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L’acqua è un “servizio a rete” come gli altri?

di Nicola Costantino

Lo scorso aprile la Camera dei Deputati ha approvato il d.d.l. “Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l'adozione di tributi destinati al suo finanziamento”. Il testo, contraddicendo in parte il titolo del provvedimento (che voleva rappresentare, nell’originaria stesura, l’implementazione degli esiti del referendum del 2011) sancisce definitivamente la possibilità di gestione del servizio idrico integrato da parte dei privati, di fatto oggi già abbondantemente messa in atto da importanti imprese multiutility a capitale pubblico-privato. Il tema è stato, ed è tuttora, oggetto di un elevatissimo livello di ideologizzazione, che ha visto impegnata una larga parte dell’opinione pubblica (non è un caso che il referendum sull’acqua pubblica sia stato l’ultimo a raggiungere il quorum), contrapposta ai sostenitori dell’efficienza delle privatizzazioni, in termini di economie di scala e di scopo.

Senza voler entrare nel merito del pur interessante dibattito ideologico, e quindi politico, può essere utile evidenziare alcune caratteristiche del servizio idrico integrato (captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua potabile; collettamento e trattamento dei reflui e loro reimmissione nell’ambiente) che lo rendono oggettivamente” differente dagli altri servizi a rete, e meritevole pertanto di specifiche attenzioni, anche prescindendo dal carattere di risorsa assolutamente vitale dell’acqua:

  1. L’acqua non è una commodity. La privatizzazione di molti servizi a rete, come l’energia elettrica, il gas, la telefonia, è fondata - in tutto o in parte - sulla separazione tra proprietà della rete (che - per ovvi motivi - costituisce un “monopolio naturale”, in quanto è impensabile che ogni singola utenza sia servita da tante reti di distribuzione quanti sono i possibili fornitori), e proprietà del “prodotto” (bene o servizio) venduto. Lo stato, attraverso le autority, regola l’insopprimibile monopolio delle reti, lasciando alla libera concorrenza la fornitura del prodotto attraverso esse distribuito. Così, quando scegliamo di cambiare il nostro fornitore di energia elettrica, la rete che ci alimenta resta la stessa: un’unica rete nella quale riversano kw/h tutti i produttori presenti sul mercato, e non c’è nulla che distingua il kw/h da me consumato (e pagato al mio fornitore) da quello consumato dal mio vicino, che ha un differente fornitore; entrambi i kw/h transitano negli stessi cavi. Discorso analogo vale per il gas e, in una certa misura, per la telefonia e la trasmissione dati (“ultimo miglio”). Ciò è possibile perché un kw/h, un mc di gas, un gigabyte di dati sono delle commodity, prodotti cioè fondamentalmente standardizzabili e standardizzati, e - di conseguenza - indistinguibili (se non per il prezzo). Un kw/h fornito (ma sarebbe più corretto dire: immesso in rete) dal produttore X è indistinguibile cioè dall’analogo (identico) prodotto dall’azienda Y, e così via. Per l’acqua, soprattutto se potabile, non è così: ogni fonte di approvvigionamento (sorgente, invaso, impianto di desalinizzazione, ecc.) fornisce la “sua” acqua, delle cui specifiche (ed estremamente articolate) proprietà fisico-chimiche il gestore del servizio è unico responsabile. Ciò significa che, nella pratica, non è pensabile mettere una stessa rete in comune tra differenti fornitori: il contesto di monopolio naturale (cioè insopprimibile) per l’acqua (e solo per l’acqua) è esteso non solo alla rete di distribuzione, ma anche al bene distribuito.
  2. Il “cliente” del servizio idrico integrato non è solo il singolo sottoscrittore del contratto. Mentre il fornitore del kw/h o del mc di gas esaurisce il suo compito al contatore dell’utente, il gestore del servizio idrico integrato deve “chiudere il ciclo”: raccogliere cioè i reflui, trattarli negli impianti di depurazione, e reimmettere nell’ambiente sia la porzione idrica depurata, che la parte solida, trattata per massimizzarne il riuso. L’impatto ambientale di questa chiusura del ciclo (il cui “cliente” è l’ambiente, e quindi la collettività) è enorme, nel bene (si pensi all’utilizzo delle acque affinate per l’irrigazione, o dei fanghi di depurazione e del compost per il contrasto alla desertificazione dei terreni) o nel male (inquinamento delle falde e/o del mare).
  3. Le infrastrutture del servizio idrico integrato sono, nel nostro paese, tuttora largamente inadeguate al fabbisogno. Per le altre utility a rete, il sistema infrastrutturale nazionale è - nel suo complesso ed in prima approssimazione - sostanzialmente definito e configurato: il fabbisogno di investimenti, pur se localmente cospicuo, è prevalentemente relativo ad interventi di “normale” mantenimento ed adeguamento tecnologico. Per il servizio idrico integrato, invece, la situazione è molto diversa. Secondo l’ISTAT (Censimento delle acque per uso civile, giugno 2014; dati riferiti al 2012), il sistema di adduzione e distribuzione dell’acqua, anche  se raggiunge la quasi totalità dei territori e degli utenti, è soggetto ad una inaccettabile obsolescenza fisica (e in parte tecnologica): “.. il 37,4% dei volumi [di acqua] immessi in rete non raggiunge gli utenti finali. Si registra un peggioramento rispetto al 2008, quando le dispersioni di rete erano del 32,1%”. Ciò significa che ogni anno le perdite aumentano di oltre l’1%: gli attuali interventi sulle reti non riescono nemmeno a mantenere costanti le (enormi) perdite! Ancora più preoccupante, per molti versi, è la situazione sul fronte della “chiusura” del ciclo. Sempre secondo l’ISTAT (ibidem), a livello nazionale solo il 57,6% dei carichi inquinanti di origine civile  è trattato negli impianti di tipo secondario o avanzato (cioè a livello adeguato al rispetto delle minime esigenze ambientali). Dal 2012 ad oggi la situazione è migliorata, ma certo non in misura rilevante, né tanto meno risolutiva. Gli investimenti annui nazionali nel Servizio Idrico Integrato oscillano attualmente intorno ad 1,5 Miliardi di €, mentre l’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico stima in 5 Miliardi di € all’anno, per almeno 10 anni, l’investimento necessario per portarci al livello minimo di servizio richiesto dalla Comunità Europea (che infatti continua a moltiplicare le contestazioni di infrazioni comunitarie a nostro carico). Ciò significa che i gestori del servizio idrico integrato sono chiamati non solo a “gestire” e mantenere le infrastrutture esistenti, ma anche (e, nel transitorio, soprattutto) a progettarle e realizzarle: infrastrutture che - è forse il caso di sottolineare - hanno tutte le caratteristiche sostanziali, oltre che giuridiche, della “opera pubblica”, realizzata cioè nell’esclusivo interesse della comunità.
  4. Privato non è (sempre e necessariamente) meglio che pubblico. Un argomento fortemente  ribadito a favore della privatizzazione del servizio idrico integrato è che alcune (molte?) società in house del settore hanno bilanci deficitari, che fanno gravare le loro inefficienze sulla comunità. Ciò è certamente vero in alcuni casi (soprattutto per le più piccole ed inefficienti gestioni comunali in economia), ma ci sono molti ottimi esempi di gestori pubblici del servizio idrico integrato (come SMAT, CAP Holding, Abbanoa, Viveracqua, Acquedotto Pugliese, solo per fare qualche nome) i cui bilanci sono sistematicamente in attivo, con utili che possono essere (e sono) destinati al miglioramento del servizio ed agli investimenti infrastrutturali (assolutamente indifferibili, come si è visto), piuttosto che a soddisfare le (pur assolutamente legittime) aspettative di dividendi degli azionisti.

E’ pertanto opportuno richiamare l’attenzione del legislatore sul dato di fatto, incontrovertibile, che - indipendentemente dalle preferenze aprioristicamente ideologiche per il pubblico piuttosto che per il privato - il servizio idrico integrato ha caratteristiche sostanziali assolutamente uniche, che meritano pertanto un trattamento regolatorio attento, e non una superficiale e frettolosa assimilazione ad altri, strutturalmente differenti, servizi di utility. Non è un caso che - come rilevato anche dall’autorevole associazione Aqua Pubblica Europea - in tutto il mondo si stiano moltiplicando gli esempi di “ripubblicizzazione” di gestori del ciclo idrico troppo frettolosamente, e superficialmente, assimilati ad operatori di altri settori, e pertanto privatizzati.

(23 giugno 2016)

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