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A dieci giorni da Brexit: in attesa di una tempesta perfetta?

di Stefano Borghi

1.E Brexit fu

Chi lo avrebbe mai detto, che avremmo assistito anche all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

Oltre al caos che questo storico evento ha immediatamente generato sui mercati e nelle cancellerie europee, anche la stessa composizione del voto ha evidenziato una profonda spaccatura generazionale e geopolitica.

Dal punto di vista generazionale: gli under 25 si sono espressi con un chiaro 73% per rimanere nell’Unione, mentre, dal punto di vista geografico,sia la Scozia chel’Irlanda del Nord si sono espresse nettamente per il “remain”.

Anche la reazione del mercato non si è fatta attendere e la giornata di venerdì 24 giugnoverrà ricordata come una delle più nere della storia. Niente di cui meravigliarsi: quello che si apre è uno degli scenari più “confusi” che l’economia continentale si potesse aspettare. Fare previsioni su quello che può accadere costituisce un vero azzardo viste le variabili ipotizzabili, peraltro spesso interdipendenti l’una dall’altra.

Dal punto di vista strettamente finanziario quello che è avvenuto, nell’immediato e nei giorni successivi a Brexit, è stato un crollo drammatico dell’aggregato bancario che ha condizionato fortemente il nostro mercato domestico, con titoli che in questo momento sono quotati a livelli veramente bassi, e che ancora non sembrano aver toccato il punto di ripartenza.

Nonostante questi livelli di mercato, la possibilità che ci sia un aggravamento della crisi nel prossimo futuro è forte ed è legata alle decisioni che gli attori coinvolti assumeranno per stabilizzare il quadro geopolitico.

Il Regno Unito dovrebbe pagare il conto più salato in quanto la Banca d’Inghilterra si troverà a dover stabilizzare le turbolenze del proprio mercato interno e gestire una sterlina che perderà, inevitabilmente, di valore, aggravando il costo delle importazioni che si ripercuoterà sugli utili aziendali e i relativi livelli occupazionali.Questi potenziali effettisono allo studio delle società di rating, che hanno prontamente rivisto a ribasso l’Outlook sul debito del Regno Unito; passaggio, questo, che anticipa  l’abbassamento del rating stesso del Paese.

Come dicevamo anche la situazione politica è tutt’altro che chiara; quello che si apre ora è una lunga e complessa fase di negoziato fra UK e UE e, al momento, non è chiaro chi, come e in che tempi lo gestirà, da entrambe le parti. Il risultato del negoziato e i susseguenti accordi commerciali che verranno siglati, saranno poi fondamentali per capire come nel medio periodo potrà evolversi la situazione e i costi che si dovranno sostenere per la situazione che si è venuta a creare.

Peraltro, l’Unione europea ha tutto l’interesse a evidenziare l’errore commesso dal Regno Unito e, quindi, vorrà fornire all’opinione pubblica, anche dell’Unione, elementi tangibili tesi a dimostrare quanto questa scelta abbia negativamente inciso sulle tasche dei cittadini UK.

Altro capitolo fondamentale per gli equilibri finanziari continentali è l’inevitabile spostamento del baricentro finanziario europeo, fino ad oggi saldamente fissato a Londra. La scelta della sua nuova ubicazione non sarà ovviamente soltanto logistica, mapotrà fornire importanti indicazioni sul futuro della stessa Unione europea e sul suo nuovo baricentro.

2. E l’Italia …

Quasi inutile sottolineare la delicatezza del momento anche in Italia. Già il risultato delle elezioni amministrative tenutesi nelle principali città, sommato ad una situazione bancaria “un po’ ingarbugliata” (eufemismo), non aiutano certo a tranquillizzare chi prova a fare business nel nostro Paese.

Proprio in questi giorni, del resto, sulla scia della Brexit, il nostro governo sta spingendo per una modifica della disciplina bancaria europea al fine di disporre di maggior margine di manovra nel consolidare il capitale di banche che, a causa di sciagurate gestioni manageriali unite ad un contesto di recessione generalizzato, rischiano – parliamoci chiaro – il default, con i connessi costi per i cittadini e questo alimenterebbe ulteriormente il fuoco della protesta contro l’Unione europea che però, a dirla tutta, in tema di banche non è forse la prima a dover salire sul banco degli imputati.

Comunque sia, il nostro governo ha proposto di rivedere le regole sull “Bail-in” e la possibilità di un intervento diretto, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, nel capitale delle banche in difficoltà: sotto certi punti di vista una riedizione dei Monti Bond. Ma Bruxelles e la stessa Germania sembra essere freddi sull’argomento. L’estate e l’autunno si annunciano, invece, davvero caldi: il periodo estivo, da sempre, porta ad un incremento degli sbarchi dai Paesi nordafricani; poi, a ottobre, il referendum costituzionale potrebbe ulteriormente indebolire la stabilità politica del nostro Paese, con effetti economici non trascurabili, come evidenziato da Confindustria in un recente studio che sta facendo molto discutere a livello politico.

In questo quadro complessivo, si inseriscono i rapporti commerciali Italia/Regno Unito. Nel2015 il valore delle esportazioni italiane ammontava a 22,5 miliardi di euro (valore salito del 7,6% rispetto all’anno precedente e costantemente in crescita negli ultimi anni); l’avanzo commerciale nei confronti del Regno Unito si è invece attestato a quasi 12 miliardi di euro (quasi il doppio di quello registrato nel 2011). In dettaglio, i prodotti più esportati nel 2015 sono stati macchinari industriali, autoveicoli, abbigliamento, calzature, mobili e preparati farmaceutici: le esportazioni, in questi settori, hanno segnato forti trend di crescita negli ultimi anni e, anche nella prima parte del 2016, si sono confermati assai forti. In generale, il Regno Unito impatta per circa il 5.5% sul valore del nostro export; considerate anche le difficoltà che stiamo incontrando su altri mercati importanti, primo fra tutti quellorusso è fuori di dubbio che la situazione debba essere attentamente monitorata e gestita.

Provando a trarre alcune (davvero provvisorie) conclusioni, cosa ci riserva il futuro?

Sicuramente tutta questa instabilità si ripercuoterà sui mercati, che subiranno una forte volatilità. I risparmiatori non potranno, insomma, dormire sonni tranquilli; pensando a cosa è, a quanto è interconnessa, la globalizzazione finanziaria pare infatti difficile immaginare che non vi siano ulteriori conseguenze di Brexit.

Speriamo che a pagare il conto non siano, ancora una volta, le nuove generazioni; quelle che al sogno europeo (anche nel Regno Unito) continuano a credere.

 (5 luglio 2016)

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