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L'evoluzione del settore dell'energia: dalla 'nazionalizzazione' alla 'liberalizzazione' (di Guido Bortoni)

 

 Conoscere la straordinaria storia evolutiva dell’energia italiana è cosa di grande valore culturale e strategico. Strategico in quanto: <<Chi non conosce la storia resta condannato a ripeterla>>, diceva Gramsci; e ripetere la storia vuol dire anche perpetuarne gli errori commessi.

 

Ripercorrere la storiografia dell’evoluzione dalla nazionalizzazione alla liberalizzazione, and beyond, è semplice ed arduo allo stesso tempo. Sembra un ossimoro: effettivamente lo è. Da una parte, infatti, parlare di queste due ere del settore energia italiano – nazionalizzazione la prima, liberalizzazione la seconda – mettendo a nudo le rispettive caratteristiche ed in controluce i loro fondamentali è esercizio abbastanza facile, soprattutto se le si guarda in maniera asettica con gli occhi dello storico industriale. Difficile diventa, invece, compararle tra loro quando uno vive “dal-di-dentro”, pienamente immerso, in una delle due ere perdendo necessariamente il punto di vista obiettivo sulla propria.

Di più. La nostra attuale era dell’energia, quella liberalizzata, ha una dinamica ed una intensità dei cambiamenti in fieri mai vista prima nell’era nazionalizzata, dove gli intervalli di tempo tra step innovativi – tra l’altro di momento inferiore a quelli odierni - erano di gran lunga più rilassati.

Mai in cento anni di elettricità, per esempio, si erano trovati sussulti modificativi così frequenti e così inattesi come quelli degli ultimi venti. Parafrasando un passaggio ormai consolidato, è proprio vero che: <<la storia dei tempi moderni non è necessariamente più sorprendente della storia fluita nel passato con l‘unica differenza che scorre dinnanzi ai nostri occhi a velocità vertiginosa… e questo acuisce il senso di precarietà facendo perdere il senso dell’equilibrio>>.

Il mio punto di vista è in parte quello di un “fortunato” addetto ai lavori nel campo energetico che ha percorso diversi anni, sia nell’era “nazionalizzata” che in quella “liberalizzata”, in osservatori privilegiati: nelle aziende elettriche prima, nel campo degli studi e ricerche applicate poi, e -venti anni dagli albori della nuova era – nel settore della regolazione dell’energia.

Andando con ordine e scorrendo l’evoluzione del settore dell’energia elettrica, indugiando non tanto nella storia dei fatti (res gestae), piuttosto dipanando una storiografia strictu sensu, interpretativa del contesto, delle istanze, delle esigenze, degli obiettivi e dei vincoli delle due diverse ere.

La nazionalizzazione, come noto, ha origine nel 1962 ed ha come driver sotteso l’”elettrificazione” del nostro Paese. Allora, “elettrificare” significava innervare il territorio italiano, con adeguati livelli di capillarità, con un servizio elettrico fruibile da cittadini ed imprese, affidabile quanto a pubblica utilità, organizzato ed esercìto con standard industriali. Mi è capitato più volte di citare questo modello come un’applicazione del principio di specializzazione delle economie moderne al settore energetico. Ma su questo tornerò nella descrizione dell’era liberalizzata, di mercato dimostrando che questo principio oggi convive con un altro modo di fare e consumare energia.

“Elettrificazione” ai tempi significava anche assumere una scelta energetica assai coraggiosa. L’elettricità infatti era ed è tuttora - sino ad un futuribile salto tecnologico che per ora non è alle viste – un vettore energetico e non già una fonte. Siamo, invece, abituati a vedere fonti-vettori energetici (per esempio petrolio, gas, biomasse etc…) cioè le energie primarie, come si dovrebbe correttamente dire, piuttosto che una forma di energia seconda o secondaria quale è l’elettricità, che fonte non è semplicemente perché non esiste in natura in tale forma. Essa è sempre il risultato di conversione di energia primaria nei due sensi “in” and “out” nel/dal vettore elettrico.

Il vettore elettrico, poi, si fece velocemente strada, con buoni tassi annuali di crescita (2%) limitando l’espansione nel tempo di altre fonti-vettori nonostante il nostro Paese fosse caratterizzato da una forte presenza industriale estrattiva e distributiva di petrolio e gas che limitava la crescita dell’elettrico per ovvi motivi.

Vi era allora una elevata frammentazione del settore con mille operatori, ognuno dei quali sarebbe stato incapace di realizzare un disegno così importante, strategico e capital-intensive, quale l’”elettrificazione” dell’Italia. Si decise così, dopo anni di scontri e dibattiti, di nazionalizzare l’industria elettrica creando un campione nazionale anche attuatore e strumento della Strategia energetica del Paese, o meglio dei Piani energetici, come si chiamavano ai tempi.

L’Italia non era sola in questo progetto: il contesto internazionale era simile, favorevole e caratterizzato da una forte solidarietà tra sistemi elettrici, con obiettivi di sicurezza e mutuo soccorso fra Paesi. La Francia ed il Regno Unito, d’altra parte, avevano già intrapreso questa esperienza di nazionalizzazione.

Con la nazionalizzazione si sviluppa anche il concetto di rete – che oggi sembra del tutto acquisito, ma all’epoca non lo era per niente - come infrastruttura condivisa e declinata nei due tipi, nazionale e locale, ciascuno riflesso nei due segmenti, trasmissione e distribuzione, con finalità tecniche tra loro assai diverse per cogliere le diverse esigenze dei loro rispettivi utenti ma accomunate dal principio generale di rendere complessivamente un servizio elettrico sicuro, affidabile, diffuso e dal costo sostenibile per cittadini ed imprese. La rete consente di mettere in campo e valorizzare nozioni di sicurezza di funzionamento, di sicurezza di approvvigionamento, di adeguatezza, di affidabilità e di realizzare una diversificazione poli-energetica.

Inoltre, l’“elettrificazione” del Paese ebbe come effetto anche quello di sviluppare una fiorente industria elettromeccanica. In sostanza, l’Enel, il campione nazionale, fu in grado di crescere sia in termini di produzione (l’idroelettrico rappresentava un’eccellenza nazionale già fra le due guerre mondiali) che di linee elettriche lungo l’intero Paese. Oggi abbiamo più di 1,000,000 di km di rete in bassa-media tensione e 72,000 km di alta-altissima tensione.

Un ulteriore frutto che la nazionalizzazione, nelle sue forme di integrazione verticale del servizio, ci ha lasciato in eredità è la definizione di un settore disciplinato in maniera assai ordinata e completa nella normativa primaria e secondaria.

Leggi e norme secondarie hanno disegnato e profilato la vita del settore elettrico per quasi 40 anni (’62-’99), lasciando ancora oggi – nell’era liberalizzata – un ordine generale e una pulizia concettuale, sebbene l’assetto sia mutato da monopolistico a pluralistico, invidiata negli altri comparti energetici quali quello del gas. Nell’elettrico, la presenza di concessioni di servizio pubblico nelle reti fu un terreno fertile su cui sviluppare l’attuale disciplina contrattuale dei servizi gestita dai codici di rete e dai testi integrati della regolazione, ormai evoluti sino a prevalere anche in ambito sovranazionale europeo.

Rimaneva tuttavia, anzi cresceva con lo sviluppo del settore, una forte dipendenza dalle fonti primarie importate dall’estero. In primis il petrolio e il carbone. Proprio questa dipendenza e gli shock petroliferi che colpirono l’Italia negli anni ’70, spinsero il legislatore ad applicare ai consumatori una tariffa progressiva per favorire il risparmio energetico. Progressività che solo oggi questa Autorità ha eliminato, essendo radicalmente cambiati sia il contesto che gli obiettivi della politica energetica.

Cosa ha trasformato la vecchia era nella nuova?

Cinque sono – a mio avviso – i driver principali che hanno dominato e dominano la ristrutturazione profonda dei settori energetici. Driver più o meno "carsici" che affiorano e scompaiono, ma sempre attivi.

Il primo riguarda il mutamento nella governance dell’energia indotto dalle politiche pubbliche di liberalizzazione e di concorrenza introdotte a partire dalla seconda metà degli anni ‘90 per impulso europeo. Queste hanno portato al frazionamento delle decisioni in capo ad una molteplicità o pluralità di operatori che agiscono secondo logiche di mercato. Per poter delegare al mercato il raggiungimento degli obiettivi anche di interesse generale, si è reso peraltro necessario, in questi settori così pervasi da potenziali fallimenti di mercato e, al tempo stesso, così capital-intensive (e quindi esposti al rischio), prevedere un insieme di regole funzionali a indurre gli operatori ad allineare i loro obiettivi individuali all’interesse generale del sistema, strumenti che orientino le scelte degli operatori contemperando il legittimo raggiungimento del progetto individuato con i target collettivi o di sistema.

In secondo luogo, affinché il processo di liberalizzazione potesse avere successo, è stato necessario ricondurre le aziende energetiche di Stato, gli ex campioni nell’energia, una volta parti integranti delle politiche pubbliche nell’energia, a normali player nel mercato; seppure con posizioni di vantaggio e taglie da incumbent rispetto agli altri operatori ed ai nuovi entranti. Tale fenomeno, presente in tutti i Paesi sviluppati e accompagnato spesso da politiche di privatizzazione, particolarmente accentuate nel nostro Paese, ha mutato il novero di strumenti diretti per l’implementazione delle politiche energetiche, complicando il quadro di governance.

Il terzo fattore di cambiamento ha coinciso l’emersione di sensibilità e culture attente alle problematiche di salvaguardia dell’ambiente, che ha comportato l’insorgere di obiettivi ulteriori legati alla sostenibilità economico-ambientale delle forme di produzione ed utilizzo dell’energia per le attività antropiche. Questi obiettivi, impensabili solo qualche tempo fa, ma inderogabili in epoca moderna, contribuiscono a rendere la soluzione della complessa equazione energetica ancora più delicata.

Il quarto elemento di metamorfosi del settore ha a che fare con l’affermazione sempre più marcata di politiche tese alla tutela dei consumatori, o meglio dei clienti finali nei diversi segmenti di consumo e delle loro associazioni esponenziali. Ciò ha reso necessario sviluppare un nuovo modo di concepire l’accesso e l’utilizzo dei servizi di pubblica utilità quali quelli energetici. La consapevolezza sempre in crescita della c.d. domanda in termini di usi e consumi energetici, di efficienza energetica diffusa ed altro sono termini ormai significativi ed integrati della complessa governance nell’energia.

Infine, vi è un forte cambio di paradigma che interessa il settore. Come detto poc’anzi, <<C’era una volta>> la specializzazione delle arti e dei mestieri (anche) nell’industria energetica, elettricità e gas. Nell’energia, la specializzazione era ed è compatibile sia con l’industria verticalmente integrata in monopoli nazionali o locali per tutto il ’900, sia con la pluralità del mercato liberalizzato di questo secolo: monopolisti specializzati o operatori di mercato specializzati non fa molta differenza, se non per i guadagni di efficienza e l’innovazione per cui il secondo modello, il mercato, anche in Italia ha dimostrato di essere superiore al primo, i monopoli. Con uno slogan un po’ ammiccante potremmo qualificare la specializzazione con il modello “professionals-do-it-better”. Ma la specializzazione comincia ad incrinarsi quando entra in scena la sensibilità diffusa e la normativa europea sulla sostenibilità ambientale, sospinta dalle politiche di lotta ai cambiamenti climatici, che mette in campo due pilastri: le fonti di energia rinnovabili e l’efficienza energetica, strumenti per la decarbonizzazione dell’energia. Entrambe queste dimensioni sono soprattutto diffuse. In particolare l’efficienza energetica, che si implementa lato domanda, è diffusa per definizione, appannaggio non più o non solo di operatori energetici ma anche dei “non-addetti-ai-lavori”. Un nuovo modello avanza: l’“energy do-it-by-yourself”.

Ma anche le fonti rinnovabili hanno una forte componente diffusa. La generazione distribuita, 80% di origine rinnovabile, principalmente solare, nell'anno 2014, ha rappresentato quasi un quarto dell'intera produzione nazionale di energia elettrica e sta crescendo. La domanda “classica” (del modello passato), a senso unico, passiva, puri prelievi dalla rete e tutto acquisti dal mercato all’ingrosso, assume sempre più un ruolo attivo sia nel consumo che nella produzione e sospinge un profondo cambiamento di paradigma al sistema energia. Oggi i due approcci convivono nello stesso sistema. C’è infine un altro fattore abilitante dell’“energy do-it-by-yourself”: è lo sviluppo e la penetrazione dell’ICT nel settore dell’energia.

I predetti cinque movimenti carsici intervengono in un momento di forte contrazione delle economie reali; tali movimenti sono partiti da lontano ma oggi si concentrano in un momento economico “teso”. Siamo, infatti, già alla seconda ondata di crisi o in un recovery mai così lento.

Negli altri Paesi membri, il mix di questi cinque movimenti, definito o subìto dalle singole politiche pubbliche nazionali, assume diverse composizioni. Vi è da dire che la sussidiarietà nazionale ha generato molte differenze tra Paesi, legittime perché rispettose delle peculiarità nazionali, ma pur sempre eterogenee se viste col traguardo del Mercato Unico Europeo.

Per quanto riguarda l’Italia, nell’elettricità il driver principale del cambiamento è stato, fino ad ora, il tumultuoso e non pianificato sviluppo delle fonti rinnovabili elettriche. Il cambiamento repentino del parco di generazione ha comportato modifiche non trascurabili nelle modalità di funzionamento dei mercati, facendo emergere criticità che fino a poco tempo fa, seppure presenti, non erano ritenute preoccupanti e che, se non affrontate con decisione, potrebbero arrivare a mettere a rischio la stessa sicurezza del sistema. Il completamento del processo di decarbonizzazione della produzione di energia elettrica e, in particolare, l’integrazione di una quota sempre crescente di fonti rinnovabili richiede il superamento di tali criticità, con lo sviluppo di un nuovo paradigma del mercato. A tal fine si stanno rivedendo i meccanismi di funzionamento dei mercati stessi, anche riflettendo complessivamente sul ruolo dei diversi soggetti coinvolti, inclusi i piccoli consumatori.

A differenza del settore elettrico, nel caso del gas, la spinta principale al cambiamento è venuta fino ad ora dalla ristrutturazione ed integrazione dei mercati europei, insieme ai profondi cambiamenti in corso nella struttura mondiale dell’offerta di gas, piuttosto che dalle politiche per la sostenibilità viste nel caso elettrico. Il nuovo assetto di regole in approvazione in ambito europeo sta modificando profondamente le modalità di funzionamento del mercato. Il primo impatto importante si ha con riferimento ai contratti di lungo termine per l’approvvigionamento di gas naturale, per i quali si prospetta l’accelerazione di una crisi che trova le sue radici nello stesso processo di liberalizzazione. Di fatto, siamo oggi in una fase di rinegoziazione dei contratti già conclusi in termini di volumi e prezzi, e di riflessione sul ruolo dei contratti di lungo periodo nel nuovo contesto. Lo spostamento verso modalità di utilizzo delle reti e di approvvigionamento più orientato alle flessibilità comporta il progressivo cambiamento delle condizioni di funzionamento dei mercati a valle dentro all’Europa ed avrà un impatto sulla relazione tra la stessa Europa ed i Paesi produttori. A questa profonda mutazione è necessario affiancare un contesto normativo-regolatorio all’altezza delle nuove esigenze.

Dunque, nella transizione, anche la regolazione deve cambiare e sta cambiando. Tale cambiamento è spinto dalla ricerca di un nuovo equilibrio tra politica energetica, politica ambientale, regolazione e mercato, in un contesto in cui gli obiettivi di sostenibilità ambientale dei sistemi energetici diventano sempre più importanti e si incrociano con obiettivi di politica industriale. La trasversalità delle tematiche ambientali richiederà in misura crescente un approccio multisettoriale e multilivello. L’ambito di definizione delle regole si sta, inoltre, spostando sempre di più dal livello nazionale a quello europeo e, per certi limitati aspetti, globale. La partecipazione attiva e consapevole al processo di definizione delle nuove regole diventa, quindi, condizione necessaria per assicurare coerenza tra gli obiettivi europei e le realtà nazionale.

Nei settori regolati e liberalizzati il vero lavoro è quello di porre in essere strumenti e meccanismi basati possibilmente su approcci di mercato o, comunque, compatibili con le logiche concorrenziali e volti in primis ad orientare le libere scelte individuali degli operatori verso obiettivi di carattere sistemico. Intendo dire che nei settori sottoposti a regolazione indipendente è lo stesso Regolatore che costruisce la parte strumentale attuativa della politica energetica.

Traducendo in altre parole, nel comparto dell’energia, il quadro strategico è competenza del Governo/Parlamento, gli strumenti posti in essere per l’energia elettrica e il gas naturale sono del Regolatore.

Questo assetto apporta diversi vantaggi. Il Regolatore indipendente disintermedia il decisore politico garantendo agli operatori di mercato, nel contempo: ininfluenze dei cicli politici dalla ricerca del consenso sui settori e sui mercati; non discriminazione fra operatori, se alcuni di essi fossero partecipati dallo Stato; indipendenza e competenza nei riguardi degli operatori che rende difficile la “cattura” del regolatore grazie alla sua grande leva di professionalità. Il Regolatore informa la propria azione decisoria a principi e criteri generali noti a tutti e, in sede di applicazione di questi, li declina sempre in consultazioni preventive che costituiscono un pilastro della prevedibilità della sua azione. Il Regolatore specializzato tende a “curare” il proprio settore con ricette stabili su orizzonti medio-lunghi, compatibili con la dinamica e la redditività degli investimenti dai lunghi tempi di ritorno. Ciò attrae gli investitori anche dall’estero e può, in questo modo, costituire un fattore di crescita. Il Regolatore monitora costantemente il proprio settore ed è quindi in grado di reagire alle criticità molto velocemente, anche in maniera flessibile in ragione del contesto. Il Regolatore, proprio perché vigila nel rispetto della propria regolazione e fa il proprio enforcement della medesima, è in grado di sorvegliare costantemente fenomeni occorrenti nei mercati e nelle infrastrutture.

Infine, il modello di regolazione dei maggiori Paesi membri è incentrato sulla tutela del consumatore. In altri termini, il Regolatore fa gli interessi della domanda ed è quindi sbilanciato a favore di quest’ultima. Questo garantisce che la regolazione attuativa della politica energetica sia polarizzata sui soggetti del consumo, facendosi portavoce delle finalità della domanda.

Cosa dire per concludere? Un concetto molto semplice che valorizza ancora una volta la necessità di capire bene quali sono state le luci ed ombre delle diverse ere dell’energia italiana ed europea per interpretare tempestivamente quelle di oggi. Nell’energia, in particolare, si possono sempre cogliere diversi segnali che derivano dai c.d. “fallimenti eleganti”, le criticità e le difficoltà del sistema energia. Coglierli e capirli significa avere la possibilità di apportare – per tempo - le necessarie riforme e correzioni per evitare che essi diventino cronici o, peggio, si trasformino in profili insanabili. Concludo davvero con il migliore augurio che posso rivolgere a tutti gli “energetici” di ogni tempo e grado: studiamo in profondità le vicende delle fasi energetiche fin qui vissute e rimaniamo in ascolto della realtà delle cose anche quando asseconda le nostre aspettative, ma soprattutto non manchi mai il coraggio di affrontare le necessarie scelte riformatrici.

Dalla LECTIO MAGISTRALIS tenuta presso la Luiss School of Law - Corso di perfezionamento in DIRITTO DELL’ENERGIA

Anno Accademico 2016/2017

 (5 giugno 2017)

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