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1.La natura polisemica del giudizio di ottemperanza e il giudicato a formazione progressiva – 2. Il giudizio di ottemperanza come giudizio di merito e come esercizio di giurisdizione esclusiva – 3. L’ottemperanza dei provvedimenti cautelari e in generale dei provvedimenti non definitivi – 4. Il giudice naturale dell’ottemperanza tra T.A.R. e Consiglio di Stato – 5. Il risarcimento del danno in sede di ottemperanza

  1. La natura polisemica del giudizio di ottemperanza e il giudicato a formazione progressiva

Il giudizio di ottemperanza è finalizzato all’attuazione delle sentenze, anche non passate in giudicato, e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo, delle sentenze del giudice ordinario passate in giudicato, o degli atti alle stesse equiparati, ovvero dei lodi arbitrali divenuti inoppugnabili, quando dagli stessi discendono obblighi per la pubblica Amministrazione[1].

Focalizzando l’attenzione sull’ottemperanza dei provvedimenti del giudice amministrativo, va innanzitutto individuata la natura del suddetto giudizio, al fine di stabilire il perimetro entro il quale deve svolgersi, e conseguentemente di inquadrare i poteri che fanno capo all’organo giudicante.

In prima battuta va richiamato l’art. 112, comma 1, cod. proc. amm. il quale prevede che “i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti”. Tale disposizione sancisce l’obbligo per le parti processuali di eseguire puntualmente le statuizioni contenute nelle sentenze del giudice amministrativo, senza possibilità di sottrarvisi o di eluderne il contenuto[2].

Qualora tale obbligo non venga rispettato, è possibile instaurare il giudizio di ottemperanza che consente di ottenere, per il tramite di uno speciale procedimento, l’attuazione delle pronunce giurisdizionali non eseguite in modo esatto[3].

Va evidenziato che l’obbligo di attuazione assume connotati differenti a seconda del tipo di interesse fatto valere in giudizio, ossia se di natura oppositiva, pretensiva oppure procedimentale, visto che nel primo caso si ritiene che la pronuncia del giudice sia idonea a soddisfare pienamente la posizione giuridica del ricorrente vittorioso, senza necessità di altri interventi dell’Autorità amministrativa, mentre con riguardo agli interessi di natura pretensiva o procedimentale, che richiedono una ulteriore attività amministrativa per essere soddisfatti, è da ritenersi determinante la collaborazione dell’Amministrazione per consentire all’istante di conseguire il bene della vita oggetto di pretesa. In realtà, preso atto che la violazione o l’elusione del giudicato non si palesano soltanto attraverso comportamenti omissivi, non risultando infrequente lo svolgimento di attività amministrativa finalizzata a rendere inefficace una pronuncia giurisdizionale, deve ritenersi che, in linea di massima, l’ottemperanza è un rimedio applicabile a tutti i casi in cui si assume la violazione o l’elusione del contenuto di un provvedimento del giudice amministrativo[4].

Il giudizio di ottemperanza si estrinseca attraverso plurime modalità di svolgimento, in quanto lo stesso assume significati e connotati strettamente legati al tipo di provvedimento giudiziale di cui si chiede l’ottemperanza e ai contenuti dello stesso. A tal fine si è preso atto della natura polisemica del (sintagma) giudizio di ottemperanza, ovvero delle sue caratteristiche, volta per volta, di tipo esecutivo, attuativo, di cognizione, risarcitorio, conformativo[5]. Tale polisemicità rappresenta le diverse possibili modalità di manifestazione del giudizio di ottemperanza, che sono da ricondurre alle peculiarità della questione da affrontare e sono poste a garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale. Difatti, il giudizio di ottemperanza è finalizzato a garantire al soggetto vittorioso in giudizio la possibilità di ottenere il bene della vita che gli è stato riconosciuto e non soltanto una vuota e formale affermazione dello stesso, onde evitare che, sul piano sostanziale, l’attività e il comportamento dell’Amministrazione, successivi alla pronuncia giurisdizionale, possano vanificare il predetto obiettivo.

E’ proprio il principio di effettività della tutela giurisdizionale a fondare una interpretazione polisemica del giudizio di ottemperanza, in vista della garanzia dell’attuazione del dictum giudiziale nella misura più fedele (ed effettiva) possibile, in tal modo assicurando la pienezza della tutela giurisdizionale. Nondimeno la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale non possono essere assolutizzate al punto da consentire, nello svolgimento del giudizio di ottemperanza, di derogare a tutti gli altri principi, anche di rango costituzionale, che reggono il processo, sia amministrativo che civile[6]. Il diritto di difesa, di cui all’art. 24, secondo comma, della Cost. e il principio del contraddittorio di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., impediscono al giudice, anche in sede di ottemperanza, di integrare d’ufficio la domanda di parte o di pronunciare ultra petita; il principio di separazione organica o strutturale, anche se non funzionale, della giurisdizione[7] impedisce al giudice amministrativo di integrare il comando giudiziale contenuto nelle sentenze dei giudici appartenenti ad un altro plesso, dovendosi limitare in tal caso a garantire la semplice esecuzione del comando contenuto nelle stesse[8]; il principio del doppio grado di giudizio, seppure non costituzionalizzato, impone di non trattare le questioni risarcitorie, fatta eccezione per la “condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”[9]; il principio di separazione dei poteri e la riserva di amministrazione pongono dei limiti alla conformazione dei tratti ancora liberi dell’attività amministrativa e rispetto ai poteri non ancora esercitati, rimasti impregiudicati dalla pronuncia giurisdizionale[10].

Considerati i limiti indicati in precedenza, va indagato lo spettro di intervento riservato al giudice dell’ottemperanza al fine di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, non potendosi prescindere in tale segmento processuale da quanto è stato già oggetto di esame nel corso del presupposto giudizio di cognizione.

Secondo la giurisprudenza, il proprium del giudizio di ottemperanza si risolve nell’interpretazione della sentenza ottemperanda, scomponendosi la decisione da assumere in tale sede in una triplice operazione logica, ovvero (i) di interpretazione del giudicato al fine di individuare il comportamento doveroso per la pubblica amministrazione in sede di esecuzione, poi (ii) di accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione e, infine, (iii) di valutazione della conformità del comportamento tenuto dall’amministrazione rispetto a quello imposto dal giudicato[11].

Un aspetto di rilievo per la concreta individuazione dell’ambito oggettivo del giudicato amministrativo è rappresentato dall’oscillazione tra la necessità di soddisfare l’interesse sostanziale del ricorrente vittorioso, da una parte, e la salvaguardia della discrezionalità dell’Amministrazione, quando tale discrezionalità residui all’esito del giudizio, dall’altra[12].

Il perimetro entro il quale il giudice dell’ottemperanza può esercitare il suo compito è rappresentato certamente dal contenuto del provvedimento giurisdizionale di cui si chiede l’esecuzione o l’attuazione, visto che è il dictum della predetta pronuncia che deve essere concretizzato[13]. Ciò che non rientra nell’ambito della pronuncia emessa all’esito della fase di cognizione non può essere riconosciuto per la prima volta in sede di ottemperanza, in ragione dello stretto rapporto di presupposizione intercorrente tra la prima e la seconda fase. Oltre che da ragioni di ordine logico, tale limite è connaturato anche alla natura decadenziale dei termini per instaurare il processo amministrativo, da cui scaturisce l’evidente tardività di una domanda introdotta per la prima volta nel corso del giudizio di ottemperanza. In ogni caso va sottolineato come il giudicato copra il dedotto e il deducibile, ossia non solo le questioni fatte valere in via di azione o di eccezione e comunque esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, seppure non dedotte, costituiscono un presupposto logico indefettibile della decisione, con la conseguenza che in sede di ottemperanza si deve considerare anche quanto è implicitamente contenuto nel provvedimento giudiziale di cui si chiede l’attuazione[14].

Il giudizio di ottemperanza si caratterizza, quindi, in modo diverso a seconda della tipologia di provvedimento di cui si chiede l’attuazione e del peculiare contenuto dello stesso.

Quanto più il provvedimento da attuare risulta insuscettibile di ulteriore integrazione – ad esempio, perché in fase di cognizione sono già state predisposte le misure per l’attuazione del giudicato[15], oppure il bene della vita è stato già esaurientemente individuato in tale fase (condanna ad una somma di denaro) – tanto minore sarà il potere di implementazione dell’originario comando giurisdizionale da parte del giudice dell’ottemperanza, che porrà in essere una mera attività esecutiva, senza dover nemmeno completare il dictum giudiziale, stante la sua completezza ed esaustività.

Nel caso di un provvedimento giurisdizionale che abbia ritenuto fondate delle censure di natura esclusivamente procedimentale, annullando l’atto impugnato, l’eventuale successivo giudizio di ottemperanza non potrà che avere ad oggetto la riedizione del potere con riguardo alla predetta fase e giammai potrà essere oggetto di sindacato giurisdizionale, per la prima volta in sede di ottemperanza, la verifica della spettanza del bene della vita, non oggetto dell’ottemperanda pronuncia giudiziale. Difatti, nell’ipotesi di azione di annullamento di un provvedimento discrezionale per ragioni procedimentali e di azione avente ad oggetto attività discrezionale non ancora esercitata dall’amministrazione, si assiste “alla formazione di un giudicato che contiene una regola incompleta” ed appare evidente che il sindacato “non può estendersi all’intero rapporto controverso”, altrimenti dandosi vita ad un inammissibile sconfinamento nel merito amministrativo da parte del giudice e, di conseguenza, ad un possibile eccesso di potere giurisdizionale[16]. L’accoglimento dell’azione in sede di ottemperanza non potrà che riaffidare all’Amministrazione il compito di provvedere, emendando la sua azione dai vizi riscontrati in sede di giudizio ed esercitando i suoi poteri in maniera legittima: il riconoscimento della pretesa sostanziale non potrà essere effettuato dal giudice dell’ottemperanza sia per i limiti di un tale giudizio, legati alle questioni dedotte (e deducibili) nel giudizio di cognizione, sia per il già menzionato divieto contenuto nell’art. 34, comma 2, cod. proc. amm. che impedisce al giudice di pronunciare con riferimento a poteri non ancora esercitati[17].

A parziale temperamento dei suesposti principi, la giurisprudenza ha ritenuto applicabile nell’ordinamento amministrativo italiano il principio del “one shot temperato” secondo il quale l’Amministrazione, dopo aver subito l’annullamento di un proprio atto, può rinnovarlo una sola volta, riesaminando l’affare nella sua interezza e sollevando, una volta per tutte, qualsivoglia questione che si ritenga rilevante, senza potere in seguito tornare a decidere sfavorevolmente, neppure in relazione a profili non ancora esaminati[18]; in tal modo, anche in sede di giudizio di ottemperanza, il giudice potrà esaminare la vicenda da un punto di vista complessivo, quindi anche sostanziale, se l’Amministrazione, in seguito ad un primo annullamento per ragioni procedimentali, ha negato nuovamente la pretesa del ricorrente reiterando delle illegittimità di tipo formale. In tali frangenti non vi sarà alcun limite all’intervento del giudice che potrà verificare direttamente se il bene della vita spetti o meno al ricorrente, a prescindere da quanto posto in essere dall’Amministrazione[19].

La possibilità per il giudice dell’ottemperanza di completare il contenuto della pronuncia di cognizione, come pure di sostituirsi all’Amministrazione negligente, consente di dar vita al c.d. “giudicato a formazione progressiva”, che si riferisce ad un giudizio non di sola esecuzione, ma finalizzato, attraverso i poteri di merito conferiti al giudice dell’ottemperanza, ad integrare e a completare il comando contenuto nella sentenza resa nel giudizio di cognizione, ponendo in essere un’attività non meramente esecutiva, ma attuativa in senso stretto e frutto di un potere misto di esecuzione e cognizione[20]. Ciò appare strettamente legato alla natura conformativa delle pronunce del giudice amministrativo, che non hanno soltanto un effetto caducatorio rispetto ai provvedimenti impugnati, ma contengono sovente anche delle prescrizioni ulteriori, ricavabili dalla complessiva motivazione posta alla base della decisione, in grado di indirizzare l’Amministrazione in relazione alle successive vicende connesse alla fattispecie controversa[21].

Del resto, “le sentenze del giudice amministrativo pongono spesso una regola del caso concreto che, per quanto riguarda l’attività futura di esecuzione, si presenta come implicita, incompleta, elastica e condizionata; che il giudice dell’ottemperanza può e deve spesso esplicitare e integrare, individuando il provvedimento da adottare, verificando eventuali vincoli per l’azione dell’amministrazione, e integrando quegli aspetti non incisi in via diretta dal giudicato amministrativo”[22].

Anche la Corte costituzionale ha chiarito che il giudizio di ottemperanza ha, tra gli altri obiettivi, quello di conseguire una attività provvedimentale dell’Amministrazione ed anche effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto della impugnazione, potendo essere instaurato, in caso di materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, anche in mancanza di completa individuazione del contenuto della prestazione o attività cui è tenuta l’Amministrazione, in assenza quindi di un diritto certo, liquido ed esigibile[23].

Naturalmente la teoria del giudicato a formazione progressiva e soprattutto quella che assume la natura mista di cognizione ed esecuzione del giudizio di ottemperanza non possono snaturare la portata di un tale giudizio fino a renderlo del tutto autonomo rispetto a quello di cognizione, del quale invece rappresenta una fase complementare ed eventuale; non è possibile perciò riconoscere in sede di ottemperanza un quid pluris rispetto a quanto statuito nella sentenza di cognizione, né risulta possibile integrare il contenuto della pronuncia ottemperanda, laddove il comando contenuto nella stessa si presenti già completo e dettagliato in guisa da richiedere l’espletamento di una mera attività esecutiva[24]. La gamma dei poteri intestati al giudice dell’ottemperanza e teoricamente utilizzabili deve perciò essere filtrata con riguardo alla concreta fattispecie oggetto di esame e soltanto in quel frangente sarà possibile perimetrare in modo puntuale la tipologia di strumenti che possono ritenersi applicabili, senza trasformare il giudizio di ottemperanza in un nuovo giudizio di cognizione, così da rimettere in discussione l’intero rapporto, oppure, all’opposto, rendere del tutto ineffettivo il rimedio dell’ottemperanza, limitando il potere integrativo del giudice.

La non perfetta sovrapponibilità dei due giudizi – di cognizione e di ottemperanza – esclude che vi possa essere identità di oggetto tra la pronuncia adottata all’esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza in cui si stabilisce l’obbligo per l’Amministrazione di conformarsi al giudicato; ne discende, tra l’altro, che, “qualora le sentenze poste a raffronto costituiscano l’esito, rispettivamente, del giudizio di cognizione e di quello di esecuzione, ciò che viene dedotto come contrasto fra giudicati è l’interpretazione che il giudice dell’ottemperanza ha dato dell’ambito della statuizione della sentenza da eseguire, onde la richiesta di revocazione si risolve, in realtà, nel chiedere il riesame delle conclusioni, cui detto giudice è pervenuto, non nell’assenza di consapevolezza dell’esistenza di un giudicato facente stato fra le stesse parti, ma proprio nell’espresso apprezzamento dell’ambito di quest’ultimo e degli adempimenti amministrativi necessari per la sua corretta esecuzione”[25].

La natura mista di cognizione-esecuzione del giudizio di ottemperanza trova la sua conferma anche nelle previsioni del codice che hanno previsto la possibilità, in sede di ottemperanza, di condannare “al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché [di proporre] azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”[26], oppure che demandano al giudice dell’ottemperanza l’esame di tutte le questioni relative a tale giudizio, nonché di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta, che possono essere oggetto di reclamo da parte degli interessati dinanzi allo stesso giudice dell’ottemperanza[27]. Anche la c.d. ottemperanza di chiarimenti rappresenta uno strumento processuale che consente al giudice – peraltro non solo in sede di ottemperanza – di fornire dei chiarimenti in ordine alla corretta modalità di esecuzione di una sentenza del giudice amministrativo[28].

L’attività di esecuzione o di attuazione del dictum giudiziale contenuto nella sentenza ottemperanda da parte del giudice dell’ottemperanza può trovare un limite anche in relazione alle sopravvenienze normative o fattuali che o la rendono più complessa o, in alcuni casi, possono precluderla del tutto. La questione assume rilievo soprattutto in sede di ottemperanza, giacché le sopravvenienze possono condizionarne l’esito e quindi la soddisfazione della pretesa del ricorrente vittorioso nel giudizio di cognizione. Alla naturale dinamicità dell’azione amministrativa, cui è legata di regola l’inesauribilità dei poteri dell’Amministrazione finalizzati al perseguimento degli interessi pubblici, fa da contrappeso l’interesse del soggetto vittorioso nel processo che non deve esser frustrato nelle sue aspettative dalla eccessiva durata del giudizio o, a fortiori, dal comportamento omissivo o elusivo dell’Amministrazione che quelle aspettative avrebbe già dovuto soddisfare, pena la violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale[29].

Laddove le sopravvenienze, fattuali o giuridiche, intervengano in situazioni che abbisognano di ulteriori sviluppi in seguito al giudicato – ad esempio in tema di interessi di natura pretensiva – non può escludersi che le stesse possano rappresentare un impedimento assoluto al riconoscimento di quanto stabilito in sede giudiziale, risultando a quel punto impossibile ripristinare o riconoscere una determinata utilità, residuando soltanto un rimedio di tipo risarcitorio per equivalente[30].

La giurisprudenza ha elaborato alcuni principi che dovrebbero regolare il rapporto tra sopravvenienze e giudicato e, in particolare: (i) la necessità che il giudicato assuma una sua definitività e irretrattabilità al fine di garantire il rispetto del diritto alla ragionevole durata del giudizio, all’effettività della tutela giurisdizionale, alla stabilità e certezza dei rapporti giuridici; (ii) l’obbligo per l’Amministrazione soccombente di ripristinare la situazione controversa con effetto retroattivo, con salvezza dei tratti liberi dell’azione amministrativa e dei poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto al giudicato; (iii) la sopravvenienza, di regola irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, nel caso di situazioni durevoli rileva soltanto per la parte antecedente alla notificazione della sentenza; (iv) infine, anche per le situazioni istantanee, la retroattività dell’esecuzione del giudicato trova un limite intrinseco e ineliminabile nel sopravvenuto radicale mutamento della realtà, fattuale o giuridica, residuando a tal punto soltanto la possibilità di ottenere il risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall’art. 112, comma 3, cod. proc. amm.[31].

Un ulteriore limite al potere integrativo del giudice dell’ottemperanza lo si riscontra con riguardo all’esecuzione delle sentenze del giudice ordinario – e più in generale, dei provvedimenti adottati da soggetti diversi dal giudice amministrativo[32] – giacché in tali frangenti la regola discendente dal giudicato può essere ricavata esclusivamente da elementi interni allo stesso, non essendo ammissibile una implementazione del comando giudiziale attraverso riferimenti estranei alla stessa o ad aspetti che comunque non possono assumersi come del tutto pacifici. Del resto, con riguardo alle sentenze del giudice ordinario, pare più corretto utilizzare l’espressione “esecuzione” rispetto ad “attuazione” o “ottemperanza”, vista la natura prettamente esecutiva del giudizio, che deve limitarsi ad enucleare il comando contenuto nella sentenza da eseguire sulla base della interpretazione (esclusiva) della motivazione e del dispositivo ivi contenuti. Tale modus procedendi difatti è imposto dai limiti connaturati al riparto di giurisdizione, che impediscono al giudice amministrativo – seppure in sede di giudizio di ottemperanza – di occuparsi di questioni che fuoriescono dal suo ambito cognitorio, in quanto emersi per la prima volta nel corso del giudizio di ottemperanza e mai scrutinati prima dal giudice munito di giurisdizione[33].

  1. Il giudizio di ottemperanza come giudizio di merito e come esercizio di giurisdizione esclusiva

L’art. 7, comma 6, cod. proc. amm. prevede che “il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie indicate dalla legge e dall’articolo 134. Nell’esercizio di tale giurisdizione il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione”[34]; l’art. 134, a sua volta, stabilisce che “il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto (…) l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell’ambito del giudizio di cui al Titolo I del Libro IV”[35].

Il Codice ricomprende il giudizio di ottemperanza nella giurisdizione di merito del giudice amministrativo, consentendo in tal modo anche l’adozione di un nuovo atto, oppure la modifica o riforma del provvedimento impugnato, come chiarito dall’art. 34, comma 1, lett. d[36].

La giurisdizione di merito consente al giudice di sostituirsi all’Amministrazione ed operare quella ponderazione di interessi che, di regola, non è consentita ad un organo posto in posizione di terzietà. Tale prerogativa non appare pienamente in linea con i principi costituzionali del giusto processo, come enucleato anche dall’art. 2, comma 1, del Codice, che richiama l’art. 111, secondo comma, Cost. che stabilisce che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. La possibilità per il giudice, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, di adottare atti di amministrazione attiva, con valutazioni anche afferenti al merito delle questioni e legate al perseguimento dell’interesse pubblico, potrebbe rendere meno effettiva la posizione di terzietà dello stesso e anche la reale parità delle parti del processo, ponendosi in essere la sostituzione di una delle predetta parti processuali, ovvero l’Amministrazione, che non conserva più la titolarità della situazione sostanziale dedotta in giudizio.

In ogni caso, va evidenziato che i poteri del giudice sono esercitati nell’ambito di un processo e gli stessi, oltre a dover rispettare il principio della domanda, ossia tener conto di quanto le parti hanno ritualmente introdotto nel giudizio, sono comunque conformati e perimetrati dal provvedimento giurisdizionale di cui si chiede l’esecuzione o l’attuazione, che rappresenta il limite da non travalicare.

Inoltre, pur assumendo il non perfetto allineamento della giurisdizione di merito rispetto al principio del giusto processo, va però rilevato come il giudizio di ottemperanza abbia lo scopo di rafforzare il principio di effettività della tutela giurisdizionale, considerato che l’inerzia dell’Amministrazione o la sua attività violativa o elusiva del giudicato possono compromettere negativamente la posizione giuridica degli amministrati, vittoriosi nel giudizio di cognizione[37]. Del resto, proprio la necessità di garantire la corretta attuazione degli obblighi discendenti da una sentenza rende inevitabile il riconoscimento in capo al giudice dell’ottemperanza di poteri in grado di superare le resistenze dell’Amministrazione inadempiente[38] e di accedere pienamente al fatto, con tutte le relative implicazioni, piuttosto che limitare il suo intervento ad un vaglio di legittimità meramente estrinseco dell’attività amministrativa posta in essere per eseguire un giudicato.

Difatti, «la speciale giurisdizione di ottemperanza attribuita al giudice amministrativo presenta caratteri peculiari in virtù dei quali non è esclusa l’ingerenza del giudice nel merito dell’agire della pubblica amministrazione, giacché al medesimo giudice è espressamente attribuito un potere di giurisdizione anche di merito (art. 7 cod. proc. amm., comma 6, e art. 134 cod. proc. amm.), con possibilità non solo di “sostituirsi all’amministrazione” (art. 7 cod. proc. amm., comma 6) nominando, ove occorra, un commissario ad acta a norma dell'art. 114, comma 4, lett. d), cod. proc. amm., ma anche di procedere alla “determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo” ed alla “emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione” (art. 114, comma 4, lett. a), cod. proc. amm.) (Cass., sez. un., 2 febbraio 2015, 1823). Va rimarcato, in particolare, che l’art. 114 cod. proc. amm., per un verso, non limita il potere di emanazione diretta del provvedimento amministrativo interamente satisfattorio ai soli casi di attività vincolata della pubblica amministrazione, dall’altro, rimette al giudice amministrativo il potere di decidere, in relazione alla particolarità della fattispecie concreta, se adottare esso, nel caso di persistente inadempimento, le misure più idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento o l’emanazione dello stesso al posto dell’amministrazione ovvero se nominare un commissario ad acta»[39].

La pervasività dei poteri del giudice dell’ottemperanza emerge anche sotto una differente prospettiva, sempre finalizzata a garantire la piena e completa attuazione del giudicato, e si concretizza non soltanto nella possibilità di individuare la regola stabilita con il decisum da attuare e perciò di procedere conseguentemente alla conformazione dell’attività amministrativa, ma si estrinseca anche attraverso la possibilità di rimuovere, d’ufficio e senza domanda di parte, i provvedimenti adottati in violazione o elusione del giudicato, dichiarandone la nullità[40]. Tale ultima potestà rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[41] ed è finalizzata a concentrare la tutela interamente nella sede dell’ottemperanza, anche laddove si fosse al cospetto di un atto sottratto alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo e attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario[42]; in coerenza con la predetta soluzione è stato previsto che le nullità di cui all’art. 114, comma 4, lett. b, cod. proc. amm. possono essere fatte valere nel termine di prescrizione decennale di cui al precedente comma 1, in deroga alla previsione di cui all’art. 31, comma 4, del Codice che individua nel termine decadenziale di centottanta giorni il limite temporale per far valere, in via di azione, la nullità di un atto amministrativo. In tal modo è possibile, in sede di giudizio di ottemperanza, eliminare gli atti non conformi al giudicato adottati dall’Amministrazione – da qualificare nulli per la loro portata violativa o elusiva – e, una volta rimosso l’ostacolo, stabilire l’esatta portata del provvedimento giurisdizionale da attuare. Di conseguenza, non assume rilievo determinante né la mancanza nel ricorso per ottemperanza di una censura diretta e specifica del provvedimento di cui si predica la nullità, né appare necessario procedere alla proposizione di motivi aggiunti nel caso in cui l’atto elusivo o violativo del giudicato sia stato adottato in corso di causa, essendo implicitamente ricompresa nel petitum la richiesta di rimuovere l’atto viziato[43].

Le potestà affidate al giudice dell’ottemperanza sono rafforzate dalla previsione che gli consente di nominare un commissario ad acta[44], che agirà nella veste di suo ausiliario e gli permetterà di istruire pienamente il processo, al fine di poter determinare il contenuto del provvedimento o l’emanazione dello stesso in luogo dell’Amministrazione[45]. Il commissario ad acta, in quanto ausiliario del giudice[46], è tenuto ad eseguire quanto da questi stabilito e deve svolgere la sua attività in vista dell’attuazione del giudicato, non dovendo perseguire affatto l’interesse pubblico che fa capo all’Amministrazione, ma avendo come unico obiettivo quello di attuare, nella misura più fedele possibile, la decisione giudiziale. Gli atti adottati dal commissario ad acta sono riferibili esclusivamente al giudice e per tale ragione non possono essere modificati né, a fortiori, revocati in autotutela dall’Amministrazione[47], altrimenti consentendosi a quest’ultima di sottrarsi alla decisione giudiziale attraverso un’attività di tipo elusivo e in violazione della normativa processuale; una volta insediatosi il commissario, l’Amministrazione perde il potere di provvedere, trasferendosi esclusivamente in capo all’ausiliario del giudice la competenza ad attuare il decisum giudiziale[48]. Per tale ragione, gli atti adottati dal commissario possono essere sottoposti unicamente al controllo del giudice, sia d’ufficio che su istanza delle parti di causa, come previsto dall’art. 114, comma 6, secondo il quale “il giudice conosce di tutte le questioni relative all’ottemperanza, nonché, tra le parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono proporre, dinanzi al giudice dell’ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni”[49]. Tale procedimento è finalizzato a concentrare davanti al giudice dell’ottemperanza tutte le questioni che riguardano l’attuazione del giudicato, viste le peculiarità del giudizio e i penetranti poteri riconosciuti al giudice. L’unica eccezione al predetto regime si riferisce ai soggetti estranei al contenzioso, i quali possono impugnare gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal suo ausiliario ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., con il rito ordinario, similmente a quanto previsto dalla disciplina dell’opposizione di terzo[50].

Un rimedio, assimilato al giudizio di ottemperanza, quanto a regime processuale, è la c.d. ottemperanza di chiarimenti, disciplinata dagli artt. 112, comma 5, e 114, comma 7; tale rimedio è finalizzato ad ottenere, di regola dalla parte soccombente del giudizio o anche dal commissario ad acta, i chiarimenti in ordine alle modalità di attuazione del giudicato. Trattandosi di un rimedio di carattere eminentemente esecutivo, lo stesso può avere ad oggetto esclusivamente richieste che abbiano i requisiti della concretezza e della rilevanza (in ordine al giudicato da attuare), strettamente connesse a quanto emerso in fase di attuazione del decisum, senza che possano ammettersi quesiti interpretativi tali da attivare, in via di fatto, un nuovo giudizio sulla correttezza della pronuncia da interpretare[51] o da anticipare un giudizio sulla futura attività dell’Amministrazione[52]. Si dubita se la pronuncia resa in sede di chiarimenti dal T.A.R. possa essere assoggettata al regime impugnatorio[53] e la legittimazione spetti alle parti soccombenti nel relativo giudizio, ossia a coloro che contestano la tipologia di chiarimento fornita[54].

  1. L’ottemperanza dei provvedimenti cautelari e in generale dei provvedimenti non definitivi

Un aspetto peculiare del giudizio di ottemperanza è rappresentato dai poteri esercitabili dal giudice nel caso di domande finalizzate all’esecuzione dei provvedimenti non definitivi. Difatti, l’art. 112, comma 2, lett. b, cod. proc. amm. ammette l’esperibilità della rimedio dell’ottemperanza anche per le sentenze esecutive e per i provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo, alla pari dei provvedimenti definitivi adottati dallo stesso giudice amministrativo o da parte di altri giudici.

L’ampiezza dei poteri da riconoscere al giudice dell’ottemperanza è uno dei punti fondamentali da chiarire, atteso che la modulazione degli stessi può spaziare dall’assumere una sostanziale ineseguibilità di un comando non definitivo, fino, invece, a ritenere pienamente e completamente attuabile una decisione giurisdizionale, seppure non definitiva o provvisoria.

Un indirizzo ben preciso, anche se dai contorni non del tutto definiti, è rappresentato dal disposto di cui all’art. 114, comma 4, lett. c, cod. proc. amm. che prevede che il giudice “nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano”[55].

In primo luogo, appare necessario distinguere i provvedimenti non definitivi in senso stretto, ossia le sentenze non passate in giudicato, che tuttavia possono, per decorso del termine di impugnazione, assumere successivamente il carattere della irretrattabilità, dai provvedimenti ad efficacia provvisoria, che in ogni caso sono destinati ad essere superati da un successivo e ulteriore provvedimento che ha necessariamente una forma differente, seppure con contenuto conforme (ad esempio, le pronunce cautelari).

Con riguardo alla prima tipologia – ossia le sentenze non passate in giudicato – la soluzione che appare più rispettosa del dettato normativo risulta essere quella che ne ammette l’ottemperanza in via generale[56], con l’unico limite legato al divieto di generare effetti irreversibili, trattandosi di provvedimento che potrebbe essere suscettibile di modifica in sede di gravame. Il limite dell’irreversibilità tuttavia va contemperato con il principio di esecutività degli atti la cui efficacia non è stata sospesa, essendo quest’ultimo uno dei corollari del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Quindi l’irreversibilità va intesa non in senso ampio o legata a qualsiasi conseguenza di carattere non provvisorio che può discendere dall’attuazione del provvedimento non definitivo, ma deve essere considerata quale modifica permanente e rilevante della situazione giuridica o della realtà fattuale, tale da vanificare del tutto l’eventuale difforme decisione adottata in sede di appello[57]. In tal senso può essere appropriato istituire un parallelo con il procedimento cautelare d’appello, prendendo le mosse dalla verifica dei presupposti richiesti per accordare la sospensione di una sentenza di primo grado; tra i predetti presupposti va ricompresa la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile in capo alla parte soccombente in primo grado[58] che certamente ricorre nel caso in cui emerga l’impossibilità di ripristinare lo status quo ante, con riguardo a profili non secondari della fattispecie, nel caso di ribaltamento della decisione assunta in sede cautelare. Soltanto, quindi, in presenza dei predetti requisiti – oltre al fumus boni iuris – il giudice d’appello può sospendere l’esecutività della sentenza di primo grado, considerato che laddove l’esecuzione non arrechi alcun pregiudizio irreparabile e di una certa gravità – e non qualsivoglia vulnus, anche di minima entità – non è possibile concedere la sospensione, ma bisogna sicuramente mettere in esecuzione la pronuncia appellata. Ne discende che il giudice adito in sede di ottemperanza, ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. c, cod. proc. amm., non potrà che dare attuazione al decisum, sul presupposto della citata esecutività della pronuncia. Del resto, un provvedimento esecutivo non può essere sospeso nei suoi effetti, altrimenti si renderebbe del tutto irrilevante la distinzione rispetto ai provvedimenti non esecutivi e si renderebbe pleonastica la stessa tutela cautelare in appello.

Nella fase di attuazione di una decisione giudiziale, poi, il giudice deve determinarne le modalità esecutive, tenendo conto degli effetti che ne derivano, in modo da calibrare tale fase attuativa rispetto alla provvisorietà o non definitività della sentenza. Premesso che solo in fase di esame della fattispecie concreta si potranno individuare le specifiche e più appropriate modalità attuative, in ogni caso si dovrà cercare di garantire il massimo livello di soddisfazione della pretesa della parte vittoriosa, al fine di garantire pienamente l’effettività della tutela giurisdizionale in ogni grado di giudizio, con il solo divieto di compromettere in via definitiva rilevanti interessi della controparte soccombente che, in caso di capovolgimento dell’esito del giudizio, non potrebbero essere efficacemente ripristinati, nemmeno attraverso forme risarcitorie per equivalente[59].

Gli atti adottati dall’Amministrazione in violazione o elusione del provvedimento giudiziale non definitivo sono colpiti dalla sanzione dell’inefficacia e non della nullità, come invece avviene nel caso di attuazione di un provvedimento definitivo. La declaratoria di inefficacia dovrebbe, quanto a effetti, essere assimilata quasi integralmente a quella di nullità, e quindi privare di valore l’atto adottato in violazione del decisum e consentire l’attuazione di quest’ultimo. È evidente che, in caso di riforma in sede di giudizio di appello di merito della decisione ottemperata, verrà meno l’inefficacia del provvedimento adottato in violazione del decisum, che riprenderà la sua piena efficacia, accanto alla validità, mai venuta meno. Una possibile problematica potrebbe emergere con riguardo alla mancata previsione – diversamente da quanto stabilito per la declaratoria di nullità – della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo[60], che potrebbe escludere in sede di giudizio di ottemperanza il vaglio su atti adottati in violazione del decisum giudiziale, tuttavia rientranti nella giurisdizione di un giudice diverso dal giudice amministrativo[61]. Di fronte al chiaro dettato normativo non sembra praticabile una interpretazione di tipo estensivo, attraverso la quale si possa ampliare la nozione di giudicato anche ai provvedimenti del giudice non aventi carattere di definitività, visto che il legislatore ha sempre distinto le due fattispecie, disciplinandole altresì in maniera diversa; l’unica soluzione percorribile potrebbe essere quella di sollevare una questione di legittimità costituzionalità dell’art. 133, comma 1, lett. a5, cod. proc. amm. nella parte in cui non attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la verifica in ordine all’inefficacia degli atti emessi in violazione o elusione di un provvedimento giudiziale non definitivo.

Quanto all’attuazione dei provvedimenti cautelari, l’art. 59 cod. proc. amm. ne ammette esplicitamente l’esperibilità e ne disciplina la fase di instaurazione, seppure non in maniera dettagliata[62], mentre per lo svolgimento la stessa norma richiama le previsioni applicabili al giudizio di ottemperanza di cui al Titolo I del Libro IV del cod. proc. amm. (art. 112 e ss.). La peculiarità del giudizio risiede nella richiesta di attuazione di un provvedimento cautelare che possiede certamente efficacia provvisoria, in quanto lo stesso, con identico o diverso contenuto, è destinato ad essere assorbito dalla decisione emessa all’esito della fase di merito del giudizio[63]. Alla temporaneità del provvedimento cautelare si accompagna anche la sommarietà dell’esame della fattispecie dedotta in giudizio, che stante l’instabilità degli effetti non può essere obliterata nel caso di richiesta di ottemperanza. Inoltre in sede cautelare si sconta non infrequentemente una non perfetta integrità del contraddittorio che rende meno solida la decisione assunta e quindi maggiormente problematica una sua piena attuazione. Proprio al fine di limitare i suddetti rischi, il comma 2 dell’art. 55 prevede che, qualora dall’ordinanza cautelare possano derivare effetti irreversibili, è possibile disporre la prestazione di una cauzione, cui subordinare la concessione della misura cautelare[64], da cui si evince che una piena attuazione della misura è ordinariamente possibile, ma solo a condizione che non si producano effetti irreversibili o che comunque gli stessi siano attenuabili con la prestazione di una cauzione. Da tale punto di vista deve quindi ritenersi che l’attuazione delle pronunce cautelari incontri maggiori limiti rispetto a quelle delle sentenze non definitive o atti equiparati, dovendosi conciliare il principio di effettività della tutela giurisdizionale con la natura interinale degli effetti dei provvedimenti resi all’esito di un giudizio cautelare. L’art. 114, comma 5, cod. proc. amm. stabilisce che si debba provvedere con ordinanza laddove è richiesta l’esecuzione di un’ordinanza, instaurando in tal modo una simmetria tra il provvedimento presupposto e quello che ne stabilisce l’attuazione[65].

Il giudizio di esecuzione di cui all’art. 59 può essere, almeno in linea astratta, esperito anche con riguardo alle misure cautelari monocratiche, adottate sia in corso di causa che ante causam[66]; appare evidente che anche in tali frangenti si pone, peraltro in misura più intensa, il problema dell’irreversibilità degli effetti delle eventuali misure attuative, stante la marcata provvisorietà delle predette determinazioni, destinate ad essere superate da altri provvedimenti, o ad esaurire i propri effetti, in tempi alquanto ristretti. La spiccata precarietà e il ristretto arco temporale di efficacia dei provvedimenti monocratici[67] rendono alquanto improbabile l’avvio di un possibile giudizio di esecuzione, ma in ogni caso, laddove ne emergesse la necessità, lo stesso potrebbe certamente essere dispiegato. Nel silenzio del codice e per ragioni di coerenza si deve ritenere che il giudizio per l’esecuzione di misure monocratiche debba essere proposto davanti allo stesso organo (monocratico) che ha adottato il provvedimento di cui si chiede l’attuazione, come appare confermato anche dalle previsioni che consentono al soggetto che ha adottato la misura monocratica di revocarla su istanza di parte con la stessa tipologia di atto[68], come stabilito anche dal già citato art. 114, comma 5, cod. proc. amm. con riguardo all’esecuzione delle ordinanze.

  1. Il giudice naturale dell’ottemperanza tra T.A.R. e Consiglio di Stato L’art. 113, comma 2, che si riferisce alle sentenze passate in giudicato del giudice ordinario e degli altri giudici per cui non è previsto il rimedio dell’ottemperanza, o agli atti alle stesse equiparati, attribuisce la competenza al T.A.R. nella cui circoscrizione ha la sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza.Tuttavia l’art. 113, comma 1, ha introdotto – recte, ha confermato – una eccezione a quanto sostenuto in precedenza, giacché ha affidato alla competenza (funzionale) del Consiglio di Stato l’ottemperanza delle sentenze e degli altri provvedimenti[70] che hanno riformato la decisione di primo grado, oppure l’hanno confermata con diversa motivazione. Il discrimine tra la conferma della sentenza di primo grado con diversa motivazione, che sposta la competenza verso il Consiglio di Stato, e la conferma che lascia la competenza al T.A.R. va individuato nell’andamento del percorso argomentativo, non essendo sufficiente uno sviluppo non meramente ripetitivo rispetto alla sentenza di primo grado, dovendo invece realizzarsi uno scollamento della sentenza di appello con riguardo al percorso motivazionale e, conseguentemente, rispetto al dispositivo della decisione di primo grado (con l’utilizzo di formule quali « respinto con diversa motivazione » o « conferma con diversa motivazione »); pertanto, se la diversa motivazione di conferma si sostanzia in un approfondimento e/o ampliamento e/o arricchimento della motivazione di accoglimento del motivo o dei motivi già positivamente vagliati ed accolti dal giudice di primo grado, il contenuto dispositivo e conformativo del provvedimento di primo grado non può dirsi mutato, con conseguente individuazione del giudice competente nel T.A.R., mentre laddove si confermi l’esito dispositivo della sentenza di primo grado in seguito all’accoglimento di un diverso motivo di impugnazione, il contenuto dispositivo o conformativo della sentenza di appello si presenta indubbiamente come differente, con conseguente competenza del Consiglio di Stato per il successivo giudizio di ottemperanza[71].Il Consiglio di Stato è giudice di unico grado anche nei giudizi di ottemperanza relativi ai decreti di accoglimento di ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica[74], adottati a seguito del parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato, in quanto si è ritenuto che la decisione resa in tale sede sia riconducibile agli “altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” di cui alla lett. b del comma 2 dell’art. 112 cod. proc. amm. e, quindi, ai sensi del successivo art. 113, comma 1, il ricorso per l’ottemperanza si deve proporre “al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”, ossia al Consiglio di Stato[75]; difatti, il “petitum” proposto in sede di ricorso straordinario risulta perfettamente equiparabile – e produce lo stesso effetto – di una “domanda giudiziale”[76]. In tal modo oltre a garantirsi una perfetta simmetria tra organo che decide la controversia e quello che decide sull’ottemperanza, si evita di decidere in due gradi ciò che è stato adottato all’esito di un giudizio semplificato in unico grado, che le parti hanno deliberatamente attivato, preferendolo alla sede giurisdizionale[77].Da un punto vista sostanziale, la corretta qualificazione dell’azione – e della eccepita patologia dell’atto amministrativo, ossia la nullità o l’annullabilità – è necessaria per individuare i poteri attribuiti al giudice per definire la controversia: nel caso si tratti di azione di ottemperanza, il giudice eserciterà una giurisdizione di merito, con tutti i poteri connessi (nomina del commissario ad acta, sostituzione o modifica del provvedimento amministrativo, ecc.); se ci si trova al cospetto di un’azione generale di legittimità, il giudice avrà il solo potere di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere[79].Nel caso sia proposta erroneamente un’azione al posto dell’altra si ritiene possibile procedere alla conversione del rito ai sensi dell’art. 32, comma 2, cod. proc. amm., con alcuni limiti. Secondo la giurisprudenza, “la conversione dell’azione può essere disposta dal giudice dell’ottemperanza e non viceversa, perché solo questo giudice, per effetto degli articoli 21 septies l. 7 agosto 1990, n. 241 e 114, co. 4, lett. b), cpa, è competente, in relazione ai provvedimenti emanati dall’amministrazione per l’adeguamento dell’attività amministrativa a seguito di sentenza passata in giudicato, per l’accertamento della nullità di detti atti per violazione o elusione del giudicato, e dunque (…) della più grave delle patologie delle quali gli atti suddetti possono essere affetti”[82]. Naturalmente per poter procedere alla conversione del rito è necessario che ne sussistano i presupposti e, nella specie, che siano rispettati i termini per l’instaurazione del giudizio in cui si converte l’azione: quindi per convertire l’azione di ottemperanza in azione di annullamento è necessario che il ricorso sia stato proposto nel rispetto del termine decadenziale di sessanta giorni e non nel più ampio termine decennale di prescrizione[83].
  2. Altro aspetto da considerare in sede di verifica dei presupposti per la conversione è che la competenza anche per il “nuovo” giudizio appartenga allo stesso giudice, in quanto, come già evidenziato in precedenza, laddove la competenza funzionale spettasse al Consiglio di Stato in unico grado, nessuna conversione potrebbe avvenire davanti a quel giudice, dovendo l’azione di annullamento necessariamente essere assoggetta al doppio grado di giudizio[84].
  3. Da un punto di vista più strettamente procedurale, l’individuazione dell’azione appropriata – di ottemperanza o di annullamento – è necessaria per determinare il regime processuale da applicare nel caso specifico, in quanto i termini per avviare le due azioni sono di natura diversa – prescrizione decennale per instaurare il giudizio di ottemperanza e decadenza nei successivi sessanta giorni per proporre il giudizio di annullamento[80] – e i riti applicabili sono differenti, atteso che il giudizio di ottemperanza è soggetto al regime dei riti speciali, che si svolgono in camera di consiglio, piuttosto che in udienza pubblica[81].
  4. La competenza funzionale (inderogabile) in sede di ottemperanza[78] presuppone la corretta qualificazione dell’azione proposta, ossia che si tratti effettivamente di un giudizio finalizzato all’attuazione o esecuzione di una decisione giurisdizionale; può accadere infatti che, all’esito di una pronuncia del giudice amministrativo resa in sede di legittimità, l’Amministrazione soccombente nel predetto giudizio adotti nuovi provvedimenti che non soddisfano totalmente, o parzialmente, la posizione giuridica del ricorrente vittorioso, che quindi è costretto ad incardinare un nuovo giudizio per ottenere il bene della vita richiesto. Laddove l’azione proposta sia riferita ad attività dell’Amministrazione già coperte dal precedente decisum, spetterà al giudice dell’ottemperanza –individuato secondo i criteri indicati in precedenza – verificare la corretta attuazione dello stesso e, in caso contrario, provvedere direttamente o per il tramite di un commissario ad acta. Qualora invece la decisione giudiziale abbia lasciato dei margini di intervento o dei tratti liberi all’azione amministrativa, l’eventuale lesione della posizione giuridica dell’amministrato non potrà che essere fatta valere attivando un nuovo giudizio di legittimità, che dovrà seguire le pertinenti regole sulla competenza, individuate, in via generale e ordinaria, dall’art. 13 del cod. proc. amm.
  5. L’attribuzione al Consiglio di Stato della competenza funzionale in relazione all’ottemperanza delle sentenze rese in appello e contenenti la riforma di una decisione di primo grado o la sua conferma, ma con diversa motivazione, pone in risalto la questione legata al mancato rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, che sembrerebbe trovare una copertura costituzionale (artt. 100, 103 e 125, secondo comma, Cost.)[72]; tuttavia la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che l’art. 125, secondo comma, Cost. “comporta soltanto l’impossibilità di attribuire al T.A.R. competenze giurisdizionali in unico grado e la conseguente necessaria appellabilità di tutte le sue pronunce [e non anche] l’inverso, perché nessun’altra norma della Costituzione indica il Consiglio di Stato come giudice solo di secondo grado”[73].
  6. In tal modo si garantisce la possibilità per i soggetti coinvolti nel contenzioso di poter usufruire di un doppio grado di giudizio, vista la possibilità di appellare al Consiglio di Stato la decisione emessa, in primo grado, dal giudice dell’ottemperanza[69].
  7. L’art. 113, comma 1, cod. proc. amm. prevede in via generale che la competenza in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del giudice amministrativo spetti al giudice che ha emesso il provvedimento di cui si chiede l’attuazione, ossia il T.A.R., cui pure spetta la competenza nel caso in cui il Consiglio di Stato abbia, in sede di appello, confermato con la stessa motivazione il provvedimento di primo grado.
  8.  
  1. Il risarcimento del danno in sede di ottemperanza

Nella versione originaria del Codice del processo amministrativo era stata prevista la possibilità di proporre una domanda di risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 30, che fosse connessa con il predetto giudizio[85]. Tuttavia in sede di adozione del primo correttivo si è ritenuto opportuno eliminare tale possibilità, anche al fine di evitare equivoci in ordine al regime da applicare alle domande risarcitorie proposte in unico grado davanti al Consiglio di Stato[86]. Ne discende che per le domande di risarcimento del danno connesse a quelle proposte in sede di giudizio di ottemperanza, è necessario avviare un giudizio autonomo, oppure è possibile proporle unicamente in sede di giudizio di ottemperanza avanzato in primo grado, al fine di garantire in ogni caso il doppio grado di giudizio[87].

In sede di giudizio di ottemperanza, attualmente, è possibile esperire “azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione”[88].

Risulta pertanto l’esperibilità di una residuale tutela risarcitoria, anche in unico grado, per i danni connessi a ciò che è avvenuto successivamente all’intervento del giudicato. Certamente sono ricompresi i danni derivanti dalla violazione o elusione del giudicato, che rinvengono il loro presupposto in un comportamento imputabile all’Amministrazione inadempiente. In aggiunta a tale previsione, il legislatore ha ritenuto di estendere il rimedio anche alle ipotesi in cui il danno, pur in assenza di violazione o elusione del giudicato, è comunque “connesso” all’impossibilità di ottenerne l’esecuzione in forma specifica; nella sostanza, in deroga alla disciplina generale della responsabilità civile, si ammette una forma di responsabilità che prescinde dall’inadempimento imputabile alla parte tenuta ad eseguire il giudicato[89]. Trattandosi di un rimedio ai danni prodotti in sede di esecuzione della sentenza, per ragioni di economia processuale e a garanzia dell’effettività della tutela giurisdizionale, si è ritenuto di poter prescindere anche dal rispetto del doppio grado di giudizio[90].

Più nello specifico, si è evidenziato che «rispetto alla disciplina civilistica dell’inadempimento dell’obbligazione cosi sommariamente richiamata, l’art. 112, comma 3, c.p.a. introduce un elemento di specialità, perché dispone che l’impossibilità derivante da causa non imputabile (non dovuta cioè a violazione o elusione del giudicato) non estingue l’obbligazione, ma la converte, ex lege, in una diversa obbligazione, di natura “risarcitoria”, avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita riconosciuto dal giudicato»[91].

Si tratta quindi di una forma di responsabilità che, nei casi di impossibilità non imputabile a violazione o elusione del giudicato, presenta i caratteri della responsabilità oggettiva, non essendo ammessa alcuna prova liberatoria sull’assenza di dolo o colpa dell’Amministrazione inadempiente e potendo la responsabilità essere esclusa solo per la insussistenza (originaria) o il venir meno del nesso di causalità, il cui onere probatorio grava sul debitore medesimo.

In tal modo è stato introdotto nell’ordinamento un rimedio tipicamente compensativo, ossia una sorta di ottemperanza per equivalente, connessa all’impossibilità di esecuzione in forma specifica della sentenza, sottolineando l’aspetto “rimediale” della tutela, come emersa a seguito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006.

«La funzione sostitutiva del rimedio giustifica, allora, la scelta del legislatore sia di prevederne l’ammissibilità in sede di ottemperanza, anche in un unico grado, in quanto “connessa” all’impossibilità oggettiva di esecuzione del giudicato, sia di slegarla dal requisito della colpa, sia pure intesa, in tema di illecito della pubblica amministrazione, nella lettura “oggettiva” che ne dà la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea: trattandosi di una tutela che sostituisce l’ottemperanza non più possibile in forma specifica, essa soggiace, sia sul piano del rito, sia sul piano dei presupposti sostanziali, alle stesse regole dell’azione di ottemperanza (in forma specifica), che pure si caratterizza come rimedio “oggettivo”, sganciato dalla prova del dolo o della colpa. E’, in altri termini, una ragionevole scelta del legislatore in tema di allocazione del rischio della impossibilità di esecuzione del giudicato»[92].

La nascita dell’obbligazione risarcitoria quale conseguenza dell’impossibilità di eseguire il giudicato presuppone – a prescindere dalla presenza dell’elemento soggettivo – la sussistenza degli altri elementi necessari per la configurazione di un illecito, ossia il rapporto di causalità tra il comportamento e il danno e l’antigiuridicità della condotta[93].

La possibilità di agire in sede di ottemperanza per chiedere i danni derivanti dall’inattuazione del giudicato non dovrebbe escludere tuttavia una eventuale, seppure alternativa, azione in separata sede, attraverso un giudizio autonomo di risarcimento, come previsto in via generale dell’art. 30 cod. proc. amm., trattandosi comunque di un’azione che rientra nel novero di quelle risarcitorie, sebbene con connotati peculiari[94].

(5 febbraio 2019) 

 

*Relazione tenuta al corso “Il processo amministrativo alla prova dei fatti: tutela cautelare e riti speciali. Il punto di vista del primo grado e il punto di vista dell’appello”, svoltosi il 15 e 16 marzo 2018 presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma.

**Consigliere T.A.R. Lombardia, sede di Milano.

[1] Cfr. art. 112, commi 1 e 2, cod. proc. amm.

[2] Sull’obbligo di dare esecuzione alle sentenze secondo buona fede, Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 5.2 del diritto.

[3] Si ritiene che il giudizio di ottemperanza possa essere esperito dal ricorrente vittorioso nel giudizio di merito e non anche dal controinteressato, che pure abbia ottenuto l’accoglimento del proprio ricorso incidentale, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 27 maggio 2015, n. 1262; nemmeno i terzi estranei al giudizio possono intraprendere un’azione di ottemperanza: Consiglio di Stato, VI, 27 luglio 2017, n. 3758.

[4] Secondo il prevalente orientamento non sarebbero assoggettabili al rimedio dell’ottemperanza le sentenze c.d. “autoesecutive”: Consiglio di Stato, Ad. plen., 4 dicembre 1998, n. 8; Consiglio di Stato, VI, 18 aprile 2018, n. 2353; T.A.R. Lazio, Roma, I, 5 novembre 2013, n. 9403; sembra orientarsi in maniera diversa, Consiglio di Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1908.

[5] Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 2 del diritto.

[6] Cfr. Consiglio di Stato, VI, 6 ottobre 2007, n. 5409.

[7] Cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 6 del 18 gennaio 2018, n. 77 del 12 marzo 2007 e n. 204 del 6 luglio 2004.

[8] Cfr. Cassazione, SS.UU., 16 febbraio 2017, n. 4092.

[9] Art. 112, comma 3, cod. proc. amm.; si richiama il comma 4 del citato art. 112 che è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. cc), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al codice).

[10] Consiglio di Stato, Ad. plen., 9 giugno 2016, n. 11, punto 48 del diritto.

[11] Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 aprile 2017, n. 1, punto 6.2.2 del diritto.

[12] Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 aprile 2017, n. 1, punto 6.2.2 del diritto.

[13] La pronuncia giurisdizionale è aderente ai limiti oggettivi e soggettivi della controversia, da identificare nella correlazione tra petitum e causa petendi in rapporto alla dedotta lesione dell’interesse vantato e, dunque, in relazione, ai vizi dedotti: così, Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 6.1. del fatto.

[14] Cfr. parte in fatto, Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2; per una vicenda peculiare, cfr. la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 5 ottobre 2017, Ricorso n. 32269/09 – causa Mazzeo contro Italia.

[15] In base all’art. 34, comma 1, lett. e, cod. proc. amm.

[16] Consiglio di Stato, Ad. plen., 9 giugno 2016, n. 11, punto 42 del diritto.

[17] Consiglio di Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1908.

[18] Cfr. Consiglio di Stato, III, 14 febbraio 2017, n. 660.

[19] In generale, sui poteri del giudice dell’ottemperanza, Cassazione, SS.UU., 6 novembre 2017, n. 26259.

[20] Cassazione, SS.UU., 16 febbraio 2017, n. 4092, punto 5 del diritto; Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 aprile 2017, n. 1, punto 6.3.3 del diritto; Consiglio di Stato, V, 2 marzo 2015, n. 1558; IV, 27 gennaio 2015, n. 362; storicamente il giudizio di ottemperanza ha natura “mista”, ossia non è pura esecuzione, ma presenta fisiologici momenti di cognizione: cfr. Relazione di accompagnamento al Codice del processo amministrativo, pag. 51, reperibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[21] Cfr. Consiglio di Stato, VI, 17 maggio 2013, n. 2680.

[22] T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 21 marzo 2018, n. 1737.

[23] Corte costituzionale, sentenza n. 406 del 12 dicembre 1998.

[24] T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 7 marzo 2018, n. 1460.

[25] Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 aprile 2017, n. 1, punto 6.3.1 del diritto.

[26] Art. 112, comma 3, cod. proc. amm.; come già segnalato in precedenza, l’originario comma 4, che stabiliva che “nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all’articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario”, è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. cc), del d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al Codice).

[27] Art. 114, comma 6, cod. proc. amm.

[28] ‘A tale quadro, va aggiunto il ricorso, ex art. 112, comma 5, proposto al fine di “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza”: anche questo non presenta caratteristiche che consentano di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza. Ciò emerge anzitutto dalla stessa terminologia usata dal legislatore, il quale – lungi dall’affermare che è l’ “azione di ottemperanza” ad essere utilizzabile in questi casi – afferma che è “il ricorso” introduttivo del giudizio di ottemperanza (cioè l’atto processuale) ad essere a tali fini utilizzabile, ma risulta anche chiaro dalla circostanza che, a differenza dell’azione di ottemperanza, che è naturalmente esperita dalla parte già vittoriosa nel giudizio di cognizione o in altra procedura a questa equiparabile, in questo caso il ricorso appare proponibile dalla parte soccombente (e segnatamente dalla Pubblica Amministrazione soccombente nel precedente giudizio)’: Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 2 del diritto; tale strumento processuale risulta utilizzabile soltanto da parte dell’Amministrazione soccombente o da parte del commissario ad acta e non anche dalla parte vittoriosa, che disporrebbe di altri strumenti, secondo T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 9 febbraio 2017, n. 90.

[29] Appare opportuno richiamare anche in tale frangente la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 5 ottobre 2017, Ricorso n. 32269/09 – causa Mazzeo contro Italia, attraverso la quale è stata irrogata una condanna all’Italia per violazione dell’art. 6 § 1 (diritto all’equo processo) della Convenzione, in quanto sarebbe stata vanificata una pronuncia giurisdizionale passata in giudicato attraverso un’attività amministrativa ulteriore che avrebbe cercato di paralizzare la successiva azione di ottemperanza.

[30] Cfr. Cassazione, SS.UU., 9 novembre 2011, n. 23302, punto 4.1 del diritto: trattasi dell’annullamento del conferimento di pubbliche funzioni a seguito di una procedura concorsuale non più ormai ripetibile (per avvenuto collocamento a riposo per limiti di età del ricorrente), con cui il Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza, aveva ordinato alla competente amministrazione di provvedere ugualmente a rinnovare il procedimento (“ora per allora”), al solo fine di determinare le condizioni per l’eventuale accertamento di diritti azionabili dal ricorrente in altra sede e nei confronti di altra amministrazione.

[31] Consiglio di Stato, Ad. plen., 9 giugno 2016, n. 11, punto 49 del diritto.

[32] Sono stati considerati azionabili con il giudizio di ottemperanza i decreti ingiuntivi non opposti: da ultimo, Consiglio di Stato, V, 30 ottobre 2017, n. 4987; per una fattispecie particolare, ossia il decreto ingiuntivo, modificato da una successiva transazione, Consiglio di Stato, V, 9 luglio 2018, n. 4192; sono suscettibili di esecuzione mediante il giudizio di ottemperanza le ordinanze di assegnazione del credito rese ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ.: Consiglio di Stato, Ad. plen., 10 aprile 2012, n. 2; si è ritenuto non azionabile il predetto rimedio invece per le ordinanze di assegnazione di somme rese ai sensi dell’art. 5 quinquies della legge n. 89 del 2001: T.A.R. Lazio, Roma, II, 27 novembre 2018, n. 11500.

[33] Cfr. Cassazione, SS.UU., 16 febbraio 2017, n. 4092; sulla inammissibilità di un giudizio di ottemperanza finalizzato all’esecuzione di una condanna generica pronunciata dal giudice del lavoro, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 22 novembre 2018, n. 6768; sulla inammissibilità di una richiesta di correzione di errore materiale in sede di giudizio di ottemperanza con riguardo ad una sentenza del giudice ordinario: T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 9 novembre 2015, n. 2894.

[34] Il giudice amministrativo in sede di ottemperanza è il “giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto”: Cassazione, SS.UU., 28 febbraio 2017, n. 5058, punto 2.5 del diritto; altresì, Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 2 del diritto; altresì, Cassazione, SS.UU., 6 novembre 2017, n. 26259.

[35] Tale attività giurisdizionale è soggetta al sindacato della Cassazione sul rispetto dei limiti esterni alla giurisdizione, Cassazione, SS.UU., 6 novembre 2017, n. 26259.

[36] “In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda (…) nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato”.

[37] Cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 2 del diritto.

[38] Ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e, cod. proc. amm. il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. Nei giudizi di ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali”: si tratta delle c.d. penalità di mora o astreintes, che possono essere applicate anche in caso di prestazioni di natura pecuniaria; cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 25 giugno 2014, n. 15.

[39] Cassazione, SS.UU., 6 novembre 2017, n. 26259, punto 3.3 del diritto.

[40] Consiglio di Stato, III, 22 giugno 2016, n. 2769.

[41] Art. 133, comma 1, lett. a, n. 5, cod. proc. amm.

[42] Sul rilievo della nullità dell’atto in sede di giudizio di ottemperanza rispetto all’azione di nullità diretta, Consiglio di Stato, V, 8 febbraio 2010, n. 556, punti 8.1 e 8.2 del diritto.

[43] Il principio della domanda che, in linea di massima, informa di sé anche l’art. 31 cod. proc. amm. è superato dal rilievo d’ufficio, quale regola fondamentale e ineludibile, con riguardo al giudizio ex art. 114, tanto che il legislatore ha disposto che il principio della domanda (evidentemente rispetto alla nullità di un atto sopravvenuto) non trova applicazione in sede di ottemperanza, neppure in quei sensi attenuati in cui esso è stato tratteggiato ai fini dell’azione cognitoria ex art. 31: cfr. Consiglio di Stato, III, 22 giugno 2016, n. 2769.

[44] Art. 114, comma 4, lett. d, cod. proc. amm.

[45] Art. 114, comma 4, lett. a, cod. proc. amm.; secondo la Corte costituzionale, sentenza n. 225 del 5 dicembre 2018, punto 4.1.2 del diritto, “nei giudizi di ottemperanza ex lege n. 89 del 2001, il commissario ad acta esercita un’attività di carattere esecutivo, che si estrinseca in un pagamento, vincolata sia nell’an che nel quomodo”.

[46] La Corte costituzionale, con la sentenza n. 225 del 5 dicembre 2018, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal T.A.R. Umbria, I, con ordinanza 16 novembre 2016, n. 705, dell’art. 1, comma 777, lettera l), della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui è stata individuata ex lege la categoria da cui attingere i commissari ad acta per i giudizi di ottemperanza relativi alla legge n. 89 del 2001 (c.d. Legge Pinto) – ossia i dirigenti di seconda fascia amministrazione inadempiente –, in quanto ciò renderebbe meno oneroso il costo gravante sull’Amministrazione, stante l’onnicomprensività della retribuzione dei predetti dirigenti, e più celere il pagamento della somma dovuta, attesa la specifica e diretta conoscenza del bilancio dell’Amministrazione inadempiente da parte di questi.

[47] Tra il commissario ad acta e l’Amministrazione si instaura un rapporto di natura intersoggettiva e non interorganica: Consiglio di Stato, IV, 18 aprile 2013, n. 2184.

[48] Consiglio di Stato, V, 16 aprile 2014, n. 1975.

[49] Corte costituzionale, sentenza n. 225 del 5 dicembre 2018, punto 4.1.2 del diritto.

[50] Consiglio di Stato, IV, 13 gennaio 2015, n. 52; altresì, 18 aprile 2013, n. 2184; in argomento anche 4 dicembre 2017, n. 5667.

[51] Consiglio di Stato, V, 6 settembre 2017, n. 4232; IV, 30 novembre 2015, n. 5409.

[52] Così Consiglio di Stato, IV, 12 maggio 2016, n. 1908.

[53] Ritengono inammissibile l’impugnazione, Consiglio di Stato VI, 19 ottobre 2018, n. 5978; IV, 9 aprile 2018 n. 2141; in senso contrario, V, 17 gennaio 2014, n. 206.

[54] Consiglio di Stato, V, 17 gennaio 2014, n. 206.

[55] L’art. 2 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha modificato l’art. 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, recante “Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore”, nel senso di escludere l’applicazione delle lett. a) e c) del comma 4 dell’art. 114 ai ricorsi per l’esecuzione del giudicato formatosi su giudizi relativi ai provvedimenti di incarichi direttivi e semidirettivi a magistrati ordinari.

Il comma 2 dell’art. 17, nel testo risultante dalla novella del 2014, così dispone:

“La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo. Per la tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti concernenti il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi si segue, per quanto applicabile, il rito abbreviato disciplinato dall’articolo 119 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. Nel caso di azione di ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina l’ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere. Non si applicano le lettere a) e c) del comma 4 dell’articolo 114 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo n. 104 del 2010”.

[56] Si veda, per la eseguibilità anche se con sostanziali limiti, T.A.R. Lazio, Roma, I quater, 16 febbraio 2016, n. 2065; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 12 gennaio 2016, n. 25; T.A.R. Puglia, Bari, III, 24 maggio 2013, n. 842; secondo T.A.R. Veneto, II, 27 ottobre 2016, n. 1203, invece, “non può essere accolta la domanda di esecuzione della sentenza non sospesa per il rilievo che, a differenza di quanto accade in caso di actio judicati, il decisum è ancora in formazione e si consoliderà solo a seguito della pronuncia di secondo grado, e solo in quel momento diverrà attuale l’esame delle altre questioni sollevate dalle parti in merito alle sopravvenienze in fatto ed in diritto intervenute successivamente alla sentenza di primo grado”.

[57] Secondo T.A.R. Lazio, Roma, I quater, 16 febbraio 2016, n. 2065, i “poteri del giudice dell’esecuzione (…) devono essere opportunamente calibrati, essendo ancora incerto l’esito dell’appello, di talché le statuizioni dettate in sede di esecuzione della sentenza appellata ma non sospesa non solo non devono compromettere l’assetto degli interessi in gioco, ma devono consentire, ove sopravvenisse un giudicato che dovesse, in ipotesi, vedere soccombente il ricorrente già vittorioso in primo grado, il ripristino dello status quo ante”.

[58] Cfr. art. 98, comma 1, cod. proc. amm.

[59] Assume quale elemento discriminante per l’esecuzione, l’assenza di terzi soggetti dovendosi trattare solo di un esclusivo rapporto bilaterale ricorrente/amministrazione, T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 12 gennaio 2016, n. 25.

[60] Le normativa riconduce alla giurisdizione esclusiva soltanto le controversie riguardanti gli atti nulli adottati in violazione o elusione del giudicato, e non anche quelle relative agli atti inefficaci: cfr. art. 133, comma 1, lett. a5, cod. proc. amm. e art. 21 septies della legge n. 241 del 1990.

[61] Ad esempio, in sede di ottemperanza di un ordine di pagamento discendente da una sentenza del giudice ordinario, l’Amministrazione potrebbe adottare un atto di riduzione dell’importo o di differimento del pagamento non rientranti nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo e quindi non sindacabili in sede di ottemperanza per la mancata previsione della giurisdizione esclusiva.

[62] In quanto compatibili, anche da un punto di vista processuale, si devono ritenere applicabili le disposizioni contenute negli art. 112 e ss. cod. proc. amm.

[63] Secondo T.A.R. Lazio, Roma, III bis, ord. 30 novembre 2016, n. 11966, l’art. 59 deve essere interpretato “nel senso che, per effetto delle modifiche apportate all’art. 57 c.p.a. per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. o), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, l’ordinanza cautelare nella parte in cui pronuncia sulle spese può trovare tutela nell’art. 59 pur a seguito della definizione del giudizio di merito”.

[64] Dispongono in tal senso anche l’art. 56, comma 3, e l’art. 61, comma 5, relativamente alla concessione di misure cautelari monocratiche.

[65] La predetta ordinanza, in assenza di una esplicita preclusione, deve ritenersi appellabile, sebbene il perimetro del gravame dovrebbe riguardare soltanto questioni attinenti alla fase strettamente esecutiva e non anche il provvedimento cautelare presupposto, che non potrebbe essere surrettiziamente censurato, pena la violazione dei termini processuali.

[66] L’art. 59 fa un generico riferimento a tutti i provvedimenti cautelari, di cui agli articoli precedenti, e il successivo art. 61, comma 6, si riferisce in maniera specifica all’attuazione dei provvedimenti monocratici ante causam.

[67] Sui tempi di efficacia dei provvedimenti monocratici cfr. l’art. 56, comma 4, e l’art. 61, comma 5, cod. proc. amm.

[68] Cfr. art. 56, comma 4, e art. 61, comma 5, cod. proc. amm.; quanto alla possibilità, del tutto teorica, di impugnazione del predetto provvedimento attuativo, la stessa deve essere esclusa in ragione della espressa non appellabilità del provvedimento monocratico presupposto, come stabilito dall’art. 56, comma 2, e dall’art. 61, commi 4 e 5, cod. proc. amm.; sull’appellabilità del decreto monocratico cautelare del T.A.R. in presenza di eccezionali ragioni d’urgenza, Consiglio di Stato, IV, decreto monocratico, 7 dicembre 2018, n. 5971; in senso contrario, V, 19 luglio 2017, n. 3015.

[69] Cfr. art. 114, commi 8 e 9, cod. proc. amm.; in senso contrario si era espresso, in passato, Consiglio di Stato, Ad. plen., 14 luglio 1978, n. 23.

[70] Ad esempio, le ordinanze cautelari rese in sede di appello che hanno riformato un provvedimento di primo grado.

[71] Consiglio di Stato, IV, 24 novembre 2017, n. 5489, che richiama, IV, 1 febbraio 2017, n. 409 e VI, 2 luglio 2014, n. 3331.

[72] Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 8 del 1° febbraio 1982.

[73] Corte costituzionale, ordinanza n. 395 del 31 marzo 1988; per alcuni cenni, Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2; più diffusamente, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, 17 aprile 2018, n. 223.

[74] Cfr. art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

[75] Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 maggio 2013, n. 9, che segnala anche l’esistenza di un differente indirizzo, secondo il quale il decreto decisorio non costituisce un provvedimento esecutivo del giudice amministrativo ex art. 112, comma 1, lettera b, cod. proc. amm., ma deve essere sussunto nel novero dei provvedimenti equiparati alle sentenze ai sensi della successiva lettera d. Da siffatta premessa qualificatoria si trae il corollario dell’individuazione quale giudice competente, in forza del comma 2 del successivo art. 113, del “tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza”, ossia del T.A.R. del Lazio, nella cui circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro proponente ed il Consiglio di Stato in sede consultiva.

[76] Consiglio di Stato, VI, 10 giugno 2011, n. 3513.

[77] Ex multis, Cassazione, SS. UU., 5 ottobre 2015, n. 19786; Consiglio di Stato, Ad. plen., 6 maggio 2013, n. 9; 5 giugno 2012, n. 18.

[78] Art. 14, comma 3, cod. proc. amm.

[79] Art. 29 cod. proc. amm.

[80] Rispettivamente art. 114, comma 1, e art. 29 cod. proc. amm.

[81] Come stabilito all’art. 87, commi 2, lett. d, e 3, cod. proc. amm.

[82] Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 4 del diritto; altresì, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 27 maggio 2015, n. 1262.

[83] Consiglio di Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2, punto 4 del diritto.

[84] Il comma 2 dell’articolo 32 cod. proc. amm. deve essere inteso come disposizione di ordine generale, implicante dunque anche la facoltà di riassunzione del giudizio dinanzi al diverso giudice competente per l’azione di annullamento a seguito di conversione dell’azione, secondo Consiglio di Stato, V, 21 novembre 2018, n. 6570; altresì 24 marzo 2016, n. 1218; in argomento, T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 15 marzo 2016, n. 90.

[85] Il comma 4 è stato abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. cc), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al codice); il testo previgente così disponeva: “Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all'articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario”.

[86] Ha sostenuto comunque la necessità del rispetto del doppio grado di giudizio, Consiglio di Stato, V, 1° aprile 2011, n. 2031; ripercorre tutto l’excursus normativo, T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 7 marzo 2018, n. 1460.

[87] Con l’applicazione dell’art. 32, comma 1, cod. proc. amm. riguardante il cumulo delle domande connesse.

[88] Art. 112, comma 3, cod. proc. amm.

[89] Consiglio di Stato, Ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2.

[90] Così, T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 7 marzo 2018, n. 1460.

[91] Consiglio di Stato, Ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2, punto 15 del diritto.

[92] Consiglio di Stato, Ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2, punti 16 del diritto.

[93] Consiglio di Stato, Ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2, punti 17-18 del diritto.

[94] In caso di azione autonoma dovrebbe essere garantito il doppio grado di giudizio, sebbene ciò potrebbe determinare un disallineamento con l’identica azione proposta in sede di giudizio di ottemperanza in unico grado.

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