Elementi di extraterritorialità nella disciplina REMIT: dal principio di territorialità alla dottrina degli effetti (di Chiara Petruzzo)
Non vi è consenso unanime in dottrina sulla definizione del perimetro di intervento di uno Stato rispetto a fattispecie che presentano elementi di connessione con altri ordinamenti. Orientamenti diversi si contrappongono sul punto.Si conoscono tuttavia diversi criteri di collegamento generalmente riconosciuti e applicati dagli Stati e rivolti ad individuare le circostanze in presenza delle quali l’esercizio della giurisdizione è ammesso oltre i confini territoriali. Il primo e più antico criterio di collegamento è il cd. principio di nazionalità, secondo cui lo Stato ha la potestà di adottare regole nei confronti dei propri cittadini. Un altro criterio, quellodella “territorialità”, implica che uno Stato possa regolare le fattispecie che si svolgono sul proprio territorio mentre secondo il principio di protezione, gli Stati possono esercitare la propria giurisdizione al di fuori dei propri confini territoriali, per tutelare gli interessi vitali dello Stato, quali la sicurezza, l’ordine pubblico o l’indipendenza politica. Nel settore penale e rispetto a fattispecie di reato particolarmente gravi, vigeil cd. principio di universalità.
Al di là dei criteri di collegamento sopra menzionati e convenzionalmente accettati, quando si passa all’applicazione in concreto, oltre i confini territoriali, di certe normative specifiche, si rileva che ciascuno Stato opera una precisa scelta di opportunità in funzione dei propri interessi, “a prescindere dalla sussistenza di una vera e propria legittimazione ad applicare con efficacia extraterritoriale le norme del foro”.
Ai sensi dell’articolo 47 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), l’Unione Europea ha personalità giuridica ed è soggetto giuridico autonomo di diritto internazionale pubblico. In relazione alla giurisdizione, quindi, l’Unione Europea è soggetta alle medesime regole che si applicano agli Stati.
Al pari degli altri “Stati”, anche in ambito europeo, ed in materia antitrust in particolare,l’applicazione extraterritoriale del diritto europeo è stata informata dal perseguimento di un interesse specifico della Comunità – e oggi dell’Unione. La giurisprudenza ha giustificato l’applicazione extraterritoriale delle norme di concorrenza attraverso il progressivo superamento del principio di territorialità fino all’applicazionedella dottrina degli effetti, di matrice statunitense. Lagiurisprudenza europea su questo aspetto si è sviluppata in tre fasi: 1) la prima fase è stata caratterizzata dal tentativo di conciliare l’estensione extraterritoriale delle regole di concorrenza con il principio di territorialità, applicando la teoria della “singola entità economica” ai gruppi di imprese; 2) in una seconda fase, la Corte di giustizia ha sviluppato, per la stessa ragione, una distinzione tra la “conclusione” di un’intesa restrittiva e la sua “attuazione”; 3) infine, nella terza fase, la Corte ha accolto e avallatola dottrina degli effetti.
A sostegno della legittimità dell’applicazione extraterritoriale del diritto europeo della concorrenza,la Corte di Giustizia ha inizialmente elaborato la teoria dell’unità del gruppo di imprese (o della singola entità economica)secondo cui sono assoggettate alla disciplina europea antitrust anche le imprese aventi sede al di fuoridell’Unione ma che annoverano fra le loro controllate società stabilite in uno Stato membro. In questo caso, l’applicazione extraterritoriale delle regole di concorrenza si basa sul presupposto applicativo della nazionalità.La Corte ha successivamente elaborato la cd. teoria dell’attuazione (implementation theory)stabilendo che l’accertamento di una violazione dell’art. 101 TFUE richiede la verifica di almeno due elementi: da un lato, la conclusione di un accordo fra le imprese; dall’altro lato, l’attuazione di tale accordo.In particolare, la competenza della Commissione a conoscere di un determinato illecito è determinata proprio con riferimento all’attuazione dell’accordo e può estendersioltre i confini dell’Unione al fine di garantire il pieno rispetto delle regole antitrust. Nella teoria dell’attuazione, il nesso con il principio di territorialità è ancora molto stretto.
Il primo caso in cui il Tribunale tenta di andare oltre il principio di territorialità e di prendere in considerazione la “dottrina degli effetti”è il caso Gencor. Questo primoorientamento è poi definitivamente riconfermato con il caso Intel, in cui viene affrontata la questione della competenza della Commissione, ai sensi del diritto internazionale, a sanzionare il comportamento anticoncorrenziale di Intelnei suoi rapporti con altre imprese, anch’esse stabilite al di fuori del territorio dell’Unione. La sentenza conclude per l’operatività cumulativa e contemporanea tanto della teoria dell’attuazione quanto della dottrina degli effetti (già ammesse nell’ordinamento dell’Unione)“al fine di provare che la competenza della Commissione è giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico”. Pertanto, “qualora la competenza della Commissione possa essere accertata sulla base della realizzazione del comportamento di cui trattasi nell’Unione, non è necessario esaminare l’esistenza degli effetti per stabilire tale competenza”; ovvero, “per giustificare la competenza della Commissione secondo le norme del diritto internazionale pubblico, è sufficiente che i criteri dell’effetto immediato, sostanziale e prevedibile nell’Unione siano soddisfatti”indipendentemente dal luogo di realizzazione della condotta.
La “dottrina degli effetti” ha trovato spazio anche in altri ambiti del diritto europeo, in particolare nella disciplina relativa ai mercati finanziari. In questo settore, il ricorso a norme con carattere ed efficacia extraterritoriale ha trovato la sua ragion d’essere nella necessità di rinforzare la stabilità finanziaria e garantire maggiore protezione agli investitori e ai consumatori. Per fornire qualche esempio, basti citare, con riguardo ai c.d. obblighi di compensazione, l’art. 4, par. 1 del regolamento EMIR secondo cui: “[l]e controparti compensano tutti i contratti derivati OTC appartenenti ad una categoria di derivati OTC dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione in conformità all’art. 5, par. 2, se tali contratti” tra l’altro, sono stati conclusi “tra due soggetti stabiliti in uno o più paesi terzi che sarebbero sottoposti all’obbligo di compensazione se fossero stabiliti nell’Unione, purché il contratto abbia un effetto diretto, rilevante e prevedibile nell’Unione o laddove tale obbligo sia necessario od opportuno per evitare l’elusione delle disposizioni del presente regolamento”.
Il cd. regolamento MIFIR, all’ art. 28, par. 3, estende l’obbligo di negoziare esclusivamente in mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione ovvero sistemi organizzati di negoziazione, normalmente imposto a determinati soggetti stabiliti, anche “alle entità di paesi terzi che sarebbero soggette all’obbligo di compensazione se avessero sede nell’Unione quando effettuano operazioni in una classe di derivati dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione, a condizione che il contratto abbia un effetto diretto, sostanziale e prevedibile in seno all’Unione o qualora tale obbligo sia necessario o appropriato per evitare il mancato rispetto di qualsiasi disposizione del presente regolamento”.
Infine, anche il cd. regolamento MARestende il proprio ambito di applicazione a paesi terzi, sulla base della teoria degli effetti. Le disposizioni relative alla manipolazione del mercato e al loro divieto (articoli 12 e 15) si applicano, infatti, anche “ai contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all’ingrosso, se un’operazione, ordine di compravendita o condotta ha o è probabile che abbia o è finalizzato ad avere, un effetto sul prezzo o sul valore di uno strumento finanziario” che è scambiato in un mercato europeo (art. 2, lett. a)). Inoltre, è stabilito che i requisiti e divieti contenuti nel regolamento “si applicano alle attività e alle omissioni nell’Unione e in un paese terzo” in relazione a determinati strumenti finanziari (art. 2, par. 4).
La tendenza all’estensione extraterritoriale della portata precettiva di alcune disposizioni di diritto europeo si rinviene, parallelamente a quanto previsto nei mercati finanziari, anche nella disciplina relativa alla trasparenza e integrità dei mercati energetici all’ingrosso (REMIT). Non esistono, nel regolamento REMIT, riferimenti diretti alla “dottrina degli effetti” o norme ad hoc sulla rilevanza specifica di operazioni e/o omissioni attuate in paesi terzi. Tuttavia,partendo da un’attenta lettura di certe “definizioni” (articolo 2) contenute nel regolamento, è possibile individuare non pochi elementi di extraterritorialità. Ad esempio, il concetto di “prodotto energetico all’ingrosso” riguarda espressamente i contratti e derivati “indipendentemente dal luogo e dalla modalità di negoziazione”, qualora la consegna o la commercializzazione avvenga nell’Unione; lo stesso concetto di “operatore di mercato” fa riferimento a “una persona, inclusi i gestori dei sistemi di trasmissione, che esegue operazioni, compresa la trasmissione di ordini di compravendita, in uno o più mercati energetici all’ingrosso”, senza quindi nessun collegamento ad un qualsiasi requisito di cittadinanza o stabilimento. La norma sulla registrazione degli operatori di mercato stabilisce che (articolo 9) la registrazione deve essere fatta presso l’autorità di regolamentazione dello Stato membro in cui l’operatore è stabilito o residente, o se non è stabilito o residente nell’Unione, in uno Stato membro in cui svolge attività.
La presenza di questi elementi è manifestazione dell’ampia portata materiale di queste disposizioni, suscettibili di avere un impatto anche fuori dei confini dell’Unione. Non è possibile tuttavia concludere per una vera e propria portata extraterritoriale del regolamento REMIT o di alcune sue disposizioni, in considerazione del fatto che ciò che rileva ai fini della sua applicazione è comunque riconducibileal criterio classico che definisce il perimetro dell’attività giurisdizionale di ogni Stato e cioè il principio di territorialità. Anche in presenza di elementi di extraterritorialità, i requisiti e i divieti del REMIT si applicano solo se la condotta è attuata nel territorio dell’Unione.
In una prospettiva di revisione della vigente regolamentazione sull’integrità e trasparenza dei mercati dell’energia all’ingrosso, che scontano, al pari dei mercati finanziari, l’impatto di condotte e azioni che possono verificarsi in paesi terzi, è auspicabile che la cd. “dottrina degli effetti” sia, anche in questo settore, formalizzata in vere e proprie disposizioni normative.L’altra via è quella dell’interpretazione giurisprudenziale, sempre possibile e anzi, data la stretta connessione di certi illeciti REMIT con la disciplina antitrust, altamente probabile.
In conclusione, se è vero l’assunto iniziale per cui gli Stati (rectius l’Unione Europea) tendono ad intervenire al di fuori dei propri confini, superando i limiti territoriali della giurisdizione e a prescindere dalla legittimazione di diritto internazionale pubblico, sulla base di una valutazione di convenienza/opportunità, allora le stesse considerazioni che hanno portato a certe prese di posizione normative o giurisprudenziali in materia antitrust e nel settore finanziario, dovrebberovaleremutatis mutandis per il settore energetico.