Verso l’adozione del nuovo regolamento ministeriale sugli esponenti bancari: fine di un paradigma ed estensione della vigilanza prudenziale “qualitativa” (di Michele Cossa)
Nel mio precedente articolo su questa Rivista (Esponenti di intermediari bancari: verso un “merito imposto”, dicembre 2016), mi ero soffermato sui vecchi e nuovi poteri delle autorità di vigilanza europee e nazionali sugli esponenti apicali di intermediari bancari, commentando, in uno con il molto discusso removal successivo, anche il giudizio ex ante sull’idoneità del soggetto a ricoprire l’incarico.
Come accennato in quella sede, già nel sistema pre-crisi, e pre-Direttiva CRD IV (Direttiva UE 2013/36 contenente norme, tra l’altro, in tema di governo societario delle banche e delle imprese di investimento), il legislatore italiano aveva individuato le tre categorie della professionalità, dell’onorabilità e dell’indipendenza nel descrivere i requisiti che i componenti designati degli organi di amministrazione e di controllo dovevano rispettare per poter essere ammessi alla carica. Ma, come appunto già notato nel mio precedente intervento, anche nella comprensibile preoccupazione di non incedere eccessivamente diritti di singoli anche di rango costituzionale, aveva proposto un elenco molto schematico e già ex ante determinato in toto dei requisiti di onorabilità (integrato questo dalla mancata condanna definitiva per gravi fattispecie di reato) e di professionalità (riferito ad esperienze formative e professionali nel settore o in settori contermini), peraltro tralasciando il difficile terreno della indipendenza, per il quale soccorrevano i limitati criteri di diritto comune.
Si è già detto che non è questa la scelta del legislatore europeo, cui il nuovo articolo 26 TUB si è dovuto adeguare. L’idoneità è divenuta concetto aperto, che unisce a requisiti oggettivi, accertabili ancora in termini di an da parte dell’autorità, “criteri” discrezionali, che sollecitano una valutazione caso per caso dell’autorità di controllo (che oggi, peraltro, per le banche più rilevanti, è la BCE). All’onorabilità si è quindi unita la “correttezza”; alla professionalità la “competenza” e, su base collettiva, “l’adeguata composizione collettiva dell’organo”; l’indipendenza è ribadita (con fondate speranze, stavolta, di una sua declinazione in normativa secondaria); in posizione mediana tra professionalità e indipendenza si pongono poi i limiti al cumulo degli incarichi.
Nel frattempo le ESMA ed EBA hanno prima sottoposto a consultazione ed infine pubblicato le nuove Guidelines sulla suitability dei componenti degli organi sociali e dei cd. “key function holders” di intermediari bancari e finanziari (EBA/GL/2017/12, reperibili sul sito www.eba.europa.eu), con elevato grado di dettaglio (che forse estende fino ai limiti i caratteri dello strumento, ovvero le linee guida, sia pure assistite dalla peculiare para-sanzione del comply or explain).
Ma, e soprattutto, ad inizio agosto il MEF ha finalmente posto in consultazione in nuovo Regolamento ministeriale attuativo dell’art. 26 TUB (reperibile sul sito www.dt.mef.gov.it); dopo una lunga attesa, il percorso di adeguamento pieno dell’ordinamento nazionale agli indirizzi europei sembra finalmente giungere a compimento (salvi ovviamente i tempi fisiologici per valutare le risposte del mercato).
In questa sede, un esame della disciplina è sia prematuro – in attesa delle modifiche post-consultazione – che non opportuno – richiedendo tra l’altro uno sforzo analitico che sarà degno di ben più corposi approfondimenti. Interessa però sottolineare alcune caratteristiche fondamentali dell’impianto normativo secondario, che molto difficilmente verranno ad essere modificate nel testo definitivo.
Come annunciato, il Regolamento disciplina onorabilità e correttezza, professionalità e competenza, indipendenza, divieti al cumulo di incarichi. Il principio di proporzionalità, prima ancora che canone irrinunciabile nel nuovo giudizio discrezionale delle Autorità di vigilanza, si afferma pienamente come criterio di regolazione: si vedano ad esempio le norme sulla professionalità e sulla competenza suddivise per rilevanza dell’intermediario di destinazione (secondo uno schema però in parte già presente nella precedente disciplina) e quelle sul divieto del cumulo di incarichi.
Ma il totale mutamento di prospettiva è, come detto, nel diverso ambito di valutazione della personalità dell’individuo. Si prenda l’art. 4 della bozza di decreto, che impone di considerare, nello scrutinio sulla correttezza, una serie di situazioni che ex ante hanno valore (non già dichiarativo ma) indiziario circa una possibile inidoneità dell’esponente a garantire una sana e prudente gestione. E il ventaglio di tali situazioni è amplissimo: comprende anche condanne penali non definitive, indagini penali in corso, sanzioni amministrative, provvedimenti disciplinari. All’art. 5 è chiarito come il verificarsi di una o più delle situazioni indicate all’articolo precedente “non comporta automaticamente l’inidoneità dell’esponente, ma richiede una valutazione dell’organo competente” volta a valutare l’incidenza sulla gestione della banca ed in particolare sulla sua reputazione e sulla fiducia del pubblico. E’ l’affermarsi del giudizio discrezionale in un ambito da decenni governato da accertamenti vincolati.
Del pari, senza tediare il lettore, accanto alla professionalità si accompagna un “criterio” aperto a valutazione, quello della competenza, che in chiaro distacco rispetto al passato, prende in considerazione la “conoscenza teorica” e “l’esperienza pratica” del candidato, in relazione ai suoi studi e ai precedenti incarichi. Una valutazione approfondita ed onerosa, che non arriva per adesso alle interview dell’interessato svolte dall’autorità di vigilanza come previste in altri ordinamenti, in osservanza dell’adagio popolare per cui gli esami non finiscono mai, ma che richiede di considerare il percorso professionale dell’interessato che dovrà probabilmente esorbitare da una mera acritica lettura del curriculum vitae.
Inedite sono le norme in tema di adeguata composizione degli organi, che impone uno scrutinio sulla diversificazione non solo di competenze, ma anche di età, genere e permanenza geografica tra i membri dei vari consessi. Ma una delle novità più significative è data dal gruppo di norme recate dagli artt. 13 ss. del decreto, che si fanno carico per la prima volta di dettare una disciplina del requisito di indipendenza degli esponenti del settore bancario, ed in particolar modo degli amministratori indipendenti e dei sindaci (salvo quanto si dirà infra sulla discutibile categoria dell’indipendenza di giudizio). La tecnica normativa del decreto rifugge da improbabili definizioni generali e propone un catalogo di situazioni, peraltro non sconosciute ad altre discipline settoriali in ambito finanziario e finanche a codici di autodisciplina, che sono considerate a propri ostative all’inverarsi della situazione di indipendenza. Infine, un cenno merita anche la nuova disciplina sulla disponibilità di tempo e sul cumulo degli incarichi, che sulla scia della normativa europea, arriva a stabilire un limite massimo di cariche che un esponente in una banca di maggiori dimensioni può contemporaneamente ricoprire in altre società (rispettivamente quattro incarichi non esecutivi o uno esecutivo e due non esecutivi).
Dopo questa – necessariamente rapidissima e fortemente incompleta – disamina, siano permessi alcuni spunti, che ci si ripropone di approfondire, magari partitamente, in prossimi interventi, ma che qui possono essere solo annunciati.
Innanzitutto, nella notoria dicotomia tra vigilanza strutturale e vigilanza prudenziale, si afferma sovente che la prima è la forma di controllo che si sostanzia in divieti ed obblighi preventivi, mentre la seconda si articola in precetti generali che trovano nella verifica ex post dell’esercizio dell’autonomia privata il ruolo principale dell’autorità di supervisione. Se questo è vero, non si può fare a meno di notare che in una materia rilevante come quella in parola l’ordinamento prima europeo e poi nazionale abbia attribuito alle autorità pubbliche poteri preventivi molto rilevanti, che possono impedire l’accesso ad una carica sociale ad un soggetto sulla base di situazioni valutate come potenzialmente ostative al perseguimento di una gestione prudente della banca. Tuttavia non sarebbe corretto concludere che questa disciplina mutui il modello strutturale, rimanendo piuttosto essa pienamente coerente con l’impostazione attuale e predominante. Invero, sarebbe oggetto di altro dibattito la sorte della vigilanza strutturale, il cui revival agli albori della crisi è stato oggetto più di slogan e che di effettiva pratica. E d’altronde il dibatttito non ha partorito più che norme di effetto limitato, come le anglosassoni Volcker e Vickers Rule (ristrette nel campo di applicazione e costellate di eccezioni, e già oggetto peraltro, almeno per quanto riguarda la norma statunitense, di istanze abrogatrici), mentre il progetto di misure strutturali a livello UE giace inapprovato ed è comunque diventato nell’ultima versione non molto altro che una specificazione di poteri già previsti dalla CRDIV. Quello che invece si è voluto fare in ambito fit and proper degli esponenti è non già estendere il novero di situazioni personali che tassativamente il legislatore considera ostative alla sana e prudente gestione, ma piuttosto ampliare i poteri discrezionali delle autorità di controllo, in modo che ad esse sia permesso valutare praticamente ogni possibile situazione che la pratica possa presentare in termini di rischio per la conduzione dell’intermediario. L’impostazione europea, fedelmente ripresa dalla bozza di regolamento in parola, è figlia della crisi finanziaria, e ragiona quindi in termini di necessaria prevalenza degli interessi collettivi perseguiti dalle autorità di settore rispetto agli interessi individuali dei singoli. Il processo è noto, e qui serve solo ribadire che il punto di frizione tra le due posizioni resta delicato e darà luogo a valutazioni estremamente complesse nella pratica.
Tanto più, occorre segnalarlo, che il primo soggetto tenuto a tali valutazioni non è neanche l’autorità pubblica investita della cura del bene pubblico di settore, ma l’organo sociale di cui il soggetto fa parte. L’art. 26 TUB ha confermato la scelta tradizionale del nostro ordinamento nel senso di prevedere una doppia verifica: la prima, endosocietaria, appunto dell’organo cui il soggetto è stato nominato; la seconda, “di garanzia”, dell’autorità di vigilanza. Un sistema peraltro non isolato, visto che anche le Joint Guidelines EBA-ESMA sopra citate pongono l’accento sul self-assessment dell’intermediario interessato. Ma si tratta di scelta che pone qualche perplessità dal punto di vista pratico, nel momento in cui la valutazione da compiere esula dal mero raffronto della situazione concreta con parametri oggettivi, come è stato fin ad ora (ed è ancora, in attesa della entrata in vigore del decreto MEF) ma impone un giudizio discrezionale (di discrezionalità che appare più propriamente amministrativa che tecnica, ma attribuita ad un soggetto che amministrazione non è), alla luce di un criterio generale quale quello di sana e prudente gestione. Inoltre, tale valutazione si deve fondare su notizie di cui soltanto l’esponente è a conoscenza; la bozza regolamentare lo obbliga a collaborare, salvo il richiamo al segreto di cui all’art. 329 c.p.p.. Un equilibrio non semplice, con sullo sfondo la possibilità dell’autorità di vigilanza di replicare la valutazione (eventualmente giungendo a risultati diversi) ma sulla base di un corredo informativo che, in assenza di una collaborazione dell’interessato, difficilmente sarà più completo.
Vi sarebbero molte altre questioni aperte; quello che da ultimo interessa sottolineare è che la tensione estrema cui, in questa materia, l’evoluzione della disciplina europea, fedelmente seguita dalla normazione nazionale primaria ed ora, in prospettiva, anche da quella secondaria, ha sottoposto l’ambito della vigilanza, finisca per creare anche qualche problema di coerenza logica del sistema. Il riferimento è alla singolare categoria dell’”indipendenza di giudizio”, che l’art. 15 del decreto sottoposto a consultazione ha riproposto, in ossequio all’indicazione normativa della CRD IV, seguita peraltro dalla Guida BCE sulla verifica dei requisiti. E’ il caso di notare che dalla formulazione stessa del criterio “tutti gli esponenti agiscono con piena indipendenza di giudizio….” si comprende come, invero, non ci si muova più, concettualmente, nel territorio del requisito preliminare (sia pure da mantenere per tutta la durata dell’incarico), quanto piuttosto nell’ambito dei comportamenti, che necessariamente si valutano ex post. Ed è anzi ammirevole il tentativo della bozza di regolamento di dare al precetto connessione logica con il testo che lo precede, collegandolo ad alcuni situazioni che minano l’indipendenza ai sensi della norma dell’art. 13; dall’altro lato, però, la questione si salda necessariamente con la gestione dei conflitti di interesse e con i presidi interni devoluti a gestirli, tradendo l’attinenza ad un momento ben diverso della vigilanza qualitativa dell’intermediario. Ma questo altro non è, probabilmente, che l’effetto della reazione alla deregolamentazione, emersa come uno dei fattori che hanno eliminato la crisi: come si è già notato proprio nel precedente intervento, il comprensibile sforzo di disciplina, concentrato in un periodo peraltro breve, ha comportato sovrapposizioni e duplicazioni, che probabilmente future modifiche, se non l’applicazione concreta, provvederanno a limare.
(3 ottobre 2017)