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Le autorità indipendenti come hub della classe dirigente (amministrativa, professionale, tecnico-economica) (di Guido Bortoni)

“Coltivare e custodire” una classe dirigente è, da un lato, l’obiettivo principale per un Paese occidentale moderno e, dall’altro, è diventato per l’Italia il problema dei problemi.

 

Obiettivo in quanto – come dice l’abstract della giornata - la classe dirigente politica, amministrativa, professionale, tecnico-economica, culturale – ed io aggiungerei sociale – costituisce lo strumento principe mediante il quale si realizza l’execution ai vari livelli sia nel socialis che in ciascun privatus. Il termine Execution, infatti, comprende l’accezione italiana “dirigente” ma ha un significato più ampio. Se riportato in Italia la parola Execution – ai nostri fini - può voler dire “funzionamento”, o meglio in maniera potenziale “Funzionalità” ma – e questo è molto importante – funzionalità con garanzia di risultato.

Infatti nella parola Funzionalità sono ricomprese, sia pure in maniera generica, sia l’attività necessaria inclusiva dei mezzi utilizzabili sia il fine cui si tende. Insomma, non ci si riduce unicamente al “moto” tanto per muoversi, per tenere vive certe competenze ma si persegue il moto “a risultato”. Da qui l’importanza di vedere sempre la classe dirigente come quell’insieme di risorse e strutture che lavorano con obbligazione di risultato. Ci torneremo tra poco parlando dei problemi della classe dirigente, con particolare riferimento al nostro Paese.

In ogni caso  non serve una Funzionalità qualunque! Sappiamo che nelle società moderne deve radicarsi una Funzionalità selettiva. Ciò a seguito dell’applicazione del sano e sempre-vero principio della specializzazione delle arti e mestieri (si diceva una volta), cioè quello per cui tutti non possono fare tutto o - in altro modo più rispettoso delle libertà e dei talenti di ognuno - è meglio che i singoli facciano quello che riescono a fare meglio, potendo convivere con altrettanti individui specializzati scambiandosi beni e servizi. Questo assetto specializzato è all’origine del concetto di co-munità (com-munus), cioè di quel gruppo di persone in cui nasce e cresce (si coltiva e si custodisce) “qualcosa di olistico” rispetto alle singole capacità individuali. L’olistico supera la semplice linearità della somma delle singole capacità e attiva le non linearità (meglio: le progressività) degli individui specializzati che fa sì che il valore moltiplicativo, olistico e progressivo si manifesti straordinariamente maggiore della somma delle individualità. Quando questo senso di munus, di plus olistico si smarrisce ci sono problemi importanti che fanno anche capo alla classe dirigente incapace di palesarli e renderli disponibili o visibili alla società. Su questo dirò in conclusione in relazione al rapporto Italia-Europa.

È dunque la specializzazione che presiede alla selezione delle persone che possono fare la classe dirigente del Paese nei diversi comparti, compreso quello pubblico. A mio modo di vedere, è sbagliato a questo punto far coincidere il concetto di élite con quello di classe dirigente se alla parola élite facciamo corrispondere la sua accezione deteriore ma purtroppo insita nel linguaggio comune: sembra infatti che l’élite debba essere un insieme chiuso e inaccessibile.

Per me vale il contrario. L’obiettivo della selezione della classe dirigente equivale a porsi costantemente in ricerca dei c.d. Aristoi (i migliori, anche qui nella migliore accezione del termine) per “fare un certo mestiere” e tale ricerca è più efficace se viene espletata davvero sulle capacità e nell’ambito più grande possibile della società. Ecco perchè il campo di formazione e di cernita degli Aristoi deve essere aperto ed accessibile. Di più. Deve essere prevista l’uscita dinamica dall’insieme degli Aristoi, pena il ritrovarsi con una classe dirigente “congestionata”, senza ricambio, destinata inevitabilmente alla saturazione dei posti e dunque alla chiusura ed alla inaccessibilità. Qualcuno potrebbe obiettare come tale visione trascuri i valori dell’anzianità e dell’esperienza in un certo mestiere. Ciò sarebbe una vera perdita solo se il contesto fosse immutabile e non soggetto a cambiamenti. Ma sappiamo che così non è: la realtà da gestire, su cui fare Execution, muta e mutevoli o adattative devono essere anche le capacità degli Aristoi medesimi. Pertanto, l’immagine teorica o la metafora più adeguata per descrivere la classe dirigente è quello di un “flusso” equilibrato (con permanenze ragionevoli nella stessa funzione) di Aristoi costantemente selezionati, piuttosto che un bacino stagnante senza affluenti ed effluenti. Qui mi permetterete di sollevare un caso personale. È nota a tutti la mia forte determinazione nell’attivare un ricambio effettivo al vertice dell’Autorità per l’energia, ancor più forte del vincolo giuridico della non rinnovabilità dopo 7 anni di mandato. Ciò non è in base ad un capriccio personale o ad una disaffezione alle tematiche della regolazione dei servizi pubblici energetici ed idrici, bensì ad una profonda convinzione che in questa fase storica ci possono essere Aristoi “migliori” del sottoscritto ed è corretto che lo Stato li trovi e li selezioni. Dunque quanto dico qui non risulta solo frutto di elaborazioni teoriche sulla classe dirigente ma trattasi di esperienza concreta.

Sempre in termini di obiettivo di “coltivare e custodire” una classe dirigente, vi sono anche due altre dimensioni assai importanti.

La prima riguarda il riconoscimento reputazionale da parte della maggior parte della società degli Aristoi (pubblici e privati) selezionati con i metodi che la società stessa si è data (una sorta di titolo passivo degli Aristoi o, se si vuole, la fiducia nei loro confronti). Da qui, poichè la società non può conoscere singulatim ciascun Aristos nè ha le competenze diffuse per valutarli nei loro diversi campi professionali (quindi non può/deve entrare nel merito della selezione con buona pace dei sostenitori della democrazia diretta), risulta chiaro come essa (società) si debba affidare ai metodi selettivi e confidare in essi: un problema quindi fiduciario nei confronti dei processi selettivi non di poco conto. L’Italia ha uno dei più grandi problemi fiduciari rispetto alla media delle altre democrazie UE, anche se tale media ora è in calo vista la generale delusione nei confronti dell’establishment (altro termine che nell’accezione comune fissa plasticamente ciò che non deve essere e cioè la staticità delle posizioni della classe dirigente, ma tant’è).

La seconda dimensione concerne invece la rappresentanza che gli Aristoi hanno e mostrano della società che li ha selezionati (incarico attivo), proprio come se avessero un mandato implicito (perchè scaturente dal metodo più che esplicitamente nel merito) dalla maggior parte della cittadinanza. Qui la rappresentanza si concretizza come rappresentazione delle esigenze e delle visioni della vita sociale. È molto facile notare uno scollamento tra rappresentante e rappresentati soprattutto perchè il rapporto principali-agente è qui bottom-up ed assai mutevole.

Entrambe sono però due dimensioni imprescindibili, in assenza delle quali iniziano i problemi o le patologie che affliggono la classe dirigente. In altri termini, quando prospera l’autorefenzialità degli Aristoi essa recide gravemente quella delega implicita – nei due sensi citati, passivo ed attivo -  che essi hanno avuto dalla società.

Ancora sulla crisi della classe dirigente, ma stavolta di origine interna ad essa. Nei sistemi occidentali democratici, avere accesso alla classe dirigente può voler dire scalare, risultare in qualche modo vincitori e conquistare potere, privilegi, risorse e diritti. Eppure più la vittoria è schiacciante ed indiscussa e più alcuni vincitori tendono a tagliare i rami che hanno loro permesso l’ascesa. In altri termini – come dice Bill Emmot – alcuni vincitori in una classe dirigente tendono sempre a chiudere e mai aprire per difendere i propri privilegi con conseguenze più o meno catastrofiche (anche se sono bravi) che in ogni caso generano frustrazione e perdita di speranza negli altri.

Mancur Olson, poi, se la prende con i gruppi di interesse che, specialmente con la classe dirigente pubblica, possono causare la paralisi di alcuni poteri o la ipertrofia di altri in ragione degli interessi via via prevalenti (si arriva a paragonare i gruppi di interesse come cirripedi sullo scafo delle navi che ne rallentano il moto o la sbilanciano verso interessi particolari). Questo non è un attacco che proviene dall’interno della classe dirigente né – se si pensa – dall’esterno nel senso della società più larga. È però una dimensione parassitaria, che segue logiche osmotiche con la classe dirigente pur non facendone veramente parte. Ancora Olson: nei Paesi che erano riusciti a prosperare nel dopoguerra si erano verificate due precise condizioni. 1. Il rispetto dei diritti individuali ben definiti dallo stato di diritto. 2. La semplice <<assenza di predazione>>. La predazione moderna verrebbe esercitata dalle attività di lobbying e sovvertimento della legislazione o dell’Execution operata da gruppi di pressione che in teoria non toccano i diritti individuali ma nella pratica li vessano, sfruttando a loro fine strumenti legali e democratici.

Vi è poi un problema di origine antica ma di manifestazione sempre nuova, soprattutto in Italia. Questo sta nella convinzione, ormai implementata, che diversi mali della nostra classe dirigente pubblica (centrale e locale) possano essere risolti d’incanto se si sposta l’enfasi dalle obbligazioni di risultato – che, ripeto, è l’unico assetto positivamente produttivo – alle obblighi più astratti di garantire il corretto svolgimento dei processi e dei procedimenti a prescindere dai risultati. Quasi che l’ottemperanza al rigore metodologico-processuale sia comunque foriero di buoni risultati. Ciò rappresenta – se si pensa - la cancellazione del secondo significato – il più importante – dell’Execution: la finalità. Mentre scrivevo questi appunti è apparso un chiaro intervento in tal senso del prof. Sabino Cassese sul Corriere della Sera del 30.10.2017: invito tutti a rileggerlo alla luce del dibattito di oggi qui a Firenze.

In questa direzione vanno tanti interventi del legislatore, del legislatore delegato e di Anac dal 2013 in poi, orientati a rendere massimamente trasparente il processo delle PPAA e delle Autorità indipendenti (e quindi anche delle loro classi dirigenti) proprio in ossequio all’obiettivo di migliorare e rendere visibile e sindacabile l’attività dei diversi processi pubblici nonché ad introdurre diversi strumenti per “sanitizzare” le procedure.

Faccio un esempio sempre a riguardo dell’Autorità per l’energia. Con l’introduzione del PTTI 2015-2017 e PTPC 2015-2017 (cioè sino a fine mandato), abbiamo moltiplicato le misure per la trasparenza, l’integrità e la prevenzione dei fenomeni corruttivi dando seguito alla normativa primaria in materia, incidendo su molti processi o attività interne.

Avremmo potuto fermarci qui. Ma agire sui processi non basta o meglio è insufficiente a migliorare l’Execution per se. Invece ci siamo applicati sul piano dei risultati emanando ogni anno il Piano delle performance, la Rendicontazione delle deviazioni annuali dei risultati rispetto agli obiettivi (mettendola anche in consultazione ed in audizione degli stakeholder), nonchè il grande programma di Accountability anche tramite l’Osservatorio per la Regolazione. Questa è più della semplice trasparenza sui processi: è trasparenza “spiegata” della nostra Execution agli stakeholder che diventa comprensione del metodo e del merito svolti dall’Autorità.

In ogni caso l’individuazione delle questioni essenziali della crisi della classe dirigente in Italia non per forza coincide con l’identificazione degli strumenti più adeguati a risanarla. Occorre lavorare per mettere a punto meccanismi selettivi di generazione e dosaggio del flusso degli Aristoi che incontrino la fiducia al cittadino. La classe dirigente nel privato può giovarsi dello stimolo della concorrenza (Stimulos dedit aemula virtus…, Lucano) che, salvo imperfezioni, dovrebbe favorire la selezione dei migliori e regolare il flusso in/out. Per la parte di classe dirigente pubblica (politica, amministrativa) l’effetto selettivo dovrebbe essere incrementato attraverso buoni concorsi per premiare le competenze e le professionalità (non la lealtà/fiducia che non sono sindacabili via concorso), l’accountability o rendicontazione sui risultati, nonchè strumenti per contrastare alla radice l’effetto parassitario delle lobby. In Autorità abbiamo fatto grandi passi in avanti su questi tre versanti durante tutto il periodo del mandato settennale (es. Incarichi fiduciari non possono andare in Struttura accessibile solo dietro procedura selettiva comparativa o concorso, programma innovativo ed investimenti in Accountability, incremento della collegialità e dei check&balances antiparassitari).

Ma non voglio trascurare l’argomento portato dall’occhiello del mio intervento cui tengo molto: Le autorità indipendenti ed, in particolare, l’Aeegsi come hub della classe dirigente (amministrativa, professionale, tecnico-economica). Occhiello assai impegnativo e ambizioso ma proprio per questo da affrontare.

Innanzitutto una premessa importante che arriva ad incorporare anche l’appellativo dell’Aeegsi come  hub della classe dirigente che sembra più metafora che realtà. Se andiamo ai fondamentali etimologici della parola INFRA-STRUTTURA vediamo che essi sono evocativi di una nozione di collegamenti, connessione o tessuto connettivo - si direbbe oggi – tra elementi di una struttura comunque distribuita sul territorio così come di una certa materialità della infrastruttura medesima. L’esempio classico è quello delle infrastrutture a rete, cioè di un reticolo di connessioni che “mette in relazione” (questa è la funzionalità più corretta) diversi nodi e comunque oggetti distribuiti sul territorio. Ma con piccolo sforzo ci rendiamo presto conto che esistono INFRASTRUTTURE IMMATERIALI che “mettono in relazione” soggetti operanti nella società o nei mercati. La REGOLAZIONE DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ incarna perfettamente questo tipo di infrastruttura immateriale attraverso la definizione e l’applicazione delle regole poste dal Regolatore.

In questo senso la Regolazione diventa HUB INFRASTRUTTURALE che mette in relazione i soggetti operanti nel mercato dell’energia e nel settore idrico e con essi i segmenti della loro classe dirigente. Potremmo arrivare a dire che il Regolatore è un segmento di “classe dirigente” amministrativa, tecnico ed economica del Paese e fa classe dirigente presso gli operatori regolati. Per questo è da considerarsi hub della classe dirigente a tutti gli effetti.

E questa infrastruttura immateriale – per riprendere alcune categorie già citate a proposito di obiettivi/problemi della classe dirigente - genera selezione, riconoscimento e rappresentanza.

Selezione: innegabile che l’avvento della Regolazione ha incrementato di molto la complessità del settore e richiede un salto qualitativo degli operatori per mantenere una interlocuzione sufficiente a gestire il rapporto con il Regolatore, sia in termini di metodo che di merito. Metodo: ci sono procedure innovative che superano la vecchia concertazione o pressione sugli uffici ministeriali. La Regolazione ha poi adottato metodologie nuove normalmente in linea con quelle europee che richiedono un importante aumento di competenze agli operatori. Questo processo è innegabilmente impostato come una selezione più lamarckiana che darwiniana (nel senso che l’adattamento si fa non attraverso la sopravvivenza dei più adatti o adattativi alle categorie regolatorie bensì attraverso una metamorfosi incrementale delle competenze, salvo eccezioni di piccole realtà che non hanno la taglia sufficiente a tollerare una complicazione del business). È anche evidente che si genera una classe dirigente professional nella Regolazione, facilmente intercambiabile presso diversi operatori ed anche esportabile all’estero nei settori energetici UE. Tale effetto genera anche una qualificazione degli operatori a vantaggio della professionalità del settore.

Riconoscimento: Se l’Autorità “fa bene il suo mestiere”, che è in sintesi quello di promuovere concorrenza ed efficienza nei settori regolati nonché di tutelare i consumatori/utenti, e questo segnale viene percepito, si ha un riconoscimento della competenza dell’Autorità e della sua classe dirigente. Importante è anche il riconoscimento che riguarda l’execution dell’Autorità italiana a livello del network dei Regolatori UE, della Commissione e del Parlamento Europeo. Ciò può consentire di incrementare la delega fiduciaria “passiva” in capo all’Autorità per l’energia.

Rappresentanza: Se l’Autorità interpreta le correttamente esigenze dei consumatori/utenti, cittadini ed imprese a livello della società nazionale, nel senso che le rende adeguate ai “segni” dei tempi, essa riesce anche ad individuare i migliori “strumenti” per promuovere concorrenza ed efficienza lato operatori e per garantire le tutele lato consumatori. In questo senso l’Autorità agisce, nel contesto della politica energetica, nell’ambito della Transizione energetica italiana ed europea, contribuendo con la propria Regolazione di “strumenti” a perseguire il trilemma UE: sostenibilità, sicurezza e competitività dell’energia. Lato consumatori/utenti questa Autorità si è preposta la capacitazione dei medesimi, raccogliendo al contempo il loro punto di vista attraverso la più ampia partecipazione alla Regolazione in fase de jure condendo, con le ben note consultazioni erga omnes. Ciò consente di incorporare nella Regolazione i profili di tutela più adatti alla situazione corrente, come espressi dai soggetti che rispondono alle consultazioni, generando quindi rappresentanza.

Concludo il mio intervento con un argomento cui tengo molto e che ho preannunciato all’inizio, quando ho toccato il tema del riconoscimento, e dunque rapporto fiduciario,  da parte della società nei confronti della classe dirigente. Precisamente: se la gran parte della cittadinanza smarrisce il senso del munus derivante dall’appartenere ad una comunità allargata come l’UE ciò è un segnale importante di patologie che possono essere anche responsabilità della classe dirigente del Paese e dell’Europa.

Vediamo dall’unica slide che fa parte del mio intervento come un sondaggio svolto per conto del Parlamento Europeo collochi l’Italia all’ultimo posto su 28 Paesi (UK compreso) quanto alla percezione dei benefici della permanenza nell’UE (tangibilità del munus). Molto probabilmente la domanda del sondaggio non è stata ben suffragata da esempi concreti di munus erogato o negato ma, se fosse vero, è difficilmente accettabile uno spread di 10 punti a nostro svantaggio tra noi e la Grecia (che ha sofferto molto le austerità impostele dalla Commissione europea negli anni di crisi), di ben 15 lunghezze rispetto a UK che ha optato per l’uscita dall’UE, del 20% in meno rispetto alla Francia e ben del 40% rispetto alla Germania.

Colpe della classe dirigente lato sensu? Certamente se non è stata in grado di palesare il munus nelle sue diverse accezioni, soprattutto applicando quella regolamentazione “compensativa” di cui ho fatto cenno anche nella Relazione Annuale 2017 (cfr. Presentazione del Presidente 4 ottobre 2017 alla Camera dei Deputati). In sintesi, una regolazione che – quando possibile – asciughi l’isteresi che sembra esaltare i costi di una politica pubblica e nascondere i benefici, cioè anticipi i benefici economici diluendo i costi associati. Nella Regolazione Energia italiana ci sono diversi esempi di questo genere.

Colpe della classe dirigente italiana? Certamente, sia di quella politica che amministrativa. Quella politica che sempre più spesso tende a sfruttare l’incomprensione o il lack of trust dei cittadini nelle politiche europee più ampie per catturare il loro consenso ai fini elettorali nazionali. Quella Amministrativa quando non è all’altezza delle performance  delle altre amministrazioni in UE (si pensi all’utilizzo dei fondi strutturali per gli investimenti nel nostro Paese).

Che fare? Rifare il sondaggio dopo aver implementato una riforma seria dell’Execution nel nostro Paese. Strumenti ed esempi ci sono, sarà un lavoro lungo ma da iniziare già da ora.

<<Se non ora, quando?>>

who feels bortoni

(30 novembre 2017)

 

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