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Decreto “Spalma Incentivi” – La Corte Costituzionale fissa la data per l’udienza

(di Richard Conrad Morabito)

 

La Corte Costituzionale ha fissato per l’udienza del 16 dicembre 2016 la discussione dei possibili profili d’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del d.l. n. 91/2014 (decreto legge competitività, meglio conosciuto come “decreto spalma incentivi”) (il “Decreto”), così come convertito con legge n. 116/2014 e dei correlati provvedimenti attuativi pubblicati dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE).

Il comma 3 dell’art. 26 del Decreto prevede che la tariffa incentivante per l'energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 kW debba essere rimodulata, a scelta dell’operatore sulla base di uno dei seguenti parametri:
estensione a 24 anni del periodo d’incentivazione, decorrente dall'entrata in esercizio degli impianti, con un conseguente ricalcolo secondo le percentuali di riduzione della tariffa indicata in una tabella allegata al Decreto;
mantenimento del periodo ventennale d’incentivazione, con una rimodulazione della tariffa che prevede un primo periodo in cui vi sarà una riduzione dell’incentivo rispetto ai valori attuali e una seconda fase di fruizione di un incremento accresciuto in egual misura, secondo percentuali stabilite da un decreto del Ministro dello sviluppo economico che comunque garantisca un risparmio di almeno 600 milioni di euro l’anno per il periodo 2015- 2019;
ferma restando la durata ventennale dell’incentivazione, la tariffa viene ridotta per il periodo residuo dell’incentivazione, di una quota pari a il
6% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 200Kw e fino a 500Kw;
7% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 500Kw e fino a 900Kw;
8% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900Kw.
In caso di mancata effettuazione della scelta da parte dell’operatore economico, il GSE applica in automatico la decurtazione di cui alla precedente lettera c).

La questione di legittimità costituzionale del Decreto è stata rimessa dal TAR Lazio alla Corte Costituzionale con una sentenza dello scorso mese di giugno. In particolare il TAR ha riconosciuto che l’esigenza della tutela giurisdizionale “è qualificata dal fatto che la posizione dei ricorrenti viene incisa da una [..] legge-provvedimento” tale per cui “vengono create immediate restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali dal momento stesso in cui la legge entra in vigore si trovano già pregiudicati da essa, senza bisogno dell’avverarsi di un fatto che trasformi l’ipotesi legislativa in un concreto comando”. Ai sensi del Decreto, infatti, la parte ricorrente subirebbe “una lesione immediata e diretta della propria situazione giuridica soggettiva, coincidente con il mancato mantenimento dell’incentivo riportato nella convenzione, laddove obbligata alla scelta di una delle tre opzioni previste” dal Decreto. Tanto più che in caso di mancata opzione alla parte si applica l’automatica rimodulazione dell’incentivo sulla base della decurtazione prevista dalla lettera c) del terzo comma dell’art. 26 del Decreto medesimo.

Sulla base di quanto sopra, il TAR ha ritenuto che le leggi provvedimento, “ancorché ammissibili, devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio”, tale per cui “gli obblighi lesivi […] sono direttamente riconducibili alla norma primaria […] immediatamente pregiudizievole per il destinatario”.

Sebbene gli operatori di settore abbiano salutato con favore il rinvio del Decreto alla Corte Costituzionale, tuttavia permane la prudenza circa la previsione di quelli che potranno essere gli effetti all’esito dell’auspicata sentenza declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’art. 26 del Decreto.
Se infatti fino a poco tempo fa, la giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale era pacifica nel ritenere che l’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento, trovasse il solo limite nei cosiddetti «rapporti esauriti», vale a dire in quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, oggi la questione potrebbe apparire più complessa.

Ricordiamo infatti che con la sentenza n. 10 del 2015 (i.e. sulla c.d. Robin Tax) la Corte Costituzionale nello stabilire l’incostituzionalità dell’art. 81 co. 16, 17 e 18 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) ha ritenuto di dover modulare la propria decisione non solo rispetto ai diritti esauriti ma anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che l’affermazione di un principio costituzionale potesse determinare il sacrificio di altri principi di pari grado.

Al fine di motivare la deroga alla naturale retroattività delle pronunce di accoglimento, infatti, i giudici costituzionali hanno affermato che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della c.d. Robin Tax “determinerebbe uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva” tale da genere una grave violazione dell’equilibro di bilancio di cui all’art. 81 Cost. In funzione di ciò, la Consulta ha dunque ritenuto opportuno dichiarare la cessazione degli effetti delle norme illegittime dal solo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza, in modo da impedire “alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri […] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali”.

Tra i commentatori della sentenza è stato correttamente notato che la Corte, non avendo stabilito alcun parametro di natura oggettiva ai sensi del quale stabilire la sussistenza delle paventate gravi conseguenze finanziarie, impedisce di fatto agli interpreti di individuare la “soglia invalicabile” oltre cui tali conseguenze finanziarie diventano tali da giustificare una così ampia compressione dei diritti del singolo.

Al contempo detta indeterminatezza apre la strada ad una possibile riproposizione della limitazione dell’efficacia ex tunc della sentenza anche per quel che attiene il caso del Decreto in oggetto.

Del resto la restituzione agli operatori degli incentivi trattenuti ai sensi del Decreto potrebbe avere importanti ricadute macroeconomiche in grado di alterare gli equilibri di bilancio, tale per cui potrebbe essere nuovamente invocata la mitigazione degli effetti retroattivi della sentenza, per la quale nessuna restituzione agli operatori di settore di quanto illegittimamente trattenuto dal GSE sarebbe dovuta, in funzione del fatto che la sentenza disporrebbe solo per il futuro (i.e dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in gazzetta ufficiale).

Anche sotto questo profilo la sentenza della Corte Costituzionale si appalesa come particolarmente attesa.

   (31 marzo 2016)

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