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Convegno “Merito e crescita”, Università Luiss Guido Carli , Roma 9 giugno 2016

Guido Corso

Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Roma Tre

 

Il merito nella Costituzione italiana

 

 

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1. Il criterio del merito nella pubblica amministrazione è previsto in Costituzione per l’eccesso agli impieghi pubblici.

Il concorso che l’art. 97 richiede comporta una selezione fra gli aspiranti che viene fatta sulla base del merito: un misto di preparazione e di intelligenza che deve essere dimostrato nelle prove d’esame. Una volta che il rapporto di lavoro si è instaurato, lo svolgimento della carriera avverrà anche in ragione dell’anzianità; a questo fa riferimento il successivo art. 98 per dire che i membri del parlamento che sono pubblici impiegati non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si vuole così scongiurare il pericolo che criteri diversi della anzianità (che ha l’obbiettività e la misurabilità propria dello scorrere del tempo) possano avvantaggiare indebitamente l’impiegato deputato o senatore.

Si può aggiungere che l’assetto attuale dell’impiego pubblico tende a escludere la stessa nozione di “promozione” e, di conseguenza, a negare rilevanza all’anzianità a fini di promozione. L’introduzione, da alcuni decenni, della progressione orizzontale, per cui l’anzianità rileva come presupposto  dell’incremento economico nell’ambito della stessa qualifica senza dar luogo a promozione, ha prodotto l’effetto, chiarito dalla Corte Costituzionale, che l’accesso alle qualifiche superiori è in realtà un nuovo accesso all’impiego pubblico, che richiede, pertanto, il superamento di un concorso. In altre parole, per accedere alla qualifica superiore non basta l’anzianità (come pure l’art. 98 Cost. lascia intendere), ma occorre ancora una volta il merito da accertare attraverso un concorso.

E il concorso – questo è un altro insegnamento della Corte Costituzionale – non può essere limitato a coloro che già sono impiegati nell’amministrazione che indice il concorso, ma deve essere tendenzialmente aperto anche agli esterni (solo una quota dei posti messi a concorso può essere riservata agli interni).

2. Il merito è uno dei criteri di distribuzione di risorse scarse. Il numero dei posti di pubblico impiegato è inferiore al numero di coloro che aspirano  ad occuparli: ecco perché è necessario procedere ad una selezione, una selezione che va fatta nella base del merito.

Non è questo il solo caso in cui la Costituzione rimanda, sia pure implicitamente, al criterio del merito.

E’ significativo il regime costituzionale dell’istruzione.

L’istruzione inferiore è gratuita: perché la scuola è aperta a tutti. Il criterio per l’accesso, in questo caso, non è il mercato, né tanto meno il reddito (la scuola non si paga) e neppure la cittadinanza: oggi molte classi dell’istruzione inferiore registrano una prevalenza di bambini e di giovani stranieri. Viceversa, ai “gradi più alti degli studi” hanno “diritto” di accedere “i capaci i meritevoli, anche se privi di mezzi”: un diritto che la “la Repubblica rende effettivo” “con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso” (art. 34 Cost.).

Qui il merito viene preso in considerazione. Anche l’istruzione superiore può essere gratuita: ma non per tutti, ma solo per i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi. O meglio coloro che sono privi di mezzi hanno diritto a beneficiare a titolo gratuito dell’istruzione superiore se capaci e meritevoli.

I capaci e meritevoli che i mezzi ce l’hanno, hanno anch’essi diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi; ma non hanno diritto alla gratuità dell’istruzione superiore. Il criterio del merito, da solo, dà diritto all’istruzione superiore: se il meritevole è privo di mezzi, ha diritto anche a ricevere gratuitamente questa speciale prestazione pubblica che consiste nell’istruzione superiore.

L’art. 34 menziona anche la “capacità”: ossia l’attitudine all’istruzione superiore, per significare che non basta il merito (ossia la buona volontà, l’operosità) se manca l’attitudine. O più semplicemente l’art. 34 Cost. ci vuole dire che capacità e merito caso sono un tutt’uno: e da questo punto di vista non dice cosa diversa dall’art. 97, considerato che il concorso previsto per l’accesso agli impieghi presso le pubbliche amministrazioni serve ad accertare non soltanto la conoscenza delle materie d’esame (frutto dello studio), ma anche la capacità necessaria per amministrare.

3. Con legge costituzionale n. 3/2001, che ha riformato l’art. 117 Cost., è stata introdotta tra le materie di competenza esclusiva dello Stato la tutela della concorrenza.

Concorrenza e concorso sono due parole che hanno la stessa radice. In entrambi i casi ci sono più persone che concorrono per un certo obiettivo nel presupposto che solo alcuni potranno centrarlo. Il premio, che nel concorso ad un impiego pubblico o ad una borsa di studio viene  assegnato da un pubblico potere, in conformità ad una valutazione espressa da una commissione esaminatrice, nella concorrenza tra le imprese produttrici di beni o di servizi viene attribuito dai consumatori.

Gli acquisti che i consumatori fanno o dai quali si astengono,  sono lo strumento che determina la posizione di ciascun produttore: la concorrenza fra i produttori li spinge a eliminarsi a vicenda offrendo i beni e i servizi migliori e più convenienti; mentre i compratori – consumatori si eliminano a vicenda offrendo prezzi più alti.

L’economia di mercato premia il merito, ossia la capacità del produttore: mentre in un’economia pianificata, in cui i produttori detengono monopoli legali, la concorrenza fra di loro si manifesta nei loro sforzi per ottenere i favori di coloro che comandano, e quindi hanno il potere di assegnare i monopoli legali ( L. Von MISES. Human Action. A Treatise on Economics, New Haven, 1949, tr. it. Milano 2010, pp. 267-268).

Non diversa, anche se in altri temi è agli antipodi, è la posizione di J. M. Keynes. Il libero gioco delle forze economiche ha i vantaggi dell’efficienza, del decentramento e dell’interesse personale: l’individualismo, purgato dei suoi difetti e dei suoi abusi, è la migliore salvaguardia della libertà personale e della varietà della vita, quella varietà che preserva le tradizioni in cui  si sono incorporate le scelte più sicure e più felici delle generazioni passate (The General Theory of Employment, Interest and Money, London 1936, tr. it. Torino, 2006, pp. 573-74).

Una società fondata sull’economia di mercato, un mercato nel quale lo Stato ha il compito di tutelare la concorrenza, premia il merito dei produttori; ed è la società, un’entità che ha varie facce, ivi compresa quella di società di consumatori, che assegna questo premio.

4. La meritocrazia non gode in Italia di buona fama. Per numerose correnti di pensiero (si fa per dire), meritocrazia equivale a diseguaglianza, sopraffazione dei più forti sui più deboli. L’Italia, si dice, è un repubblica fondata sul lavoro: solo il lavoro è titolo per la cittadinanza. Chi non lavora non ha posto – non dovrebbe avere un posto – nella società italiana. Questa tesi che il mio professore di filosofia al liceo, comunista tutto di un pezzo, sosteneva con passione, non tiene conto (oltre che del buon senso), anche di una serie di altre norme della Costituzione che integrano (e in qualche modo smentiscono) la radicale affermazione contenuta nell’art. 1.

La Costituzione parla dell’impresa (artt. 43 e 41), del risparmio (art. 47), e quindi del capitale, della terra (la proprietà terriera, art. 44); riconosce e garantisce l’esistenza di tutti i fattori di produzione (non solo il lavoro, ma anche la terra, il capitale e l’impresa); e riconosce altresì il diritto di successione mortis causa nella proprietà acquisita da altri (art. 42 co. 4).

L’eguaglianza evocata dall’art. 3 co. 7 Cost. non è l’eguaglianza dei punti di arrivo, ma l’eguaglianza dei punti di partenza. La Repubblica è tenuta ad assicurare che il nastro di partenza sia eguale per tutti, fermo restando che alla fine della corsa i partecipanti occuperanno posizioni diverse acquisite attraverso il “pieno sviluppo della persona umana”, “secondo le proprie possibilità la propria scelta” (art. 4): sviluppo e possibilità che ovviamente variano da persona a persona. Quello che la Costituzione richiede a ciascuno è di “concorrere al progresso materiale o spirituale della società”: non richiede, invece, che questo “concorso” o offerta sia eguale da parte di tutti. Un tale obiettivo sarebbe irraggiungibile dal momento che le “possibilità” sono diverse da individuo o a individuo.

5. Il merito è un criterio di distribuzione di risorse scarse (i posti di pubblico impiegato) ed è causa del successo nella competizione economica; un successo che in linea di principio giova non solo a chi lo ottiene, ma anche alla società nel suo complesso perché concorre in modo speciale al “progresso materiale della società”. Un successo, quindi, che la Repubblica auspica.

Ci sono, tuttavia, molte risorse scarse che, secondo la Costituzione, vanno distribuite secondo criteri diversi dal merito.

Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale (art. 38 co. 1); gli inabili ed i menomati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale (art. 38 co. 3); la Repubblica assicura cure gratuite agli indigenti  (art. 32); nei casi di incapacità dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, la legge prevede a che siano assolti i loro compiti (art. 30 co. 2).

In questi casi è la povertà (degli indigenti, di coloro che non hanno i mezzi necessari per vivere) che giustifica l’assistenza pubblica o le prestazioni sanitarie pubbliche; una menomazione fisica o psichica delle persone (gli inabili al lavoro) o la vulnerabilità dei minori, ai quali i genitori non possono o non vogliono assicurare le cure cui sono tenuti, fanno scattare il dovere delle istituzioni di provvedere: o con misure economiche o con programmi di formazione o con schemi di protezione dei minori i cui genitori non assolvono ai loro doveri.

Qui l’intervento pubblico prescinde dalla meritevolezza del soggetto che ad esso ha diritto. La “meritevolezza di tutela” di cui si suole parlare non esprime il merito della persona, ma descrive uno stato di debolezza involontaria della persona stessa (l’invalido, il minore, il povero malato) che costituisce il fondamento del diritto alla prestazione pubblica.

Vengono in rilievo i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2); cui corrispondono i “diritti” menzionati nell’art. 30, 32 e 38 (senza che questi articoli esauriscano l’ambito dei diritti).

E’ vero che tali doveri gravano sui “singoli” (art. 2), mentre le altre disposizioni della Costituzione sopra richiamate evocano prestazioni che sono dovuti dalla istituzioni pubbliche: ma sul piano sostanziale non c’è molta differenza perché tali prestazioni danno luogo a spese pubbliche alle quali tutti devono concorrere in ragione delle loro capacità contributiva (art. 53). Sono i cittadini contribuenti che in ultima istanza forniscono le risorse perché le istituzioni pubbliche possano assolvere ai loro compiti.

6. Esistono infine dei beni, nella prospettiva costituzionale, l’accesso ai quali prescinde dal merito, dalla povertà, dalla inabilità, dalle minore età.

Si metta a confronto l’art. 37 con l’art. 51 Cost.

Mentre agli impieghi pubblici si accende di regola mediante concorso, agli uffici pubblici e alle cariche elettive si accede in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Prescindiamo dagli uffici pubblici, che includono sia quelli cui si accede per concorso sia quelli - per es. di amministratori di enti pubblici - che vengono ricoperti da persone nominate con criteri politici. Se limitiamo l’attenzione alle cariche elettive, ci rendiamo subito conto che il criterio di investitura è esclusivamente l’elezione; la condizione di eguaglianza  non costituisce la ragione dell’investitura nella carica ma salvo solo una regola che accompagna l’elezione (il voto eguale art. 48, l’irrilevanza del sesso  art. 51, e in genere di quelle distinzioni che l’art. 3 Cost. bandisce: razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali).

Esistono cioè dei “beni pubblici” (le cariche pubbliche elettive) che vengono assegnati dagli elettori (dello Stato, dalla Regione, dal Comune), astraendo dal merito; o piuttosto il “merito” sarà quello che ciascuno elettore riconosce in colui al quale dà il suo voto. Il merito coincide di volta in volta con l’appartenenza ad una formazione politica, con l’amicizia, con la parentela, con l’aspetto fisico, con l’aspettativa di un corrispettivo (voto di scambio et similia).

Si tratta di valutazioni del tutto soggettive, in nessun caso oggettivabili come quelle che sono richiesta ad una commissione di concorso: sicché sembra del tutto improprio parlare di merito.

Detta così, sembrerebbe che i burocrati siano più “meritevoli” dei politici – almeno quei burocrati (e non sono oggi la maggioranza) che sono stati reclutati per pubblico concorso. Dal momento che i burocrati vengono scelti (dovrebbero essere scelti) in base al merito, e i politici in base alle preferenze degli elettori.

Se si approfondisce la questione, e viene assunta la prospettiva della democrazia, le cose non stanno invece in questi termini. Dal politico il cittadino si attende molto più che dal burocrate: s’attende la soddisfazione di bisogni collettivi, ma ancor prima, la individuazione dei bisogni collettivi da soddisfare con l’azione pubblica.

E la tornata elettorale successiva costituisce (dovrebbe costituire) una sorta di tribunale in cui il governo, l’amministrazione, gli eletti vengono sottoposti al giudizio dell’elettore.

È questo ciò che avviene nelle democrazie occidentali (un po’ meno in Italia). È questo, comunque, lo schema proprio degli Stati democratici nei quali la temporaneità delle cariche elettive è una regola strutturale del sistema, preordinata al giudizio sul comportamento degli eletti che i cittadini esprimono nella consultazione indetta al temine de mandato.

In definitiva. Ci sono beni che, nel quadro costituzionale, vanno assegnati in base al merito; altri che sono sottoposti a un criterio di distribuzione diverso dal merito (uno stato di bisogno che richiede una tutela); e c’è infine una nozione di merito che è peculiare alla politica ma che, al di là delle apparenze, è usata dagli elettori per giudicare  i politici eletti.

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