Irresponsabili: potere e classe dirigente in Italia. Un dialogo con Alessandra Sardoni (di Simone Lucattini)
Ho in mano il recente libro di Alessandra Sardoni, giornalista nota al pubblico televisivo come conduttrice di Omnibus e inviato della redazione politica del Tg La7. Un libro dal titolo quantomai significativo, Irresponsabili (Rizzoli, 2017), dove s’intraprende un documentato viaggio nelle mille “irresponsabilità italiane” di questi anni e da cui emerge il drammatico bisogno di “leadership trasparenti, efficaci, consapevoli di sé e soprattutto adulte”. Una vera e propria “emergenza classe dirigente”, come l’abbiamo più volte definita su Il Merito. Pratica per lo sviluppo. Ne parliamo con l’Autrice, convinti che sia ormai la forza della necessità a imporre un cambiamento.
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Nell’introduzione del Suo libro, l’invocazione di leadership finalmente “adulte” si lega ad una radicale critica della “tradizione italiana” fatta di èlite politiche intente a “prendere tempo, separare un’azione dalle sue conseguenze, allontanare il momento della risposta”. Una classe dirigente già in passato definita “riluttante” (C. Galli, I riluttanti, Laterza, 2012), dallo “sguardo corto” (L. Ornaghi - V.E. Parsi, Lo sguardo corto, Laterza, 2001). Mi pare di poter dire che l’irresponsabilità sia, per certi versi, una sintesi di riluttanza e mancanza di prospettiva. O c’è anche altro?
Gli irresponsabili del libro sono certamente riluttanti rispetto alla pienezza dei compiti connessi ai loro ruoli. E certamente sono anche privi di una dimensione prospettica: si muovono infatti solo nel presente, pronti a prendere le distanze dal passato e ad evitare il piano delle conseguenze che è precisamente quello della responsabilità. L’elemento ulteriore è che gli irresponsabili cercano e percorrono vie di fuga: consociativismo, corporativismi, familismo, teorie del complotto, deleghe alla magistratura, ricerca di una dimensione “innocente”, infantile e narcisistica …
Le riforme (pubblica amministrazione, in primis) e le azioni (revisione della spesa pubblica) più importanti e urgenti presentano alti costi politici nell’immediato e producono benefici solo sul medio-lungo termine. E la nostra classe dirigente politica non sembra disposta a subire una perdita di consenso, certa oggi, in cambio di un ritorno elettorale incerto, domani. Fatti due conti, il politico non liberalizza, a vantaggio della corporazione di turno, o non taglia la spesa pubblica improduttiva. Un impasse da cui sembra difficile uscire …
Torniamo al tema della dimensione del presente come unica regione frequentata dagli irresponsabili, cioè dalle leadership (non solo politiche) nostrane anche se il fenomeno va allargandosi. In tutto l’occidente c’è una riluttanza quando non una vera e propria allergia ad accettare l’idea della colpa. In Italia si aggiunge ad altre incrostazioni. Certamente lo schema delle campagne elettorali permanenti non aiuta ad uscire dall’impasse che lei opportunamente descrive.
Per poter effettuare scelte dolorose ma necessarie sembra allora non esservi altra soluzione che quella dei tecnici al governo. Una soluzione peraltro più volte sperimentata (governi Ciampi, Dini, Monti) che rappresenta una modalità di deresponsabilizzazione della politica sconosciuta negli altri Paesi europei dove, come osservato dal politologo Gianfranco Pasquino (opportunamente citato nel libro), mai “si accetterebbe una riforma delle pensioni fatta da qualcuno che non è stato eletto” e dove “i partiti ci tengono a dimostrare che al loro interno hanno anche profili e competenze tecniche”. Da noi, invece, i tecnici vengono scelti per lo più per cooptazione e fedeltà al leader del momento e gli intellettuali fanno, tutto sommato, “coreografia” ...
I governi tecnici sono una delle tante vie di fuga degli irresponsabili. Gli si dà il potere per un breve periodo perché facciano le cose che i politici non vogliono fare. Poi rapidamente si prendono le distanze da provvedimenti spesso votati o appoggiati o incoraggiati secondo un meccanismo sempre uguale a se stesso. Ai tecnici si fa scontare il loro essere spesso antipolitici … perché spesso lo sono: c’è un’antipolitica dei tecnici che è poi il loro contrappasso. Diverso è il caso che lei cita: gli innesti dei tecnici nei governi politici.. ad esempio il ministro Padoan nel primo governo Renzi. E’ chiaro che in quel caso deve esserci fedeltà. Però dovrebbe essere condizionata e soprattutto limitata altrimenti perché scegliere il tecnico? E non sempre è così.
A proposito di governi tecnici, mi ha molto colpito la descrizione che si fa nel libro della vicenda, politica e umana, di Elsa Fornero: perfetto capro espiatorio e “unica eccezione alla riottosità italiana ad assegnare le responsabilità politiche individuali”.
Elsa Fornero è una figura importante nello schema di ragionamento del libro. Paga il prezzo di aver imboccato la strada della personalizzazione (lacrime, visibilità, mediaticità personale nel bene e nel male) senza avere sufficiente potere ed essendo “impolitica”. Caratteristiche che ne fanno la candidata perfetta al ruolo di capro espiatorio. Il suo doverismo, il suo coraggio e anche una dose di vanità la rendono capace di assumersi la responsabilità della riforma delle pensioni e questo fa comodo a tutti gli altri. Nulla come la previdenza è il campo di gioco della politica italiana … di tutti i partiti perfino di quelli che teoricamente avevano puntato sulle questioni generazionali.
Lo sguardo corto delle nostre leadership politiche pare aggravato da una generale perdita di fiducia e credibilità. Il tempo è infatti una risorsa di cui il politico si dota attraverso la fiducia: i cittadini danno al politico il tempo necessario a realizzare un determinato progetto, anche sopportandone i costi, fintantochè si fidano di quel politico. Ma se le élite politiche non godono più della fiducia dei cittadini, allora, la risorsa-tempo viene, per forza di cose, presto a mancare. Ci si stanca presto, et voilà, nuovo giro di valzer: nuova classe dirigente, nuovo progetto, in una corsa senza fine e, soprattutto, senza risultati tangibili e duraturi.
Questo fenomeno è comune anche ad altri paesi. Da noi è più forte perché abbiamo un’offerta politica che specie dopo il governo Monti, è ancor più riluttante a cavalcare il tema dei sacrifici, a parlare in modo veritiero e a proporre una prospettiva di medio e lungo termine facendo leva sul tema dei figli. In una specie di mostruosità ormai antropologica i figli si proteggono in modo forsennato da tutto e in cambio li si chiude nel presente, nel nostro presente, sottraendo loro il futuro … loro non crescono e i genitori… nemmeno.
Più in generale il nostro Paese sconta un grave problema di selezione della classe dirigente, politica e non. Alla base c’è sicuramente un problema di formazione e selezione. In Italia sono venute meno le scuole di partito, l’Iri – palestra di manager pubblici –, anche la Banca d’Italia mostra qualche acciacco e la Scuola superiore della pubblica amministrazione non è mai decollata, neppure avvicinandosi al livello dell’Ecole nationale d’administration francese. Una selezione che di certo, come emerge dal Suo libro, non può essere appaltata alla giustizia e alla magistratura che altrimenti finisce per svolgere un improprio ruolo di supplenza?
E’ così l’irresponsabilità, la tentazione dell’innocenza, il narcisismo, “l’infantilismo” e la “vittimizzazione” sono proprio le facce di questa mancanza di visione e dello sforzo di trovarla o costruirla.
Nelle conclusioni del libro, si parla del tramonto dell’Europa come vincolo esterno. Abbiamo insomma reso ormai inutilizzabile anche la formula, quasi liturgica, “ce lo chiede l’Europa”, “panacea contro l’impopolarità dei sacrifici … virtù taumaturgica contro i vizi del Paese”. L’unico vettore delle scelte pare divenuta “la forza oggettivante dell’emergenza”. Di fronte alle sfide epocali che attendono l’Italia sembra dunque aprirsi una drammatica crisi di visione, di fronte alla quale il costo dell’irresponsabilità rischia davvero di divenire insopportabile.