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Riutilizzo delle acque e servizi ecosistemici: un’analisi critica per una governance più sostenibile (di Francesco Fatone e Andrea Guerrini)

I modelli di governance e di regolazione rappresentano un elemento chiave per incentivare la realizzazione di sistemi di economia circolare all’interno del settore idrico. Sia il recupero di materie e di energia dai fanghi di depurazione, sia il reimpiego dell’acqua trattata per finalità agricole ed industriali, pur essendo prassi virtuose da un punto di vista ambientale, necessitano di un ritorno anche da un punto di vista economico per poter essere attuabili.

Ad oggi, i sistemi di governo e di regolazione sviluppati nei paesi Europei non prevedono tuttavia significativi elementi incentivanti e necessitano di una profonda revisione per poter rispondere alle richieste del mercato e favorire una maggiore sostenibilità ambientale.
In Italia, il metodo tariffario definito da AEEGSI, pur non disciplinando le buone prassi di economia circolare, offre alcune opportunità sia per il recupero di materie dai fanghi, sia per il reimpiego di acqua trattata. Il recupero di materie da acque reflue e fanghi può rappresentare “attività non idrica”, che tuttavia utilizza le infrastrutture del servizio idrico, come gli impianti di trattamento delle acque reflue. Il reimpiego di acqua trattata per la vendita per uso industriale o agricolo va inquadrata come “altra attività idrica”. Da un punto di vista tariffario, il metodo tariffario idrico 2016-2019 (delibera AEEGSI 664/2015/R/idr) i costi di struttura (CAPEX) e quelli di gestione (OPEX) degli impianti dedicati ad entrambe le attività sono da coprire mediante la tariffa del servizio idrico integrato, pagata dalle categorie di utenza domestica e industriale. Con riferimento alle “altre attività idriche”, l’eventuale differenza positiva tra i ricavi ed i costi realizzata è trattenuta dal gestore al 50%, mentre la restante metà contribuisce a ridurre la tariffa. Diversamente, per le “attività non idriche”, l’assenza di una disciplina specifica prevista dal metodo, farebbe propendere per la possibilità di trattenere il 100% dei margini realizzati dal gestore.
A ciò si aggiungano le disposizioni del D.M. 185/2003, che nel disciplinare il riuso delle acque, prevede che per finalità di riuso in agricoltura (art. 12, c. 2) “L’acqua reflua recuperata è conferita dal titolare dell’impianto di recupero al titolare della rete di distribuzione, senza oneri a carico di quest’ultimo”.
L’attuale quadro regolatorio offre dunque maggiori incentivi al recupero di materie rispetto al riuso di acqua trattata per finalità industriali ed irrigue. Se a ciò si aggiunge che i canoni per l’utilizzo di acque pubbliche stabiliti a livello regionale sono sempre inferiori ai costi del trattamento acque, è possibile comprendere i motivi per cui il riuso delle acque in Italia è limitato a poche realtà. Stando ai dati di uno studio sull’Unione Europea (Updated report on wastewater reuse in the European Union, 2013), in Italia il riuso ai fini agricoli interessa circa 4.000 ettari, distribuiti tra Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia, e Sardegna. Tra i pochi progetti di riuso per finalità agricole sviluppati su scala industriale si annovera quello del depuratore di Nosedo, che distribuisce acqua ad un prezzo simbolico al Consorzio Irriguo Vettabbia, formato da circa 90 agricoltori.
In presenza di modelli incentivanti da un punto di vista della regolazione, i vantaggi generati dal riuso sono molteplici. Studi di tipo agronomico (Gatta et al., 2014; Bedbabis et al., 2015) dimostrano che l’impiego di acqua trattata per finalità irrigue non causa danni alle coltivazioni, ed in alcuni casi migliora le proprietà organolettiche del raccolto. Sul fronte della produttività, Lonigro et al. (2015) evidenzia come la produttività dei raccolti migliori notevolmente grazie alla presenza di maggiori nutrienti nelle acque reflue rispetto a quanto contenuto nelle acque superficiali e di falda. La pratica del riuso incrementa poi il livello delle falde acquifere e, in zone costiere, ne migliora la qualità, riducendo la presenza del cuneo salino. Da un punto di vista ambientale, poi, l’implementazione di trattamenti terziari, necessari per il riutilizzo in agricoltura, migliora la qualità dei reflui scaricati in ambiente, generando potenzialmente esternalità positive.
Alla luce di tali condizioni, le pratiche del riuso hanno un bilancio positivo tra costi e benefici se attuate in zone caratterizzate da scarsità di risorse idriche (Arborea et al., 2017; Verlicchi et al., 2012): il valore economico generato dalla possibilità di coltivare colture ad elevato fabbisogno di acqua, ed i positivi impatti ambientali.

Diversamente, nei contesti in cui l’agricoltura soddisfa i suoi fabbisogni utilizzando acque pubbliche, è necessario che gli enti pubblici e di regolazione sperimentino dei modelli incentivanti, volti ad indurre gli agricoltori all’acquisto di acqua trattata, in alternativa all’emungimento da pozzi o da bacini.
Soluzioni innovative volte a promuovere l’economia circolare potrebbero tuttavia seguire anche un approccio “bottom up”, ed essere direttamente attuate, ad esempio, da water utilities ed agricoltori. Se, alla luce dell’attuale quadro normativo, l’utilizzo di acqua pubblica è ancora più conveniente rispetto all’impiego di acqua trattata, i gestori idrici possono comunque effettuare dei revamping sui propri impianti, al fine di ottenere delle acque in uscita nel rispetto dei parametri per il riuso di cui al D.M 185/2003. Dal momento che i costi di tale investimento sarebbero interamente coperti con la tariffa del servizio idrico integrato, il gestore idrico potrebbe vendere l’acqua agli agricoltori ad un prezzo simbolico, inferiore ai costi del trattamento (come accade a Nosedo), o cederla gratuitamente. A tali condizioni gli agricoltori avrebbero tutti gli incentivi per non utilizzare altre fonti di acqua più pregiate, evitando di pagare il relativo canone alla regione. Nell’ambito di tale accordo tra gestore ed agricoltori, il gestore del servizio idrico che effettua anche il recupero di nutrienti dai fanghi di depurazione, potrebbe vendere fertilizzanti ad un prezzo remunerativo, tenuto conto anche delle marginalità assorbite dalle aziende agricole con la cessione gratuita di acqua.
Tale soluzione “dal basso” vedrebbe integrate le due prassi citate di economia circolare, generando valore economico per tutti gli attori della filiera e creando impatti positivi dal punto di vista ambientale, generati da una migliore qualità dei fanghi e delle acque in uscita dagli impianti di depurazione.
In alcuni casi, qualora le tecnologie per il trattamento prevedessero l’impiego di sistemi naturali, tali esperienze di economia circolare potrebbero generale anche impatti positivi dal punto di vista sociale. Nell’area di Ferrara, ad esempio, è stato presentato un progetto per il riuso di acqua in agricoltura che prevede, tra l’altro, la creazione di bacini artificiali all’interno di un parco pubblico. Verlicchi et al. (2012), nel quantificare i costi ed i benefici del progetto, quantifica i benefici sociali, mediante una contingent valuation analysis incentrata sul valore assegnato dai cittadini alla riqualificazione di un’area destinata al verde pubblico. In questo caso sarebbero sinergici anche servizi ecosistemici.
I servizi ecosistemici rappresentano i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano.
L’acqua, ad esempio, offre i suoi servizi ecosistemici sostanzialmente attraverso la fornitura di acqua, di cibo, energia elettrica, materia prime, conservazione della biodiversità, regolazione climatica, regolazione del regime idrologico, e dell’inquinamento.
La crescita della popolazione mondiale, lo sviluppo economico, ed i cambianti climatici sono destinati a depauperare le risorse idriche ed i relativi servizi ecosistemici da queste offerti all’uomo (Terrado et al., 2016). Per tale motivo è fondamentale che la normativa in campo ambientale ed i modelli di regolazione prevedano opportune forme per la conservazione della risorsa e per la copertura dei costi ambientali.
L’articolo 9 della Direttiva Water Framework stabilisce che tutti gli stati membri devono definire dei modelli tariffari improntati al principio del Full Cost Recovery, includendo tra i componenti di costo anche quelle ambientali e della risorsa.
Nel campo dei servizi idrici, la delibera AEEGSI 664/2015/R/idr che disciplina il metodo tariffario per il periodo regolatorio 2016-2019, prevede che la tariffa del servizio idrico copra i costi ambientali e della risorsa, derivanti dalla “valorizzazione economica dalla riduzione e/o alterazione delle funzionalità proprie degli ecosistemi acquatici, tali da danneggiare il funzionamento degli ecosistemi acquatici stessi e/o alcuni usi degli ecosistemi acquatici e/o il benessere derivante dal non-uso di una certa risorsa”.
Così, ad oggi, i gestori idrici possono imputare in tariffa: i costi ambientali e della risorsa endogeni, esplicitando le voci di costo operativo riferite alla depurazione, alla potabilizzazione e alle operazioni di telecontrollo; ed i costi ambientali e della risorsa esogeni o aggiornabili, valorizzati esplicitando gli oneri locali quali i canoni di derivazione/sottensione idrica, contributi per consorzi di bonifica, contributi a comunità montane, canoni per restituzione acque, oneri per la gestione di aree di salvaguardia.
Nonostante tale opportunità offerta dal sistema tariffario, sono pochissimi i gestori che hanno introdotto elementi di costo basati su una valutazione economica dei danni agli ecosistemi in conseguenza dello sfruttamento della risorsa idrica e in assenza di un efficace sistema di collettamento e trattamento reflui.
Alcune Regioni hanno cercato di incentivare il pagamento per i servizi ecosistemici (Payment Ecosystem Services) mediante specifiche leggi regionali: la legge regionale del Piemonte 20 gennaio 1997, n. 13 prevede che l'Ente di Governo d'Ambito destini una quota della tariffa, non inferiore al 3 per cento alle attività di difesa e tutela dell'assetto idrogeologico del territorio montano; la legge regionale del Veneto n. 17 del 27 aprile 2012, prevede similmente che i consigli di bacino dedichino una quota di investimento alle comunità montane per la realizzazione di specifici interventi di tutela dell’assetto idrogeologico del territorio montano.
In Emilia-Romagna, il gestore grossista Romagna Acque ha attivato uno schema di pagamento per incentivare i proprietari dei boschi ad adottare tecniche volte al contenimento della riduzione del suolo. L’ammontare del pagamento, pari inizialmente a 200 €/ha, corrisponde al 7% dei ricavi per la gestione delle risorse idriche ed è incluso tra i componenti di costo ambientali previsti dal metodo tariffario.
A livello internazionale sono ben note le esperienze dell'azienda municipalizzata per la fornitura di servizi idrici della città di New York, che ha incentivato economicamente i proprietari delle foreste presso cui si trovano le fonti di approvvigionamento idrico a gestire i propri boschi per ottimizzare il mantenimento del deflusso idrico. Il Germania, il water penny riguarda 12.000 aziende agricole e rappresenta un PES volto ad abbassare l’inquinamento della falda acquifera, incentivando gli agricoltori a non utilizzare fertilizzanti chimici.
Il valore generato dai servizi ecosistemici include il valore d’uso, dato da una maggiore disponibilità della risorsa idrica, di migliore qualità, e con un flusso costante, che permette al gestore di contenere i costi per la costruzione di complessi impianti di captazione, potabilizzazione e accumulo della risorsa. Oltre al valore d’uso deve essere considerato anche un valore non derivante dall’impiego della risorsa idrica, e legato ad aspetti culturali, ricreativi, e ambientali che contribuiscono a migliorare la qualità della vita degli esseri umani.
Come per le pratiche di economia circolare, anche per i servizi ecosistemici possono essere utilizzate varie tecniche per misurarne il valore, come l’analisi dei costi, l’analisi costi-benefici, e la contigent valuation analysis, che prevede un coinvolgimento degli stakeholder al fine di commisurare la disponibilità dei cittadini/utenti a pagare una maggior tariffa del servizio idrico per garantire la salvaguardia degli ecosistemi.
In conclusione è evidente come le soluzioni eco-innovative e le pratiche di economia circolare hanno attualmente elevata affidabilità tecnica, ma ancora scarsa applicazione per sistemi regolatori e di governance che includano l’intera catena del valore circolare. Ad esempio, si dovrebbe tendere ad includere le associazioni di agricoltori o di (ri)utilizzatori finali delle acque depurate nella gestione delle acque reflue, puntando ad una partnership pubblico-pubblico o pubblico-privato che sia unico interlocutore del regolatore.
Occorre inoltre una regolazione più analitica sia del riuso sia dei servizi ecosistemici, sia con riferimento ai parametri degli inquinanti per la prima (riuso), su cui la Comunità Europea sta già lavorando per fissare minimi standard di qualità, sia con riferimento alle politiche tariffarie. In effetti è probabilmente iniquo far pagare i costi del riuso in agricoltura agli utenti del SII, come previsto dal DM 185/2003. Al contempo, i canoni di emungimento pagati attualmente dagli agricoltori rendono insostenibile applicare una tariffa che ottemperi al principio del full cost recovery. Quindi è probabilmente necessaria una regolazione tariffaria del riuso, inquadrando il riuso stesso all'interno delle attività idriche, ed al contempo occorre un sistema di incentivi volto a rendere più conveniente per gli agricoltori il riuso rispetto all'emungimento, qualora le regioni ed i consorzi di bonifica lascino invariati i canoni e le tariffe per l'acqua ad uso irriguo.
(3 ottobre 2017)

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