Keep calm and carry on? (a proposito di Brexit)
di Franco Mancini
C’è una parola in Inglese che non trova un corrispettivo esatto nel vocabolario italiano: “hangover” traducibile più o meno come “postumi da sbornia”.
In 20 anni di lavoro nella City di Londra, dove è rito uscire il giovedì sera a bere birra con i colleghi, di hangovers ne ho gestiti tanti ma mai come quello con cui mi sono svegliato Venerdì 24 Giugno. E pensare che non sono uscito la sera prima, attaccato alla televisione a seguire gli exit polls del referendum. Credo che Venerdì 24 molti Britannici, e non, si siano svegliati con l’hangover. 1,2 milioni di voti hanno dato la vittoria ai “Leave” . I numeri parlano chiaro: i giovani (18-24 anni) hanno votato “Remain” , gli “over 65” hanno votato “Leave” . Se il diritto di voto fosse stato esteso ai 16/17 enni (1,42 milioni) il “Remain” sarebbe arrivato all'82%: circa 1.2 milioni di voti, per l'appunto, che avrebbero probabilmente cambiato le sorti del referendum.
Un altro aspetto aspetto statistico interessante, evidenziato nella tabella qui sotto, sta nel fatto che i giovani (età media 21 anni) con un'aspettativa di vita di 90 anni, si troveranno a gestire le conseguenze di questa decisione per i prossimi 70 anni, mentre gli “over 65” che hanno votato per uscire, solamente 16 anni.
Non so se questa volta il popolo britannico riuscirà a “Keep calm and carry on” . Almeno non sembra cosi. La Scozia parla già di un referendum per rimanere in Europa e staccarsi dal Regno Unito, così come l'Irlanda del Nord per non parlare della petizione; per annullare il referendum che in 24 ore ha già raccolto quasi 3 milioni di firme. C'è insomma non poco fermento. Il 48% che ha votato “Remain” non sembra accettare la sconfitta forte anche del fatto che molti “Brexiters” sembrano già oggi pentiti del proprio voto. Ma non solo: il motore di ricerca Google ha registrato un picco di ricerche di frasi come “Cosa è la Comunità Europea” e “Cosa significa lasciare la Comunità Europea” subito dopo la chiusura dei seggi. Inoltre, uno dei cavalli di battaglia della campagna dei “Leave” era la promessa di nuovi fondi, pari a 350 milioni di sterline alla settimana, per il National Health Service, pubblicamente smentita in diretta televisiva Il giorno successivo alle elezioni.
C’è anche un grosso dubbio sulla capacità di gestire gli effetti di una Brexit, anche perché un piano di azione a quanto pare non esiste, o almeno non è stato discusso pubblicamente. La mole di lavoro legislativo per rinegoziare i contratti commerciali con i 27 paesi dell'Unione non è trascurabile. Il governo non dispone di più di una ventina di esperti in materia di negoziazione. E si parla già di una prima possibile soluzione che vedrebbe le attuali leggi comunitarie trasformate, esattamente come sono, in leggi locali per poi, solo successivamente, iniziare l'opera di negoziazione che, a detta di molti, potrebbe durare anni.
A Londra, da dove scrivo, il malcontento è tangibile. Le dimissioni di Cameron erano a parere sia dell'opposizione che del governo in carica dovute: è - si dice da più parti - da irresponsabili scommettere sul futuro del paese per proprie ambizioni politiche. Troppo grossa la posta in gioco per metterla in mano ad un referendum. E, infine, non si cerca di convincere il popolo a votare per rimanere in Europa con lo spauracchio di una possibile recessione e crollo delle borse. Infatti, nella maggioranza dei cittadini inglesi, un certo malcontento economico persiste da tempo, e soprattutto non sono in molti ad avere risparmi investiti in borsa; per di più non scordiamoci che il modo della finanza non gode certo di molta simpatia al di fuori della City.
Ma più del malcontento, che è la normale reazione dei perdenti, il sentimento che si va diffondendo in queste ore è di vergogna. Vergogna per un voto vinto con una campagna fatta di propaganda, pregiudizi e xenofobia, tutti “valori” che il popolo Britannico è stato sempre fiero di non possedere. In altri termini, hanno vinto il populismo, il nazionalismo, la disinformazione, l'intolleranza.
“Riprendiamoci la NOSTRA nazione”, è stato lo slogan dei “Leave”. In molti oggi pensano che quella “vostra” nazione possa diventare adesso un posto inospitale per immigrati, minoranze etniche, gay e tutte quelle persone non incluse nella dichiarazione di Nigel Farage “victory for ordinary, decent people”. Ma speriamo si tratti, almeno per quest’ultimo scenario, solo di un brutto sogno, in una notte di sbronza collettiva.
(27 giugno 2016)