Convegno “Merito e crescita”, Università Luiss Guido Carli, Roma 9 giugno 2016
marcello clarich
Professore Ordinario di Diritto Amministrativo nell’Università LUISS Guido Carli
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Il tema delle buone pratiche della regolazione è centrale nei raccordi tra pubblica amministrazione e mercato, argomento del quale si è trattato nella sessione precedente a questa e del quale si tratterà anche in quella successiva.
Anzitutto l’espressione “buone pratiche” è la traduzione della formula inglese “best practices”; dal mondo anglosassone abbiamo attinto sia questa espressione, sia la teoria della regolazione. Fino a qualche anno fa, infatti, non usavamo nel nostro lessico, né il termine “buone pratiche”, né l’espressione “regolazione”. Soltanto dalla fine degli anni Novanta questo tema è diventato rilevante nella considerazione della dottrina e nell’esperienza delle istituzioni. Al riguardo, sentiremo le voci del Presidente dell’AEEGSI, Guido Bortoni, e del prof. Francesco Vetrò, che potranno illustrarci i profili maggiormente operativi della realizzazione di alcune buone pratiche.
In questo mio intervento vorrei fissare due coordinate: da un lato, legare il tema al titolo del convegno di oggi - “Merito e crescita” - per gettare luce sul rapporto tra regolazione, istituzioni e crescita; dall’altro, introdurre il tema delle buone pratiche e della regolazione in una prospettiva più generale.
Dal primo punto di vista, conviene muovere da una considerazione ormai diffusa nei dibattiti tra economisti, politologi e giuristi, secondo la quale la crescita economica non può essere lasciata solo al mercato e alla concorrenza, che è comunque uno dei motori principali dell’innovazione e della possibilità di aumento del PIL. Gli economisti hanno sempre più la consapevolezza che anche le buone istituzioni e le buone regole sono un fattore che condiziona espressamente la possibilità per un sistema economico di creare quel circuito virtuoso che porta all’innovazione e alla crescita. Volumi e saggi recenti considerano lo Stato di diritto (Rule of Law) un presupposto fondamentale per il buon funzionamento di una economia nazionale. D’altra parte, nelle esperienze storiche, non ci sono esempi di Paesi che abbiano avuto grande sviluppo economico senza istituzioni adeguate, aperte, competitive e trasparenti, nonché senza regole certe e senza un sistema istituzionale che assecondasse la crescita. Come rilevato già da Max Weber, del resto, il capitalismo si regge sul calcolo economico e uno degli elementi di quest’ultimo è proprio la calcolabilità delle regole e della loro applicazione da parte della burocrazia.
Per queste ragioni il concetto di rischio regolatorio diventa fondamentale nell’ambito della teoria della regolazione. Esso incide sul calcolo economico di chi, ad esempio, vuole fare ingenti investimenti di lunga durata in un sistema in cui le regole non possono mancare. Negli ambiti economici, laddove sussistono forti fallimenti del mercato e sono presenti le Autorità di regolazione - come nei settori dell’energia elettrica, del gas e del servizio idrico - la stabilità della regolazione e la presenza di buone regole rappresentano uno dei fattori che possono condizionare gli investimenti. Questi ultimi, molto cospicui nella fase iniziale, hanno bisogno di una proiezione di lungo periodo per poter essere recuperati garantendo il profitto, che è il fine perseguito dall’impresa in un sistema economico aperto alla concorrenza e al mercato e che ovviamente deve essere garantito quantomeno in termini di possibilità.
La buona regolazione è dunque essenziale. Per regolazione si intende sia l’imposizione, sia l’applicazione delle regole. Si tratta di due aspetti concettualmente diversi: una cosa è, infatti, predisporre un quadro di regole generali all’interno del quale gli operatori si devono muovere in concorrenza tra di loro; altra cosa è l’applicazione concreta delle regole nei rapporti tra imprese e Autorità le quali, ad esempio, rilasciano autorizzazioni e concessioni, irrogano sanzioni o comunque svolgono funzioni di vigilanza.
La regolazione in questa sua doppia dimensione garantisce un ambiente in cui la competizione e il mercato possano esercitare quella funzione virtuosa di stimolo all’innovazione e alla crescita economica. Fino a vent’anni fa di questi temi non si parlava o si parlava molto poco. Di essi si è avuta maggiore consapevolezza nella fase in cui il nostro sistema si è aperto maggiormente alla concorrenza e alle politiche di liberalizzazione e state istituite le cosiddette Autorità indipendenti, delle quali si parlerà nell’ultima parte della sessione pomeridiana. In precedenza vi era un modello semplificato in base al quale il Parlamento legiferava secondo criteri squisitamente politici e la burocrazia ministeriale produceva una grande quantità di regole più di dettaglio.
Si assisteva anche a un sostanziale disinteresse verso i costi che la regolazione comportava per i cittadini, per le imprese e per la stessa pubblica amministrazione, atteso che l’attuazione di nuove regole implica spesso un costo organizzativo per chi le deve gestire a valle. I politici sono soliti considerare un grande risultato l’approvazione di una nuova legge o la predisposizione di una nuova disciplina, salvo poi rendersi conto che una disciplina che non sia l’esito di un procedimento ispirato al criterio delle buone pratiche, ha una forte probabilità di restare inattuata o di essere distorta, nonché di produrre effetti contrari a quelli auspicati.
La prassi era poi quella della emanazione di discipline senza alcuna trasparenza e visibilità rispetto all’opinione pubblica e rispetto agli addetti ai lavori, che in tal modo venivano resi partecipi della genesi della regola. Inoltre, sia le leggi sia gli atti governativi molto spesso erano influenzati da interessi di parte che proprio nel disordine normativo trovavano più facile gioco. Interveniva allora l’emendamento alla legge inserito all’ultimo minuto, oppure il regolamento governativo che nasceva da una commissione di esperti che lo confeziona secondo tutti i crismi della regolazione, ma che, all’ultimo momento, quando passa dalla commissione tecnica alla fase della decisione, viene manipolato in punti essenziali. Di queste cattive pratiche si è avuta maggiore consapevolezza grazie all’apertura alle analisi e alle discussioni in ambito internazionale.
Quasi vent’anni fa il cosiddetto decalogo dell’OCSE sulla buona regolazione già dettava i criteri che il buon regolatore ex ante doveva applicare per produrre norme di legge e regolamenti attuativi che fossero frutto di un percorso razionale di valutazione. In anni più recenti sono stati pubblicati molti documenti europei sulle buone pratiche della regolazione. In Italia abbiamo ormai previsioni legislative in apparenza molto avanzate sull’analisi dell’impatto della regolazione, nonché una serie di norme introduttive di strumenti che, se applicati bene, sono idonei a produrre buoni risultati, ma che hanno esiti perversi se sono visti (e in alcuni casi ancora lo sono) come un ulteriore appesantimento del procedimento normativo.
Ciò vale, ad esempio, per l’analisi di impatto della regolazione, che è uno strumento potenzialmente efficace per comparare costi e benefici e valutare l’attuabilità pratica della regola, ossia per scartare le soluzioni che sono meno convenienti o che richiedono più adempimenti a valle. Di fatto, molte amministrazioni considerano l’analisi d’impatto poco più che una giustificazione ex post di soluzioni già sostanzialmente decise. Qualche tempo fa, a un convegno proprio alla Luiss, qualcuno ha ammesso candidamente che le stesse lobby che presentano la regola in mano al decisore curano anche l’analisi di impatto della regolazione. In questo modo si ritrovano già preconfezionate sia la norma che l’analisi di impatto, così che, una volta raggiunto l’accordo politico, la questione possa considerarsi risolta. Emerge qui un deficit del nostro paese nella cultura della regolazione. Occorrerebbe invece capire che tali problematiche vanno prese seriamente e non come l’ennesimo appesantimento procedurale richiesto da norme della cui utilità non si è convinti profondamente.
Altro aspetto rilevante delle buone pratiche è l’approccio non più soltanto top down, ma maggiormente partecipativo ed incentrato sulla consultazione dei soggetti regolati; anche questa è una novità relativamente recente. La legge 7 agosto 1990, n. 241 escludeva - ed esclude ancora in termini generali - la possibilità di partecipare ai procedimenti di regolazione. Tuttavia questa limitazione, in ambiti importanti quali quelli in cui operano le Autorità indipendenti, è venuta meno anche grazie a norme di derivazione europea.
L’idea di fondo è che la buona regolazione debba nascere non nel chiuso delle stanze ministeriali, ma attraverso un confronto partecipativo finalizzato a raccogliere idee e soluzioni e a comprendere bene la realtà, poiché il regolatore si trova spesso di fronte ad asimmetrie informative, non disponendo dello stesso bagaglio di informazioni che possiedono i destinatari delle regole. In quest’ottica, la partecipazione può servire al regolatore, per acquisire, anche nel contrasto degli interessi, maggiori informazioni, per poi individuare la regola più ragionevole. Anche qui rileviamo un fatto di natura culturale che sta, piano piano, prendendo piede. Questo nuovo modello rende anche più trasparente il sistema, perché la partecipazione è accompagnata dalla redazione di verbali e da contributi, nonché da una valutazione ex post della motivazione delle scelte regolatorie dell’Autorità.
Anche da questo punto di vista abbiamo molti passi ancora da compiere. Nell’esperienza anglosassone sono state introdotte persino forme di regolazione negoziata, cioè veri e propri accordi regolatori tra l’Autorità e i destinatari delle regole. Si prevede addirittura una negoziazione affidata a un soggetto terzo tecnicamente esperto, equidistante rispetto all’Agenzia chiamata a decidere e ai soggetti regolati che partecipano al tavolo e che sono i destinatari finali delle regole.
Si può affermare, in conclusione, che sarebbe già molto positivo se il già citato decalogo dell’OCSE (insieme agli altri documenti analoghi successivi) fosse applicato con convinzione dai regolatori proprio perché la buona regolazione è una condizione essenziale per far funzionare il mercato e – di conseguenza - il meccanismo dell’innovazione e della crescita economica.