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La neutralità della rete 

(di Irene Polito*)

Sommario: 1. Il principio -  2. Il dibattito attorno alla neutralità - 3. I diritti nella rete - 4. Una breve conclusione … all’insegna del merito

1. Il principio

La neutralità della rete è un principio[1] affermatosi negli ultimi anni,  al centro di un dibattito che, coinvolgendo stakeholders, istituzioni europee e internazionali, mette in relazione  tecniche, strumenti e  policy utilizzate per gestire il trasporto delle informazioni sulla rete.  Viene inteso come quel carattere della rete in base al quale, secondo la logica del “best effort”[2] , qualsiasi forma di comunicazione elettronica veicolata da un operatore deve essere trattata in modo uniforme, indipendentemente dal contenuto, dall’applicazione, dal servizio, dal terminale, nonché dal mittente o dal destinatario.

 L’applicazione del principio di neutralità comporta, insomma, l’assenza di corsie preferenziali per i contenuti e di criteri arbitrari di gestione del traffico da parte degli operatori[3] e implica quindi il divieto[4] – per gli stessi operatori –  di discriminare dati e informazioni, attraverso differenziazioni (prioritisation) o pratiche di traffic management.

Il concetto di neutralità racchiude quindi l’insieme delle condizioni tecniche, giuridiche e commerciali in virtù delle quali si garantisce la parità di trattamento dei dati veicolati in rete e la facoltà degli utenti di accedere liberamente a contenuti, servizi e applicazioni di propria scelta. Il principio di una rete neutrale può dunque essere considerato un reale strumento di garanzia per la salvaguardia della sua natura libera e democratica. E infatti, di pari passo con l’evoluzione del concetto di neutralità si è affermata la suggestiva visione della rete come una moderna e democratica agorà, un luogo aperto dove ciascuno liberamente acquisisce e scambia contenuti, veicola conoscenza e idee. Tuttavia la rete deve tener conto delle (spesso inevitabili) attività di gestione del traffico da parte degli operatori poste in essere per mantenere adeguati i livelli di concorrenza del mercato. Tali pratiche, funzionali all’efficienza e alla sicurezza della rete stessa, sono dirette ad evitarne il congestionamento e  impedire la diffusione di contenuti o servizi illegali.

Perciò il ricorso a pratiche di traffic management da parte degli operatori costituisce ormai una prassi diffusa,  al punto di considerarsi lecita, purché non arbitrariamente discriminatoria o restrittiva della concorrenza. Difatti, se non disciplinate, le attività di gestione del traffico sono in grado di alterare il carattere neutrale della rete condizionandone l’accesso, la qualità dei servizi offerti e la libera circolazione dei contenuti a danno degli utenti. Per questo motivo tutte le azioni di traffic management devono essere attuate attraverso regole, capaci di assicurare il carattere aperto, democratico e universale della rete, e di rispettare i principi di trasparenza, informazione, accesso e concorrenza tra servizi applicazioni e contenuti.    

2. Il dibattito attorno alla neutralità

La dimensione universale della rete, il suo carattere neutrale, le garanzie, le libertà ad essa connesse hanno generato un dibattito nel quale gli Stati Uniti d’America – tradizionalmente sensibili allo sviluppo tecnologico e alle garanzie democratiche – hanno ricoperto un ruolo centrale[5]. In particolare la Federal Communication Commission (FCC) ha elaborato una serie di regole finalizzate a proteggere la libertà[6] di espressione, l’innovazione, gli investimenti nella banda larga e l’acceso a una rete equa, aperta e veloce[7].

Le regole create dall’FCC[8] prevedono l’assenza di blocchi (per i fornitori di banda larga che non possono ostruire l’accesso ai contenuti leciti, alle applicazioni, ai servizi o ai dispositivi non dannosi) e  di strozzature  (i fornitori di banda larga non possono affievolire o danneggiare il traffico lecito su internet sulla base di contenuti, applicazioni, servizi o dispositivi non dannosi).

Nessuna priorità è prevista per i pagamenti in rete, infatti i fornitori di banda larga non possono – sempre secondo l’FCC – favorire il traffico in internet sulla base di discriminazioni o preferenze di alcun genere, in altre parole: “no fast lanes”.

Anche l’Europa[9] ha fatto sentire la propria voce nel dibattito sulla neutralità, elaborando regole a  garanzia di una rete aperta e democratica in grado di coniugare garanzie di pluralismo, sviluppo delle tecnologie  e completezza dell’informazione. Nel dibattito sulla neutralità l’Europa ha quindi prestato particolare attenzione[10] alla previsione di regole a presidio della trasparenza informativa degli utenti al fine di offrire servizi in linea con gli standard contrattuali pattuiti con gli operatori.

 Tra le più recenti iniziative nazionali in tema di neutralità vi è l’emanazione della Dichiarazione dei diritti di Internet[11]. Può dirsi in generale che i principi affermati nella Dichiarazione tengono conto del valore universale della rete, intesa come uno spazio democratico che rende possibili innovazione, concorrenza e affermazione di diritti.

In particolare nell’articolo 4 della Dichiarazione, rubricato “Neutralità della rete”, viene sancito il diritto di ogni persona a che i dati trasmessi e ricevuti in internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone. Secondo tale previsione, dunque, il diritto ad un accesso neutrale alla rete è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona.

Negli ultimi anni la neutralità della rete è stata oggetto di molteplici disegni di legge[12].

 Il più recente è stato presentato nello scorso luglio nell’ambito dei lavori della Commissione per i trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera. 

Il disegno di legge ha in primo luogo come obiettivo quello di stabilire regole che possano evitare una Rete con corsie preferenziali, determinando conseguenti vantaggi e svantaggi per i clienti nell’uso di servizi e/o contenuti.

 In secondo luogo prevede regole per la prioritizzazione del traffico in Rete e il diritto per gli utenti di scegliere contenuti e servizi indipendentemente dalla piattaforma che utilizzano.

 Non esclude, infine, la commercializzazione di servizi a valore aggiunto purchè questi non siano discriminatori per gli utenti e impediscano forme di degradazione del traffico in Rete tranne che per motivi di congestione della rete o per ragioni di sicurezza.

La ratio ispiratrice di tutti i disegni di legge fino ad ora esaminati dal Parlamento è quella di garantire una Rete realmente neutrale attraverso una filiera neutrale, non discriminando i contenuti sulle diverse piattaforme tecnologiche che ancora oggi, sono tra loro spesso non compatibili determinando c.d.“walled gardens” (“sistemi chiusi”), nei quali l’utente è costretto o è preferenzialmente indotto a usare determinate applicazioni rispetto ad altre.

3. I diritti nella rete

Spazio di comunicazione, confronto, partecipazione, sviluppo economico e sociale. Si sa, la rete è ormai divenuta una presenza indispensabile della vita quotidiana, un luogo nel quale i diritti della persona trovano piena tutela e reali garanzie. Internet, con il suo carattere neutrale libero e aperto, contribuisce infatti alla realizzazione della c.d. net freedom di ciascun individuo. Tale espressione, che pure assume una varietà di significati nel dibattito pubblico, riguarda in senso lato il pieno godimento dei diritti costituzionali di libertà di comunicazione e informazione, di manifestazione del pensiero, di aggregazione e partecipazione politica, di accesso alle informazioni presenti in rete[13].

Il rapporto rete/individuo ha stimolato la creazione dei c.d. nuovi diritti, riconducibili però sempre all’articolo 2 della Costituzione che costituisce la “valvola aperta” all’evoluzione sociale ed alle trasformazioni dei diritti contenuti nella nostra carta costituzionale.  E tra i diritti di nuova creazione assume particolare rilievo l’accesso alla rete, quale strumento attraverso cui esercitare altre libertà fondamentali, quali la libertà di manifestazione del pensiero (art.21) e la libertà d’impresa (art.41).

Per questa via la rete può accelerare il processo di democratizzazione della società, attraverso la moltiplicazione di centri informativi e decisionali, in particolare promuovendo un’informazione plurale e svincolata dai tradizionali circuiti editoriali fatta dai singoli che divengono, da meri utenti, produttori attivi e protagonisti consapevoli di contenuti. La democrazia ai tempi di internet si svolge infatti attraverso l’utilizzo massivo di applicazioni interattive e social network, che rappresentano lo strumento più immediato e di larga diffusione per la partecipazione dei cittadini alla vita democratica di un paese.

L’evoluzione tecnologica ha finito anche per cambiare il modo di svolgere le campagne elettorali che oggi si svolgono secondo modalità e tempi assai differenti dalla ormai datata legge sulla par condicio del 2000[14]

Gli effetti di questa innovazione si apprezzano anche sul versante della pubblica amministrazione. Grazie alla rete si sono infatti sviluppati concetti quali quali l’e-government[15], l’e-democracy e l’open data.

Gli open data sono dati che possono essere liberamente utilizzati, riutilizzati e redistribuiti, con la sola limitazione della richiesta di attribuzione dell’autore e della redistribuzione “allo stesso modo” (ossia senza che vengano effettuate modifiche), oltrechè delle fondamentali garanzie di privacy e tutela dei diritti.

I dati prodotti e detenuti dalla pubblica amministrazione rappresentano una risorsa in termini di efficienza del settore pubblico, di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa, più in generale un elemento per favorire la crescita economica e la competitività. In primo luogo, gli open data contribuiscono all’evoluzione del concetto di trasparenza, intesa come “accessibilità totale (…) delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione”,  in una accezione ben più ampia rispetto a quella della legge generale sul procedimento amministrativo (n.241/1990). In secondo luogo, i dati pubblici servono  per valorizzare e rendere fruibile la massa immensa di informazioni prodotte dal settore pubblico[16].

Mettere a disposizione   del cittadino e delle imprese dati gestiti dall’amministrazione in formato aperto rappresenta un epocale passaggio culturale necessario per il rinnovamento delle istituzioni nell’ottica di garantire sempre maggiore trasparenza e pubblicità. Si favorisce infatti così un controllo costante dei cittadini sull’operato e sui processi decisionali dei soggetti istituzionali, funzionale alla maggior efficienza dell’apparato burocratico.

Nell’ottica della condivisione dei dati, i cittadini non sono più soltanto consumatori passivi di informazioni messe a disposizione dalle amministrazioni, ma hanno l’opportunità di riutilizzare e integrare i dati messi loro a disposizione, collaborando effettivamente con i soggetti istituzionali e partecipando attivamente al governo della cosa pubblica. In questa direzione sembra muovere, di recente, la c.d. Legge Madia che, proprio comprendendo il valore dell’accesso e della condivisione pubblica dei dati attraverso la rete, all’articolo 7[17], ha previsto una delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

4. Una breve conclusione … all’insegna del merito

Neutralità della rete e open data rappresentano un’opportunità di crescita e sviluppo di un sistema- paese che si vuole auspicabilmente fondato sul merito e sulla valorizzazione delle competenze.

Favorendo la circolazione delle idee, si può consentire alle migliori di emergere; aprendo i dati si può fornire un impulso – anche  con l’aiuto di efficaci provvedimenti legislativi di futura emanazione - allo sviluppo e alla crescita economica: nella società dell’informazione i dati e le informazioni custodite dalle pubbliche amministrazioni (si pensi ai dati per piani urbanistici, a quelli sulla formazione, sul lavoro, sulla criminalità, sulla salute, ambientali etc.) possono infatti essere utilizzati come “benzina” per l’economia dell’immateriale, per produrre beni e servizi, per avviare start-up innovative. Questi dati possono, ove opportunamente integrati con quelli dei privati, favorire ad esempio aperture di punti vendita, valutazioni ottimali del rischio di credito, consentire l’ottimizzazione del consumo energetico. A costo zero. 

* Le opinioni contenute in questo scritto sono espresse dall’autrice a titolo personale e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

[1]Il primo a definire il concetto, che tuttavia resta controverso per la dottrina, di neutralità della rete fu Tim Wu  che, nel 2003, elaborò l’idea di una rete informativa pubblica utile a trattare tutti i contenuti i siti e le piattaforme allo stesso modo. Tim Wu in quell’anno pubblicò infatti sul primo blog dedicato al tema: «Network neutrality is best defined as a network design principle. The idea is that a maximally useful public information network aspires to treat all content, sites, and platforms equally». «Network neutrality is best defined as a network design principle. The idea is that a maximally useful public information network aspires to treat all content, sites, and platforms equally». Sulla neutralità della rete può leggersi anche, dello stesso Tim Wu, Network Neutrality, Broadband Discrimination, Journal of Telecommunications and High Technology Law, Vol. 2, p. 141, 2003.

[2]L’espressione “best effort” indica che la qualità della trasmissione è “la migliore possibile”, senza necessariamente garantire specifici livelli di servizio. Ciò potrebbe apparire un limite, ma in realtà costituisce un vantaggio enorme poiché semplifica la realizzazione delle infrastrutture, rende più facile incrementare le prestazioni degli apparati e dei sistemi di comunicazione e stimola lo sviluppo di applicazioni che ottimizzano l’utilizzo delle infrastrutture stesse. 

[3]C.d. Internet Service Provider (ISP), ovvero operatori che offrono servizi di trasporto in rete.

[4] Di net neutrality si è discusso soprattutto con riguardo al ruolo degli Internet Service Provider   che contestano agli Over The Top (c.d. OTT che offrono servizi applicativi, come Apple, Netflix o Google) di saturare la rete, traendone ingenti guadagni, senza contribuire agli investimenti che gli operatori di telecomunicazione devono fare per garantire il funzionamento della rete stessa. Esiste una forte separazione tra ISP e OTT che alimenta il dibattito sulla neutralità soprattutto in relazione alle forme di gestione del traffico e di garanzia dei diritti fondamentali degli utenti. In questo contestoInternet è omologabile ad un servizio commodity, dai bassi margini e con scarsa capacità di differenziazione.  Per questo motivo molti ISP vorrebbero stipulare accordi commerciali che definiscano la velocità e le condizioni secondo le quali il singolo OTT è messo nelle condizioni di operare sulle reti di trasporto degli stessi ISP. In altre parole, gli ISP vorrebbero poter incassare una sorta di pedaggio. Di fatto, accadrebbe che l’utente avrebbe servizi OTT più o meno veloci in funzione di quanto essi (OTT) hanno singolarmente negoziato con l’ISP utilizzato da quello specifico utente. In questo scenario, la rete non è più neutrale, ma privilegia chi ha specifici accordi commerciali “aggiuntivi” rispetto a quanto già previsto.

[5]Il 2002 ha visto l’emanazione del Cable Modem Order, atto nel quale si sanciva l’uscita della banda larga dal novero dei servizi di telecomunicazione regolamentati classificandola, genericamente, come un “information service” (testo integrale su https://apps.fcc.gov/edocs_public/attachmatch/FCC-02-77A1.pdf).

[6]La Federal Communication Commission ha emanato nel 2009 l’Open Internet Order che definiva la net neutrality un modello inclusivo del principio di trasparenza, il divieto di blocco e il divieto di discriminazione irragionevole nella trasmissione del traffico sulla rete.

[7] Nel 2010 il dibattito americano sulla neutralità della rete si è arricchito di una celebre decisione - resa dalla Corte Federale del distretto di Columbia  sul caso Comcast , una società fornitrice di servizi internet. La società rallentava il traffico degli utenti che scaricavano file da BitTorrent, e  la Federal Communications Commission gli aveva pertanto ordinato di cessare l’attività per preservare la neutralità della rete.  Di contro l’FCC era colpevole secondo l’ISP di avere oltrepassato i limiti delle sue competenze regolative. Nel 2010 la Corte di appello federale del District of Columbia ha dato ragione alla società Comcast, affermando che l’ FCC non ha il potere di regolare la neutralità della rete. La decisione ammetteva per gli ISP la facoltà di limitare o ostacolare, discrezionalmente, l’accesso alla rete da parte degli utenti.  Il percorso americano verso l’affermazione della neutralità della rete è proseguito poi con il Net Neutrality Bill che, nel 2010, prevedeva un obbligo, da parte degli Internet Service Provider, di non discriminazione nella fornitura dei servizi di accesso.

[8] Un'altra tappa importante è rappresentata dalla sentenza del 14 gennaio 2014 nella causa Verizon nei confronti dell’FCC.

[9] La Commissione europea  in occasione della review del pacchetto direttive Telecom del 2002 ha dichiarato di voler tutelare il principio della neutralità inserendolo nella Direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 “recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e  2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e  i servizi di comunicazione elettronica”.

[10] In Italia, in particolare, al fine di promuovere la concorrenza nei mercati delle comunicazioni elettroniche e garantire che vengano rispettati i diritti fondamentali degli utenti, quali la libertà di manifestazione del pensiero e l’accesso all’informazione in rete,  l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha adottato la  delibera n. 40/11/CONS - ”Neutralità della rete: avvio di consultazione pubblica” e la delibera n. 714/11/CONS  - “La neutralità della rete: pubblicazione delle risultanze della consultazione pubblica di cui alla delibera n. 40/ 11/CONS”. L’ analisi svolta dal regolatore ha evidenziato la necessità di rafforzare il presidio della trasparenza informativa per gli utenti, affinché i servizi loro offerti siano conformi ai criteri di chiarezza, adeguatezza e accessibilità.

[11]La Dichiarazione è fondata sul riconoscimento della libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona, e configura la rete come uno spazio fondamentale per lo sviluppo dell’individuo - singolo e in società - e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale. 

[12] Dal 2011 disegno di legge N. 2576 presentato nell’ambito della sedicesima Legislatura.

[13]Questi principi sono stati richiamati all’articolo 1, paragrafo 3, della Direttiva Quadro 2002/21/CE, integrata dalla 140/09/CE e nella citata Dichiarazione della Commissione sulla neutralità della rete.

[14]La legge sulla c.d. par condicio è la n.28 del 22 febbraio del 2000, mai  novellata. E’ pertanto ormai vieppiù evidente lo scollamento tra le tecnologie oggi utilizzate e le modalità di tutela del pluralismo nei mezzi d’informazione. Ragion per cui l’Agcom ha segnalato al Governo la necessità di aggiornare la legge n. 28 del 2000.

[15]Attraverso l’e-government si consegue l’obiettivo di informatizzare la struttura burocratica, digitalizzare i documenti, ottimizzare i servizi pubblici rendendoli accessibili e trasparenti, conferendo agli utenti condizioni chiare e garantite di utilizzo degli stessi.

[16]A livello comunitario, al fine di agevolare il riutilizzo delle informazioni in possesso degli enti pubblici degli Stati membri, l’Unione Europea ha adottato la Direttiva 2003/98/CE del 17 novembre 2003 (recepita dall’ordinamento italiano con il decreto legislativo 24 gennaio 2006 n. 36, “Attuazione della direttiva Vademecum – Open Data 10 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico”) che ha attribuito a ciascuna Amministrazione la possibilità di autorizzare il riutilizzo delle informazioni che vengono raccolte, prodotte, e diffuse nell’ambito del perseguimento dei propri compiti istituzionali. Successivamente, con il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005), è stato introdotto l’importante principio di “disponibilità dei dati pubblici” (enunciato all’art. 2, comma 1, e declinato dall’art. 50, comma 1, dello stesso Codice) che consiste nella possibilità, per soggetti pubblici e privati, “di accedere ai dati senza restrizioni non riconducibili a esplicite norme di legge” (art.1, lett. o). In tale ottica, con la riforma del Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 235/2010), il Legislatore ha inteso recepire espressamente la dottrina dell’Open Data, sollecitando le Amministrazioni ad aprire il proprio patrimonio informativo; nella sua attuale formulazione, infatti, l’art. 52, comma 1-bis, D. Lgs. n. 82/2005, prevede espressamente che “le pubbliche amministrazioni, al fine di valorizzare e rendere fruibili i dati pubblici di cui sono titolari, promuovono progetti di elaborazione e di diffusione degli stessi anche attraverso l’uso di strumenti di finanza di progetto”, utilizzando formati aperti che ne consentano il riutilizzo.

[17]  Legge 7 agosto 2015, n. 124 (“Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche”) - Art. 7 – Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza.

  (31 dicembre 2015)

 

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