Il principio della domanda: insospettabile ostacolo ad un’ulteriore accentuazione come denegata della giustizia ritardata
1. Tra inefficienze amministrative e lungaggini giudiziarie: la forse anonima, ma significativa, vicenda di un concorso comunale per “funzionario tecnico di ragioneria”.
Nell’agosto del 1997 un Comune indiceva un concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di tre posti di funzionario tecnico di ragioneria. Nel bando di concorso erano previste due prove scritte e una prova orale: sarebbero stati ammessi al colloquio orale i soli candidati che avessero conseguito una certa votazione minima in ciascuna prova scritta. Nei mesi di maggio e luglio del 1998, a circa undici mesi di distanza dall’indizione del concorso, venivano adottati gli atti di nomina della commissione esaminatrice. Sorprende che tali atti, di competenza dirigenziale, promanassero da un organo politico, quale è la Giunta comunale (cfr., oggi, l’art. 107 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e, all’epoca, l’art. 51 della legge 8 giugno 1990, n. 142: ma il vizio d’incompetenza non sarebbe poi stato prospettato nel successivo contenzioso). Verso la fine del mese di aprile del 1999 – quando erano trascorsi circa nove mesi dalla nomina della commissione esaminatrice – una candidata veniva informata della sua mancata ammissione alla prova orale, a causa dell’insufficiente punteggio riportato nelle prove scritte.
Colpisce la dilatazione dei tempi di svolgimento del concorso pubblico: circa undici mesi tra la sua l’indizione e la nomina della commissione esaminatrice, quasi altrettanti tra la nomina della commissione esaminatrice e la correzione delle prove scritte.
Nel maggio del 1999 la candidata esclusa chiedeva ed otteneva l’accesso alla documentazione amministrativa relativa al concorso. Ricorreva quindi al T.A.R. per l’Abruzzo, domandando l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata ammissione alla prova orale e di tutti gli altri atti della procedura concorsuale, incluso quello di approvazione della graduatoria finale. La ricorrente lamentava, tra l’altro, l’omessa predeterminazione dei criteri per la valutazione delle prove scritte. Si costituivano in giudizio, nella loro qualità di controinteressati, i vincitori del concorso. Non si costituiva, invece, il Comune, quasi fosse disinteressato alla sorte del contestato concorso. Con sentenza depositata nel marzo 2002, il T.A.R. per l’Abruzzo respingeva il ricorso.
Il primo grado di giudizio è rimasto pendente per poco meno di tre anni: durata non giustificabile alla luce del tenore dei motivi di diritto dedotti dalla ricorrente (illegittima composizione della commissione esaminatrice, omessa predeterminazione dei criteri per la valutazione delle prove scritte, manifesta illogicità nell’attribuzione dei punteggi numerici alle prove scritte) e della circostanza che, già nel maggio del 1999, la ricorrente aveva conseguito l’accesso alla documentazione amministrativa relativa al concorso, producendola poi in giudizio. Paiono eccessivi tre anni per definire il primo grado di una causa matura per la decisione fin dalla sua instaurazione[2]; e che il T.A.R. per l’Abruzzo non ne abbia ordinato l’esibizione, trasgredendo a sua volta un preciso dovere di legge (cfr., oggi, l’art. 65, comma 3, c.p.a. e, all’epoca, l’art. 21, comma 6, della legge n. 1034/1971). Alla duplice manchevolezza si è trovato costretto a porre rimedio il giudice dell’appello[4].
Una litispendenza tanto estesa implica, peraltro, che il ricorrente sia riuscito a scansare gli effetti estintivi associati a quei meccanismi deflattivi escogitati dal legislatore sotto l’etichetta dapprima di “perenzione dei ricorsi ultradecennali” (art. 9, comma 2, della legge 21 luglio 2000, n. 205) e poi di “perenzione dei ricorsi ultraquinquennali” (cfr., oggi, l’art. 82 c.p.a., in cui è confluito l’art. 9, comma 2, cit., con le modifiche via via apportategli dall’art. 54, comma 1, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133, e dall’art. 57, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69).
Soltanto quando approdava, nel marzo del 2014, all’udienza di discussione, il ricorso in appello assumeva finalmente, per un certo tratto, un ritmo accettabile: ordinanza istruttoria del 13 marzo 2014, incombente istruttorio assolto dal Comune il 23 aprile 2014, nuova udienza pubblica di discussione (fissata con la anzidetta ordinanza istruttoria ex art. 65, comma 2, c.p.a.) il 9 luglio 2014, in esito alla quale la causa veniva spedita in decisione.
Spedita sì in decisione, ma purtroppo non ancora decisa, poiché la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver ritenuto fondato il motivo di diritto inerente alla mancata predeterminazione dei criteri per la valutazione delle prove scritte[6].
L’ordinanza di rimessione (Cons. Stato, Sez. V, ord. 22 gennaio 2015, n. 284) opinava favorevolmente: se è vero, in linea di principio, che il lungo tempo trascorso non costituisce una giusta ragione per non disporre l’annullamento, ciò sarebbe, però, prospettabile “su questioni che riguardano le persone fisiche e le loro attività lavorative (si direbbe l’esistenza libera e dignitosa di cui all’art. 36 Cost.), valutando che l’annullamento, mentre sottrarrebbe un bene della vita essenziale ad uno o più controinteressati incolpevoli[8].
All’udienza di discussione del 25 marzo 2015 davanti all’Adunanza plenaria, nella quale l’avvocato dell’appellante ribadiva la persistenza dell’interesse all’annullamento degli atti impugnati (probabilmente anche ai sensi dell’art. 82, comma 2, c.p.a.)[10].
Quanto ai tempi, nessun appunto merita, ai sensi degli artt. 75 e 89, comma 1, c.p.a.La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2015.
Venendo ora alla sentenza della Plenaria, si anticipa il principio di diritto cui essa approda: “Sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa [pronuncia] debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita”.
Ciò sulla base dei seguenti argomenti di diritto positivo. L’art. 29 c.p.a., in linea con la lunga tradizione della legislazione processuale amministrativa, ribadisce che la sanzione per i vizi di violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza (relativa) è l’annullamento ad opera del giudice, tempestivamente adito[13].
Non sono d’ausilio alla soluzione prospettata dall’ordinanza di rimessione: a) né Cons. Stato, Sez. VI, n. 2755/2011 cit., perché lì si posticipava l’eliminazione dell’illegittimo provvedimento impugnato, mentre qui si discetta di sostituzione d’ufficio della domanda di annullamento, formulata dal ricorrente, con la domanda di risarcimento dei danni; b) né l’art. 34, comma 3, c.p.a., poiché lì si contempla una sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione di annullamento del provvedimento impugnato, mentre qui si discorre di avvicendamento ex officio della domanda di annullamento con la domanda di risarcimento dei danni, a dispetto della permanenza, in capo al ricorrente, dell’interesse alla demolizione del provvedimento gravato[15], che le permettono di modulare nel tempo gli effetti delle proprie sentenze di annullamento: altro è ispirare la “giurisdizione amministrativa” ai “principi … del diritto europeo” in tema di “tutela piena ed effettiva” (art. 1 c.p.a.), altro ancora applicare una specifica disposizione dettata per il giudizio europeo al giudizio nazionale, che esibisce peraltro tutt’altra natura[17].
L’Adunanza plenaria decide la controversia deferitagli[19].
2. Osservazioni sulla sentenza.
Della sentenza n. 4/2015 si condividono: soluzione del caso concreto, ratio decidendi (come testé sintetizzata) e principio di diritto enunciato.
Non altrettanto persuasive paiono alcune considerazioni di contorno, cui si desidera dedicare qualche sintetico cenno critico.
In primo luogo, sembra irrilevante la (troppo spesso invocata?)[21]. Non milita in senso contrario la giurisprudenza CEDU sull’intima omogeneità qualitativa della funzione amministrativa e di quella giurisdizionale (accomunate dall’applicare norme a casi concreti), sia perché diretta (unidirezionalmente) a garantire un sindacato giurisdizionale sostitutivo capace di (compensare i deficit procedimentali e) assicurare piena protezione ai diritti convenzionali (e giammai a renderli cedevoli a fronte di altri interessi, pubblici o privati), sia perché mai i giudici di Strasburgo hanno messo in discussione il principio della domanda, ché anzi l’adeguatezza (al canone del giusto processo) della risposta al bisogno di tutela, da parte del giudice nazionale, va valutata in base alla domanda di giustizia sottopostagli, in concreto, dal ricorrente[23]. Né dell’uno né dell’altro si occupa Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4, contrariamente a quanto sostiene la Plenaria n. 4/2015. Addirittura paradossale è il richiamo di Cons. Stato, Ad. plen., 26 luglio 2012, n. 30: enunciando il principio di diritto secondo cui “nella gara per l’affidamento di contratti pubblici l’interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l’aggiudicazione nella stessa gara”, sicché, “anche nel caso dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell’esclusione stessa sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione”, la Plenaria n. 30/2012 ha trascurato che, sul piano sostanziale, vige la regola della segretezza delle offerte economiche nelle more della valutazione di quelle tecniche, al fine di evitare condizionamenti e influenze nello svolgimento di valutazioni tecniche già di per sé opinabili. Si tratta della stessa ratio sottesa alla (regola della) riservatezza delle sedute della commissione aggiudicatrice dedicate all’esame delle offerte tecniche e all’attribuzione dei relativi punteggi, nonché alla (ulteriore regola della) loro anteriorità cronologica rispetto alla seduta pubblica in cui vengono aperte le offerte economiche. Una tale regola sostanziale (segretezza delle offerte economiche fino all’esaurimento dell’apprezzamento di quelle tecniche) segna l’infondatezza della pretesa di mantener ferme le offerte già presentate, da parte del ricorrente che, dopo la formazione della graduatoria, ottenga l’annullamento di un’aggiudicazione disposta con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: e una pretesa non degna di accoglimento sul piano sostanziale non può trasformarsi in pretesa fondata attraverso il grimaldello del “giusto processo”[25], nella sua declinazione di interesse strumentale alla rinnovazione del concorso[27].
In ultimo, meglio avrebbe fatto, la Plenaria n. 4/2015, ad esplicitare – tra le considerazioni di contorno – una netta critica a Cons. Stato, Sez. VI, n. 2755/2011, linearmente discendente dalla seguente premessa di diritto positivo fissata in modo nitido dalla stessa Plenaria[29] (artt. 29, 34, comma 1, lett. a), 35, comma 1, lett. c), c.p.a., nonché art. 34, comma 3, c.p.a. letto a contrario)Conclusioni e qualche proposta.
In conclusione, quali indicazioni e insegnamenti si ricavano dalla vicenda qui riportata?
Sul versante amministrativo, non è efficiente un’Amministrazione che impiega quasi due anni per indire, svolgere e perfezionare un concorso per la copertura di tre posti di funzionario tecnico di ragioneria.
Non è efficiente un’Amministrazione che non si costituisce nel giudizio amministrativo di primo grado, rinunciando alla difesa della legittimità del suo concorso, revocata in dubbio dal ricorrente, né lo annulla d’ufficio senza indugio, ove lo ritenga indifendibile.
Non è efficiente un’Amministrazione che viene meno all’obbligo di produrre nel giudizio amministrativo di primo grado, anche quando non costituita, l’impugnata graduatoria concorsuale.
Raccogliendo un pressante invito metodologico[32], nel contempo eliminando l’onere (oggi previsto dall’art. 28 cit., comma 2) di sollecitare il potere sostitutivo di cui all’art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241/90 nel termine di decadenza di venti giorni dalla formazione del silenzio-inadempimento, che indebolisce irragionevolmente la credibilità del meccanismo indennitario e, quindi, la sua attitudine deterrente; b) la puntuale codificazione della rilevanza, ai fini della responsabilità disciplinare e di quella (dirigenziale) di risultato, del comportamento agnostico di chi, avendone le rispettive competenze, non difende la legittimità del provvedimento in giudizio, né lo rimuove in via di autotutela; c) l’introduzione di una sanzione pecuniaria, applicabile dal giudice d’ufficio, ragguagliata al ritardo accumulato dall’Amministrazione resistente, costituita o meno in giudizio, nell’assolvere all’obbligo di produzione in giudizio della provvista documentale di cui all’art. 46, comma 2, c.p.a.
Sul versante giurisdizionale, non è giustificabile la durata, pari a poco meno di tre anni, di un processo amministrativo di primo grado che – visti i motivi di diritto dedotti dalla ricorrente e la circostanza che la stessa aveva conseguito repentinamente l’accesso alla pertinente documentazione amministrativa, producendola poi in giudizio – avrebbe dovuto rivelarsi, fin dalla sua instaurazione, maturo per la decisione[34], ipotizzare la sostituzione d’ufficio della sua domanda di annullamento del concorso con la domanda di risarcimento dei danni, in ragione dell’impatto che la caducazione del concorso sortirebbe sulla vita dei vincitori del concorso e delle loro famiglie, in tesi sproporzionato rispetto all’attribuzione all’appellante di una semplice chance in seno alla (oltre tutto eventuale) rinnovazione del concorso.
La (“inaccettabile”) “durata del giudizio” – complessivamente pari, nella specie, a 15 anni – “non può andare a danno del ricorrente che ha ragione”, “se non a costo di infliggergli un doppio danno”[36], oltre al danno derivante dalla irragionevole durata del giudizio ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89.
Il principio della domanda impedisce il cedimento alla tirannia del tempo trascorso e l’accentuazione del profilo negativo (rifiuto, diniego) già insito nella giustizia ritardata[38].
Post scriptum: un’indicazione di metodo per gli studiosi del processo amministrativo.
Sia consentita, in ultimo, un’indicazione di metodo, utile per chi studia il processo amministrativo, in sé e nelle sue inevitabili relazioni con il processo civile. Come in quest’ultimo, anche nel primo si conoscono deroghe al principio della domanda, ma – nell’ambito di una disciplina sul punto più rispettosa del principio di legalità processuale e, per ciò solo, meno episodica – si tratta di deroghe tassativamente previste dalla legge[40], perché, così ragionando, un processo avente ad oggetto provvedimenti espressivi di poteri amministrativi finalizzati alla cura d’interessi pubblici dovrebbe essere affrancato, come regola generale, dal principio della domanda. Recentemente si è spiegata la “discordanza” tra una giustizia civile in cui l’art. 112 c.p.c. “subisce deroghe in presenza di un rilevante interesse pubblico” e una giustizia amministrativa “dove l’interesse pubblico è immanente ma non giustifica di per sé alcuna deroga” all’art. 112 c.p.a. con “la scelta di concepire in chiave marcatamente ‘impugnatoria’ la tutela giurisdizionale contro i provvedimenti della pubblica amministrazione”, concezione che postulerebbe una “resistenza naturale” del provvedimento ed esigerebbe, correlativamente, una “delimitazione rigorosa dei motivi di censura”
[2] Obbligo di esibizione incombente sull’Amministrazione resistente anche quando non costituita in giudizio: cfr., sulle ragioni di fondo, la natura e le implicazioni dell’obbligo, A. CHIZZINI – L. BERTONAZZI, L’istruttoria, in Il codice del processo amministrativo, a cura di B. Sassani e R. Villata, Torino, 2012, 701-705.
[4] Si tenga conto che, ai fini della legge n. 89/2001, il termine di ragionevole durata del giudizio di secondo grado è pari a due anni (art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001).
[6] Questione che, secondo la Quinta Sezione, avrebbe potuto dar luogo a contrasti giurisprudenziali (art. 99, comma 1, c.p.a.).
[8] Cfr., al riguardo, P. VERRI, Declaratoria di illegittimità del provvedimento ai fini risarcitori: potere del giudice o onere della parte?, nota a TAR Lombardia, Milano, 24 ottobre 2013, n. 2367, in Dir. proc. amm., 2014, 959 ss.; G. INVERNICI, I problemi applicativi dell’art. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2013, 1306 ss.
[10] Su cui cfr. F. MANGANARO – A. MAZZA LABOCCETTA, La giustizia amministrativa come giurisdizione di natura soggettiva nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2015, in Urb. app., 2015, 917 ss.; G.D. COMPORTI, Azione di annullamento e dintorni nell’ottica della soggettività delle forme di tutela, in Giur. it., 2015, 1692 ss.
[12] Al di fuori, beninteso, del circoscritto raggio di operatività dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che, secondo la tesi preferibile, ha rotto l’equazione tra illegittimità e annullabilità.
[14] L’art. 34, comma 3, cit. conferma, a contrario, quanto già limpidamente emerge dal combinato disposto degli artt. 34, comma 1, lett. a) e 35, comma 1, lett. c), c.p.a.: se accerta la persistenza dell’interesse del ricorrente all’annullamento e (dopo la procedibilità, pure) la fondatezza della relativa domanda, il giudice non può non annullare il provvedimento impugnato (cfr. D. TURRONI, Justice delayed is (not) justice denied. L’annullamento dell’atto non è “variabile dipendente” dalla durata del processo, par. 6, in corso di pubblicazione in Dir. proc. amm., n. 1/2016, ma che chi scrive ha avuto la preziosa occasione di leggere in anteprima).
La non pertinenza dell’art. 34, comma 3, cit. ha reso irrilevante, nella specie, il contrasto giurisprudenziale segnalato dalla Quinta Sezione circa la necessità o meno di una manifestazione d’interesse del ricorrente ai fini del mero accertamento dell’illegittimità di un provvedimento di cui non sia più utile l’annullamento: contrasto ben descritto da F. MANGANARO – A. MAZZA LABOCCETTA, La giustizia, cit., 924-926 e da G.D. COMPORTI, Azione di annullamento, 1696-1697 cit., ai quali si obietta soltanto che nessuna posizione, nemmeno tra le righe, ha assunto al riguardo la Plenaria n. 4/2015.
[16] Si riprende qui l’esatta notazione di A. TRAVI, Accoglimento dell’impugnazione di un provvedimento e “non annullamento” dell’atto illegittimo, nota a Cons. Stato, Sez. VI, n. 2755/2011, in Urb. app., 2011, 937 e di E. FOLLERI, L’ingegneria processuale del Consiglio di Stato, nota a Cons. Stato, Sez. VI, n. 2755/2011, in Giur. it., 2012, 2. Cfr. altresì, da ultimo, le condivisibili osservazioni di D. TURRONI, Justice, cit., in chiusura del par. 5, anche nelle note.
[18] Cfr. art. 99, comma 4, c.p.a.
[20] Frequente è, per chi scrive, l’impressione che il sempiterno dualismo ‘giurisdizione di tipo soggettivo – giurisdizione di tipo oggettivo’ affolli il campo delle questioni che valgono più a descrivere i fenomeni, magari elegantemente, che non a spiegarli.
[22] Cfr. F. GOISIS, La full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzione e nodi irrisolti, in Dir. proc. amm., 2015, 557; F. CINTIOLI, Giusto processo, CEDU e sanzioni antitrust, in Dir. proc. amm., 2015, 540-541.
[24] Così, invece, la Plenaria n. 30/2012 cit., secondo cui “la pretesa fatta valere dal ricorrente” è “quella di concorrere nella gara in cui ha chiesto di partecipare per ottenere la relativa aggiudicazione” e una “tale pretesa non può che essere soddisfatta dalla valutazione della sua originaria offerta in comparazione con le altre coevamente valutate”, mentre la “presentazione di nuove offerte” dopo “il giudicato favorevole” equivarrebbe a “mutare l’interesse finale … in un evanescente interesse strumentale … alla partecipazione ad una gara sostanzialmente nuova”, “il che non appare … aderente alla reale portata della pronuncia da lui ottenuta”.
[26] Rinnovazione a partire dalla predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove scritte, alla luce del principio dell’utile per inutile non vitiatur. Ma nulla precluderebbe al Comune, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, di ripartire dalla pubblicazione del bando o, addirittura, di annullare d’ufficio la stessa indizione del concorso, senza che neppure quest’ultima prospettiva incida sulla permanenza, in capo all’appellante, dell’interesse a coltivare la domanda di annullamento. Invero, l’interesse a ricorrere di stampo strumentale è predicabile allorché e sino a che si profili, all’orizzonte delle cose possibili, la mera eventualità della ripetizione, totale o parziale, del concorso. V’è interesse strumentale a spendere una nuova chance di conseguimento dell’anelato bene della vita fino a quando manchi la certezza dell’impossibilità di attingerlo in sede di riedizione del potere.
[28] F. MANGANARO – A. MAZZA LABOCCETTA, La giustizia, cit., 927 discorrono di “suggestioni” respinte; G.D. COMPORTI, Azione di annullamento, cit., 1695, di “decisiva battura d’arresto” per gli “annullamenti a geometria variabile”.
[30] Non importa se l’ipotesi del mancato o differito annullamento giovi o arrechi pregiudizio all’interesse del ricorrente: in ogni caso la (ammissibilità/procedibilità nonché) fondatezza della domanda di annullamento comporta l’annullamento del provvedimento impugnato, perché così è chiaramente orientato il diritto positivo.
[32] “Concorsi pubblici” che l’art. 28 cit. esclude expressis verbis dal suo ambito applicativo, con previsione invero superflua, trattandosi di procedimenti ad iniziativa d’ufficio, nei quali è l’Amministrazione che dà l’impulso iniziale mediante l’approvazione e pubblicazione di un bando o avviso.
[34] Il solo rimprovero che può muoversi all’appellante è, eventualmente, di non aver cinto d’assedio la Segreteria della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, depositandovi una o più istanze di prelievo (art. 71, comma 2, c.p.a.): ma, a ben vedere, non di vero rimprovero si tratta, sia per l’irriducibile differenza concettuale che corre tra facoltà (di deposito di istanze di prelievo) e onere, sia per l’esigenza di non banalizzare le ragioni di urgenza che, sole, dovrebbero giustificare l’istanza di prelievo.
Ma diversa, per fin troppo evidenti ragioni pratiche di salvaguardia della finanza pubblica, è la logica seguita dall’art. 54, comma 2, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 122, conv. con mod. in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al c.p.a., ove è stabilito che “la domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo … non è stata presentata l’istanza di prelievo … né con riguardo al periodo precedente alla sua presentazione”.
[36] Rinnovazione che, qualora non sopravvengano ragioni di interesse pubblico nel senso dell’annullamento d’ufficio della stessa indizione del concorso, è esigibile in sede di ottemperanza, ivi ammettendosi un accertamento incidentale della patologia contrattuale (cfr. E.N. FRAGALE, Concorsi pubblici, cit., 197-199), sulla falsariga degli approdi conseguiti in tema di appalti pubblici a ridosso del recepimento della direttiva 2007/66/CE (cfr. M. RAMAJOLI, La Cassazione riafferma la giurisdizione ordinaria sul rapporto contrattuale tra amministrazione e aggiudicatario, nota a Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169, in Dir. proc. amm., 2008, 514 ss.; M. RAMAJOLI, L’Adunanza plenaria risolve il problema dell’esecuzione della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione in presenza del contratto, nota a Cons. Stato, Ad. plen., 30 luglio 2008, n. 9, in Dir. proc. amm., 2008, 1154 ss.).
[38] Non a caso il Conseil d’Etat francese, che pure si è riconosciuto, in via pretoria, il potere di modulare gli effetti delle sentenze di annullamento, lo ha però circoscritto a ipotesi del tutto eccezionali, nei quali verrebbe altrimenti messa in crisi la “securité juridique” di interi settori dell’ordinamento: ne dà conto la stessa Plenaria n. 4/2015 e, ancor prima, A. TRAVI, Accoglimento, cit., 936, nota 2, ove anche l’osservazione che altro è limitare o escludere gli effetti retroattivi dell’annullamento – come ha fatto il Conseil d’Etat nella decisione 11 maggio 2004, n. 255886, Association AC – altro ancora astenersi in radice dal disporre l’annullamento.
[40] Cfr. D. TURRONI, Justice, cit., par. 3, anche in nota.
[41] D. TURRONI, Justice, cit., par. 5.
(27 gennaio 2016)