L’iper regolazione come succedaneo dell’enforcement (di Federico Luiso)
Uno dei fardelli che affligge l’Italia è l’eccesso di regolazione. Il tema della over-regulation è da tempo al centro del dibattito pubblico, e viene spesso individuato come una delle ragioni alla base della preferenza degli investitori verso altri ordinamenti più semplici e scorrevoli. Lo ha ricordato, in tempi recenti, anche il presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario della giustizia amministrativa.
L’over-regulation, o iper regolazione, intesa come l’eccessivo ricorso a regole e regolamenti, è un fenomeno vasto e diversificato, che interessa atti normativi di ogni rango e disciplina.
Il presente articolo vuole analizzare, in particolare, l’attività regolatoria dell’Autorità per l’energia, il gas ed il sistema idrico, ed alcune delle ragioni che hanno portato questa Istituzione a triplicare la quantità di regole nel corso degli ultimi 12 anni.
L’Autorità per l’energia, sul versante dei mercati energetici, definisce le regole applicabili sia sui segmenti della filiera liberalizzati (importazione, produzione e vendita), sia su quelli ancora in monopolio (trasmissione, distribuzione, dispacciamento, ecc.).
L’ analisi che segue riguarda prevalentemente la regolazione dei settori in monopolio, quindi, nello specifico, i rapporti tra il regolatore e i soggetti che eserciscono servizi di pubblica utilità, sebbene possa essere applicata, in una certa misura e fatte le dovute distinzioni, anche nei settori in cui l’attività è esercitata liberamente.
Ma prendiamo le mosse da qualche numero: attualmente la regolazione dell’Autorità per l’energia si compone, tra l’altro, di 19 Testi Integrati[1] per la regolazione dei servizi che ricadono sotto la sua competenza, per un totale di 910 pagine fitte di norme.
I 9 principali e più “longevi” Testi Integrati[2], i quali attualmente assommano 618 pagine, nella loro prima versione contavano, complessivamente, 260 pagine. Cioè nel tempo il loro volume cartaceo è più che raddoppiato (+138%).
L’incremento è lento e inesorabile: ad ogni aggiornamento viene aggiunto qualche articolo e qualche pagina.
Pienamente azzeccata appare la metafora, inventata qualche anno fa da due giuristi americani[3], che assimila questo continuo incremento della regolazione ad un processo geologico che porta alla crescita di una zolla o placca tettonica attraverso una continua aggiunta di materiale, accretion in inglese, “accrezione” o, forse meglio, “stratificazione” in italiano.
Si noti che il fenomeno cui ci si riferisce non riguarda l’implementazione di nuove disposizioni regolatorie per effetto di modifiche rilevanti delle norme di rango primario o di forti discontinuità – tecniche o economiche – del sistema regolato, bensì un incremento graduale e costante che si registra a parità di assetto e condizioni di contesto. Tipicamente, si tratta di regole sempre più di dettaglio, che vanno a disciplinare aspetti marginali – intesi non come irrilevanti, ma come di secondo livello – della regola generale pre-esistente.
Un esempio: il Testo Integrato delle Connessioni Attive[4] (TICA), nella sua prima versione del 2008, individuava in un paio di pagine la procedura applicabile per connettere alla rete elettrica un impianto di produzione di energia elettrica: richiesta di connessione, preventivo, autorizzazione delle opere da realizzare, realizzazione delle stesse ed entrata in esercizio dell’impianto. Oggi la procedura è sempre la stessa, il contesto non è cambiato, ma le disposizioni che regolano le sue diverse fasi (anch’esse immutate) occupano 20 pagine.
Ciò perché il regolatore adesso descrive minuziosamente tutti i passaggi e tutte le opzioni che si possono presentare nel corso della gestione di un iter per la connessione alla rete di un impianto di produzione, “guidando” passo per passo gli operatori, come in una sorta di manuale operativo.
Da cosa dipende questa tendenza, quasi irreversibile, ad incrementare continuamente la quantità di regole? E soprattutto è veramente necessario regolare ogni singolo dettaglio di una determinata attività?
Ebbene, il motivo principale della accretion della disciplina regolatoria – almeno per quanto riguarda la realtà nazionale che l’autore di queste note ha avuto occasione in questi anni di sperimentare – è una reazione del regolatore al comportamento degli operatori regolati.
Succede, infatti, che frequentemente l’atteggiamento degli operatori, soprattutto in Italia, nei confrontidella regolazione sia del tipo:
-
non sono tenuto a fare ciò che non è espressamente prescritto;
-
se non ho una penalizzazione diretta e immediata derivante dal mancato rispetto di un obbligo, questo è come se non esistesse.
Nella prospettiva segnata dal primo atteggiamento (“faccio solo ciò che mi s’impone espressamente di fare”), una norma semplice e breve può anche apparire, inevitabilmente, lacunosa, nel senso che essa non copre tutte le possibili situazioni e variabili che possono presentarsi nello svolgimento di un determinato servizio.
Ancora un esempio. Nella prima versione del TICA non vi è alcun riferimento alla modifica di un preventivo per la connessione; non perché il regolatore non contempli questa eventualità, ma perché, evidentemente, ritiene che non ci sia bisogno di regolare tale aspetto, immaginando che i soggetti coinvolti possano, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, accordarsi ove un preventivo di connessione necessiti di essere modificato.
Ma poi la realtà va in una diversa direzione: i gestori delle reti tendono a negare qualsiasi tipo di modifica del preventivo, sulla base del fatto che la regolazione non la prevede esplicitamente. Ecco dunque che il regolatore si sente in dovere di intervenire, integrando la disciplina con esplicite disposizioni relative alla modifica del preventivo[5].
Un esempio di stratificazione della regolazione che è conseguenza, invece, del secondo atteggiamento mentale dianzi individuato - “faccio ciò che mi viene imposto solo se c’è una pena, penalizzazione o sanzione” - riguarda l’imposizione di termini per l’adempimento a determinati obblighi.
Nelle prime versioni circolanti di una delibera, solitamente, l’Autorità per l’energia si limita a prevedere un termine entro il quale gli esercenti di un servizio pubblico sono tenuti ad effettuare una data prestazione.
Se la maggior parte degli esercenti rispetta il termine, il regolatore dovrà intervenire solo per richiamare e, se del caso, sanzionare quei (pochi) operatori che non rispettano le scadenze.
Ma nel nostro Paese un obbligo non connesso ad una immediata penalizzazione pecuniaria, o di altro genere, è come se non esistesse; ecco quindi che limitarsi a porre un termine per l’esecuzione di una prestazione – senza disporre al contempo una misura afflittiva direttamente conseguente alla sua violazione – significa la pressoché assoluta certezza che la prestazione non sarà mai resa entro quel termine.
Il passo successivo, quindi, anche a tutela dell’utente, è di prevedere un indennizzo “automatico”, vale a dire una penalizzazione economica che l’esercente deve corrispondere all’utente in maniera, per l’appunto, automatica, ogni volta che eroga una prestazione oltre la scadenza prevista. Solitamente l’indennizzo automatico è legato proporzionalmente al ritardo riscontrato.
Ma anche questo può non bastare.
È infatti accaduto che l’esercente ritardatario ammettesse, sì, il diritto dell’utente di percepire l’indennizzo, ma poi si riservasse di erogarlo con “comodo”, lasciando passare mesi, se non anni, prima di effettuare il versamento. Ed allora, ecco il regolatore che interviene di nuovo con una disposizione aggiuntiva, imponendo un termine entro cui l’indennizzo automatico deve essere versato e, ovviamente, un altro indennizzo automatico per la mancata erogazione entro i termini del primo indennizzo[6]. Si potrebbe procedere così all’infinito…
L’effetto ultimo di questo meccanismo perverso è proprio l’accrescimento – stratificazione – di obblighi, previsioni, regole.
Ma la proliferazione indefinita e incontrollata della regolazione comporta numerose conseguenze negative, non solo per i soggetti regolati, ma anche per il regolatore stesso.
Innanzitutto, dal lato dell’operatore soggetto alla regolazione, è indubbio che all’aumentare degli obblighi aumenta anche il rischio di non riuscire a rispettarli tutti. Ciò può avvenire sia inconsapevolmente, perché le regole sono così tante che qualcuna può sempre sfuggire, sia consapevolmente: alcuni operatori, infatti, valutano così costoso mantenere un presidio a 360 gradi su tutta la sterminata disciplina regolatoria che preferiscono accettare il rischio di essere sanzionati.
Ma anche dal lato istituzionale insorgono non trascurabili problemi: la funzione di vigilanza e controllo del rispetto delle regole diventa sempre più complessa e dispendiosa all’aumentare del numero delle regole da controllare. Questo, purtroppo, è un aspetto che spesso lo stesso regolatore non coglie a pieno.
Al riguardo, un attento studio empirico[7], ha fatto emergere che, sia i regolatori che i soggetti regolati, ritengono la stratificazione delle norme uno dei fattori più rilevanti tra quelli che ostacolano il pieno rispetto delle regole e il raggiungimento degli obiettivi che esse si prefiggono.
Un “bel problema”, dunque, e non soltanto italiano stavolta, va detto. Quali possono essere le soluzioni? Una, a mio avviso, vi sarebbe, anche se non è facile metterla in pratica nella misura corretta. A ben vedere, difatti, l’over-regulation non è altro che un surrogato (improprio) dell’esercizio delle funzioni di vigilanza e di enforcement[8].
Mi spiego meglio. Ogni volta che il regolatore si rende conto che una sua disposizione è applicata male o che l’operato di un soggetto regolato non è conforme alle sue aspettative, reagisce andando ad aggiungere una nuova regola, con cui rende esplicito quel particolare obbligo che intende far rispettare. Così, inseguendo i soggetti regolati in ogni minuzioso dettaglio della propria attività, il regolatore finisce per edificare discipline di centinaia di pagine, che, alla fine, rischiano di diventare, di fatto, inutilizzabili.
Una possibile alternativa rispetto a questo “puntiglioso ardore regolatorio” passa, invece, dal limitarsi ad individuare ex ante i principi generali e gli obiettivi di una certa disciplina, lasciando gli operatori molto più liberi di addivenire al risultato finale richiesto, secondo le modalità che ritengono più opportune, e, al contempo, rafforzare i controlli ex post e rendere più severa e certa la punizione in caso di violazione.
Il punto cruciale è, come intuibile, il secondo; perché “rilasciare” vincoli regolatori può anche essere semplice (altrettanto semplice potrebbe non essere, invece, definire in modo chiaro i principi generali di comportamento), ma certamente ciò che manca nella nostra cultura regolatoria è un sistema di controlli efficace che punisca davvero le violazioni e che serva da deterrente per gli operatori.
In conclusione, è ormai assodato, a tutti i livelli, che la quantità eccessiva delle regole va a discapito della qualità e dell’efficacia delle stesse: limitare l’effetto di stratificazione delle regole ed evitare che queste vengano impropriamente utilizzate come succedaneo delle attività di enforcement potrebbe costituire, almeno a livello di principio, un buon punto di partenza per dare vita ad un sistema complessivamente meno farraginoso e più sotto controllo.
* Le opinioni espresse sono a titolo personale e non impegnano l’Istituzione d’appartenenza.
[1] Il Testo Integrato è un regolamento che racchiude in sé l’intera disciplina di una materia specifica (connessione alla rete, vendita al dettaglio, misura, ecc.) e che viene aggiornato nel tempo.
[2] TICA, TIME, TIMM, TIQE, TIQV, TIS, TISP, TIU e TIV.
[3] J.B. RUHL-J. SALZMAN, in Mozart and the Red Queen: the problem of regulatory accretion in the administrative state, in The Georgetown Law Journal, Vol. 91:257, 2003.
[4] Allegato A alla delibera dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico ARG/elt 99/08.
[5] Che nella versione attuale della norma occupano circa tre pagine.
[6] Sembra paradossale e, in effetti, lo è. Chi non ci crede può andare a leggersi gli articoli 14 e 40, comma 5, del TICA.
[7] J.B. RUHL-J. SALZMAN, op. cit., pag. 791 e segg.
[8] Intesa come l’attività di indurre il rispetto di una legge, regola, obbligo o divieto.
30 marzo 2017