ad evidenza pubblica[15].
L’ampiezza della nozione di “utilità economica” escluderebbe, peraltro, la rilevanza, ai fini della necessità di rispettare i principi sopra richiamati, della circostanza che nel programma negoziale non sia prevista l’attribuzione dell’esclusiva alla società proponente.
In considerazione di ciò, anche in fattispecie del tipo di quelle in esame sarebbe necessario sollecitare il mercato, pubblicando apposito avviso pubblico, per accertare se vi siano altri operatori del settore che potrebbero manifestare il proprio interesse a prestare il servizio in esame[16].
In considerazione della riconosciuta applicabilità in via analogica[17] delle disposizioni del d.lgs. n. 50/2016, sarebbe possibile anche procedere secondo uno degli schemi procedimentali delineati dall’art. 19 del codice dei contratti pubblici in tema di contratti di sponsorizzazione, tipo contrattuale assimilabile sotto il profilo causale (gratuità interessata) alla fattispecie in esame [18].
In particolare, la disposizione citata prevede che l’affidamento di simili contratti sia soggetta alla pubblicazione sul sito istituzionale dell’Ente di un avviso pubblico con il quale si sollecitano manifestazioni di interesse ovvero si comunica l'avvenuto ricevimento di una proposta di affidamento da parte di un operatore economico, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto[19].
In conclusione, in ottemperanza al principio di imparzialità e buon andamento, le amministrazioni pubbliche che intendano affidare un contratto o un incarico ‘gratuiti’ dovranno inderogabilmente sollecitare il mercato - anche dando pubblicità del ricevimento di offerte di svolgimento di incarichi da parte di operatori economici a titolo gratuito - prima di affidare il contratto.
(12 giugno 2017)
[1] In tal senso andrebbe qualificato l’incarico di cui si tratta. Secondo la Cassazione, infatti, posto che l'assenza, a carico del mediatore, di un obbligo di attivarsi costituisce una caratteristica tipica del rapporto di mediazione, il mediatore cui sia stato conferito un incarico, e si sia perciò obbligato ad agire, andrebbe in realtà classificato come mandatario, con conseguente applicabilità, nei suoi confronti, della relativa disciplina (V. Cass. Civ., sent. n. 16382 del 14 luglio 2009, secondo cui, “quando il mediatore si sia obbligato ad agire, il diritto al . . . compenso (o provvigione) . . . sorge non più, ex art. 1755 c.c., nei confronti `di ciascuna delle parti' e solo `per effetto del suo intervento', quale appunto conseguenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione, bensì a carico del solo mandante, per quanto previsto agli artt. 1709 e 1720 c.c.”).
[2] La natura giuridica della concessione è discussa in dottrina. In via di estrema sintesi, sono enucleabili due fattispecie di concessione; una implicante il trasferimento al concessionario, mediante atto autoritativo, di vere e proprie potestà pubbliche; l’altra, avente natura contrattuale, assimilabile all’appalto di pubblico servizio, dal quale differisce per il fatto che il corrispettivo è rappresentato dal diritto a gestire l’opera e/o da questo accompagnato ad un prezzo. Le differenza comunque sfumano, sotto la spinta del diritto europeo, per quanto attiene al momento dell’affidamento della concessione, essendo comunque necessario il rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, trasparenza e mutuo riconoscimento.
La produzione dottrinaria sul tema della natura giuridica delle concessioni è vastissima. Senza alcuna pretesa di esaustività, si richiamano: G. Zanobini G., Corso di Diritto amministrativo, Milano, Milano, Giuffrè, 1958, p. 261; Benvenuti F., Il ruolo dell’amministrazione nello Stato democratico contemporaneo, in Marongiu G. - De Martin G.C. (a cura di), Democrazia e amministrazione, Milano, Giuffrè, 1992, pp. 13 ss.; Ranelletti O., Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, parte I: Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Giur. It., 1894, vol. LVI, vol. IV, p. 25 e pp. 37 ss.; D’Alberti M., Le concessioni amministrative, in Enc. giur. Treccani, vol. VII, 1988, p. 2 ss.
[3] L’art. 5, par. 1, lett. a) e b), della direttiva definisce la ‘concessione di lavori/servizi’ come il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori/la fornitura e la gestione di servizi ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori/servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.
Ai sensi dell’art. 5, inoltre, l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi “comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario comporta una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile”.
[4] A partire dalla sentenza della Corte Europea del 13 ottobre 2005, causa C-458/03 - Parking Brixen GmbH, la giurisprudenza europea ha generalmente messo in rilievo come il criterio discretivo tra appalti e concessioni vada individuato nel “fattore rischio” connesso all’incertezza del ritorno economico dell’attività di gestione, che nella concessione grava sul soggetto concessionario a fronte della richiesta di un prezzo all’utenza (cfr. anche la “Comunicazione Interpretativa della Commissione Europea sulle concessioni nel diritto comunitario”, in GUCE del 29.04.2000, richiamata dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie, del 01.03.2002 n. 3944, rubricata “Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori”). Il consolidato orientamento della Corte di Giustizia e della giurisprudenza comunitaria, è stato recepito dal legislatore europeo che ha posto il requisito del “rischio operativo” come elemento tipico della concessione, in tal modo elevandolo ad elemento idoneo a chiarire lo stesso concetto di concessione e, dunque, capace di delineare più chiaramente i tratti distintivi di tale istituto giuridico rispetto all’appalto.
[5] Il codice dei contratti pubblici configura l’appalto pubblico e le concessioni di lavori e servizi come contratti onerosi (passivi per l’amministrazione) a prestazioni corrispettive. Nell’appalto pubblico il sinallagma è rappresentato dallo scambio del facere o del dare con il prezzo pattuito. Le prestazioni delle due parti sono, quindi, determinate fin dal momento della conclusione del contratto e non dipendono, come accade invece per i contratti aleatori, da avvenimenti futuri e incerti (v. Cagnasso O., Contratti commerciali, in Trattato diritto comm. pubbl. econ. a cura di Cagnasso O. e Cottino G., CEDAM, Padova, 2009, p. 665; Rubino, L’appalto, in Tratt. dir. civ., a cura di F. Vassalli, vol. VI, t. III, Utet, Torino 1980, p. 148 ss.; Rescigno P., voce Appalto, in Enc. giur. Treccani, vol. II, Roma, 1988; Luminoso A., Codice dell'appalto privato, Giappichelli, Torino, 2010, pp. 13 ss.; Bianca C.M., Diritto civile, vol. III,Giuffrè, Milano, 2000, p.464). Il rischio a cui il codice civile fa riferimento nel porre la definizione del contratto d’appalto (v. art. 1655 cod. civ. ), nell’ ambito del quale il contratto d’appalto pubblico è riconducibile, non va quindi inteso in senso tecnico giuridico (“alea” in senso tecnico), quale sopportazione del caso fortuito, ma come “rischio economico” (cosiddetta ”alea normale del contratto”) che l’appaltatore può ponderare, mitigare e prevenire approntando un’adeguata organizzazione per la gestione della commessa, in modo che il corrispettivo pattuito risulti per lui remunerativo (v. Luminoso, op. loc.cit.) L’appalto, anche quello pubblico, è quindi un contratto commutativo in quanto la misura delle prestazioni non dipende dal caso. La definizione della concessione fondata sul rischio operativo, incide sulla possibilità di predicarne la commutatività, avvicinandolo ai contratti aleatori. Il trasferimento del rischio in capo al concessionario, inteso come elemento tipico della fattispecie tipica, implica che l’entità delle reciproche prestazioni possa dipendere da fattori casuali.
[6] Sulla differenza tra appalto e concessioni sotto il profilo del rischio v., da ultimo, Ad. Plen. Cons. Stato, sent. n. 22 del 27 luglio 2016; Cons. di Stato, sent. n. 2624 del 21 maggio 2014; Cons. Stato, sent. n. 3653 del 19.08.2016; Cons. Stato, sent. n. 4682 del 4 settembre 2012; Cons. Stato, sent. n. 5068 del 9 settembre 2011.
[7] Nel codice dei contratti pubblici, il “rischio operativo” è definito come “il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito al concessionario. Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita al concessionario deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile” (v. art. 3, comma 1, lett. zz, d.lgs. n. 50/2016).
[8] V. Ceruti M., Le concessioni tra contratto, accordo e provvedimento amministrativo, in Urbanistica e appalti, 6/2016, p. 637.
[9] In tal senso, da ultimo, v. Caringella F.: “l’alea tecnica, economica e finanziaria […] viene trasferita dalla pubblica amministrazione al concessionario: pertanto se i poteri pubblici sopportano la maggior parte dell’alea l’elemento rischio viene a mancare”, in Compendio di Diritto amministrativo, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2016, p. 512. L’essenzialità della effettiva traslazione del rischio in capo al gestore ai fini del perfezionamento della fattispecie della concessione era già stata posta in rilievo nella Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni (v. Comunicazione 2000/C 121/02 dove si afferma che “In conclusione, il diritto di gestione comporta il trasferimento al concessionario dell'alea derivante da tale gestione; la ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario avviene caso per caso in base alle rispettive capacità di gestire al meglio i rischi in questione. Se i poteri pubblici sopportano la maggior parte dell'alea legata alla gestione dell'opera, garantendo, per esempio, il rimborso dei finanziamenti, l'elemento «rischio» viene a mancare. In tal caso la Commissione ritiene che si tratti di un appalto pubblico di lavori e non di una concessione”. Riferimenti anche in L’appalto pubblico e gli altri contratti della P.A, a cura di Caringella F. e Protto M., Zanichelli, Roma, 2014)
[10] Sul carattere aleatorio del contratto di concessione di servizi, v., da ultimo, Cons. Stato, sent. n. 1352 del 6 aprile 2016. Sul tema si veda, altresì, Caranta R., I contratti pubblici, Giappichelli, Torino, 2012.
[11] Il Consiglio di Stato, preso atto della mancata inclusione dei contratti cosiddetti ‘attivi’ nel d.lgs. 50/2016 citato, ha, tuttavia, precisato che i principi recati del ‘codice dei contratti pubblici’ a tutela della concorrenza si applicano in via analogica anche a tale tipo di contratto. In particolare, secondo il Consiglio di Stato, “si deve segnalare che la delega, pur prevedendo un riordino a vasto raggio, non ha incluso anche i contratti “attivi” della pubblica amministrazione (a titolo di esempio, locazioni, concessioni demaniali). Né ad essi sono applicabili “in via diretta” i principi dettati dal codice per i “contratti esclusi”, atteso che l’art. 4 del codice (come già del resto l’art. 27 del (pre)vigente codice) si riferisce ai soli contratti “relativi a lavori, servizi, forniture” che siano esclusi in tutto o in parte dal codice, e non anche ad altre tipologie. E tuttavia non sembra dubbio che i principi del codice a tutela della concorrenza siano applicabili “per analogia” anche ai contratti attivi della p.a.” (v. parere del Consiglio di Stato n. 855/2016, sullo schema di decreto legislativo recante “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione”, par. II.e.6).
[12] Secondo autorevole dottrina, infatti, l’atto di liberalità si distinguerebbe dagli atti genericamente a titolo gratuito proprio perché solo il primo sarebbe un atto economicamente disinteressato, laddove gli atti a titolo gratuito (si pensi alla fideiussione prestata da un socio in favore della propria società per consentirle l’ottenimento di un mutuo; o al premio che una società commerciale elargisca alla propria clientela più affezionata; o alla sponsorizzazione di un convegno di medicina da parte di un’industria farmaceutica; ecc.) sarebbero mossi da un interesse economico oggettivamente apprezzabile della parte che arricchisce l’altra (v. Roppo V., Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica G. e Zatti P., Giuffrè, Milano, 2001, p. 436 ss., riferimenti in Trattato delle obbligazioni, diretto da Garofalo L. e Talamanca M., vol I, t. 3,Obbligazioni senza prestazione e obbligazioni naturali, Padova, Cedam, 2015).
[13] V. Cons. Stato, sent. n. 30 del 10 gennaio 2007.
[14] La giurisprudenza amministrativa, riconoscendo alla normativa europea in materia di appalti pubblici carattere di mera attuazione dei principi generali del diritto europeo e, in particolare, del principio di concorrenza, ha in più occasioni affermato la diretta applicabilità del principio di concorrenza e dei suoi corollari ai contratti cosiddetti ‘esclusi’. Secondo la giurisprudenza amministrativa infatti “Coerentemente la giurisprudenza amministrativa considera che "i principi generali del Trattato valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate" dalle direttive comunitarie, dal codice degli appalti o da altre normative di settore, con la precisazione che anche le direttive comunitarie in materia di appalti sono attuative del Trattato e, pertanto, contengono norme puramente applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali, che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, valgono - si ripete - anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate (v. Ad. Plen., sent. n. 1 del 3 marzo 2008; Consiglio di Stato, sent. n. 2279 del 19 maggio 2008; Consiglio di Stato, sent. n. 362 del 30 gennaio 2007; Consiglio di Stato, sent. n. 7616 del 30 dicembre 2005; Consiglio di Stato, sent. n. 168 del 25 gennaio 2005).
[15] In senso conforme, v. Giovagnoli R., Obbligo di gara anche per i contratti gratuiti, in Urbanistica e Appalti, 2007, p. 721 ss. In tal senso v. anche Deliberazione ANAC n. 84/2009.
[16] Il nuovo codice degli appalti pubblici prevede espressamente che “le stazioni appaltanti non possono limitare in alcun modo artificiosamente la concorrenza allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici o, nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni, compresa la stima del valore, taluni lavori, forniture o servizi” (v. art. 30, comma 2, d.lgs. n. 50/2016).
[17] V. supra, nota 13.
[18] Il d.lgs. n. 50/2016 prevede che “l'affidamento di contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture per importi superiori a quarantamila euro, mediante dazione di danaro o accollo del debito, o altre modalità di assunzione del pagamento dei corrispettivi dovuti, è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunica l'avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell'avviso, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto dell'articolo 80.” (v. art. 19 -“Contratti di sponsorizzazione” del d.lgs. cit).
[19] D’altra parte, un chiaro indice della necessità dell’amministrazione di agire nel rispetto dei principi generali di imparzialità, pubblicità e trasparenza, si riscontra anche nel regolamento di attuazione del codice della navigazione, che è stato evidentemente assunto a ‘paradigma’ anche dal d.lgs. 50/2016 nella predisposizione della disposizione in materia di sponsorizzazione (art. 19 cit.). Nel regolamento di attuazione del codice della navigazione, in particolare, è previsto che, laddove l’amministrazione riceva una domanda di concessione, sia necessario procedere alla pubblicazione della domanda o della manifestazione d’interesse per un determinato periodo e “invitare tutti coloro che possono avervi interesse a presentare entro il termine indicato nel provvedimento stesso le osservazioni che credano opportune (v. art. 18 del Regolamento per l' esecuzione del codice della navigazione, approvato con DPR 15 febbraio 1952 n. 328).