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Antitrust e mercato dell’energia: quali prospettive? (di Ciro Favia)

  1. Il ruolo dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella tutela della concorrenza nei mercati dell’energia

Innanzitutto sarebbe opportuno partire da alcuni numeri: i tassi di switching che si registrano sui mercati dell’energia in Italia risultano ad oggi tra i più elevati in Europa; al 2016, quasi 14 milioni di clienti avevano scelto un fornitore di energia elettrica sul mercato libero, e di questi 10 milioni sono clienti domestici. Sempre nel 2016, 2,5 milioni di famiglie hanno cambiato nel corso dell’anno almeno una volta il proprio fornitore di energia elettrica. Tutto ciò sotto la spinta competitiva di oltre 500 operatori attivi nel mercato retail elettrico (in Francia sono 107, in Germania 115, in Inghilterra 46). La stessa Commissione Europea nel Consumer Markets Scoreboard 2016 ha riconosciuto la vitalità del mercato retail italiano, registrando un aumento del tasso di soddisfazione del 6,4% rispetto al 2015, uno dei tassi di crescita più alti dell’intero panorama europeo.

 

Anche il mercato della generazione in Italia è connotato da un assetto particolarmente competitivo, basti pensare che il principale operatore ha oggi una quota di mercato di poco superiore al 20%, laddove in Francia la quota di mercato del primo operatore è pari a circa l’80%, in Germania al 30%.

Questi numeri testimoniano, a dispetto di alcuni scetticismi partigiani, che il mercato elettrico italiano è oggi vivo e dinamico e che il processo di liberalizzazione si è attestato, almeno in questa prima fase, sui più elevati standard registrati a livello europeo.

E’ un risultato di sistema, e come tale ascrivibile a tutti i soggetti che hanno, a vario titolo, contribuito a definire le tappe di questo percorso di liberalizzazione. Innanzitutto il Legislatore, che ha avuto la capacità di definire un framework normativo “fertile”, il Regolatore (Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico: AEEGSI) che ha saputo garantire gradualità nell’apertura dei vari segmenti della filiera elettrica, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) che ha esercitato con discernimento i poteri che le sono attribuiti dalla legge. In particolare, per quanto riguarda l’enforcement antitrust, fino ad oggi l’Autorità ha saputo interpretare il proprio ruolo di arbitro del mercato con equilibrio e misura, attraverso interventi “chirurgici” che hanno avuto come effetto, spesso non solo collaterale, quello di supplire ad alcune carenze della regolazione. Ciò è stato possibile anche grazie all’istituto degli impegni che, con la valorizzazione di un attivo dialogo con le imprese, ha contribuito in maniera determinante all’effettiva evoluzione delle regole, in taluni casi arrivando proprio all’integrazione positiva della disciplina di settore.

Emblematici appaiono, in questo senso, i procedimenti antitrust A/410 e A/411, avviati nei confronti dei principali distributori di energia elettrica e gas, nell’ambito dei quali gli stessi si sono impegnati a definire flussi informativi standardizzati con i venditori, al fine di garantire la neutralità e l’imparzialità nella gestione degli stessi. Tali misure, risultanti dal dialogo tra Autorità Antitrust e imprese, hanno costituito la base per il successivo sviluppo del quadro regolatorio in materia che, da ultimo, è stato completato con l’introduzione da parte dell’AEEGSI del Sistema Informativo Integrato.

Ora, tuttavia, stiamo approcciando una nuova fase: il ruolo che l’AGCM sarà chiamata ad interpretare in un futuro molto prossimo dovrà necessariamente tener conto della rapida e radicale evoluzione del mercato delle utilities e delle nuove sfide che attendono gli operatori.

Se fino a qualche anno fa, infatti, nel periodo immediatamente successivo alla liberalizzazione dei mercati, le aziende incentravano il loro core business esclusivamente sui consumi di energia elettrica e gas, oggi le stesse si stanno posizionando su mercati contigui e, in molti casi, emergenti. Si pensi, in particolare, alla mobilità elettrica che propone obiettivi ambiziosi in termini di sviluppo di soluzioni di trasporto sostenibili (il Piano del Governo per le infrastrutture di ricarica elettrica - PNIRE - presentato a giugno 2016 ha fissato a 20.000 il numero di colonnine di ricarica installate in Italia entro il 2020), ma richiede anche l’individuazione in tempi rapidi del business model più appropriato per garantire, nel rispetto dei principi di

concorrenza, una diffusione delle infrastrutture di ricarica che sia idonea a stimolare la domanda di veicoli elettrici. Altro importante esempio di evoluzione del mercato energetico è rappresentato dai prodotti per l’efficienza energetica e dalla domotica che consentono di ottenere un miglioramento delle prestazioni dei device domestici attraverso l’ottimizzazione dei consumi e l'integrazione di diverse funzioni quali controllo, risparmio energetico e comunicazione interattiva.

In tutti questi casi ci troviamo di fronte all’introduzione di modelli di business, in parte inesplorati, che mirano a soddisfare esigenze nuove dei consumatori e rendono quindi necessaria una prospettiva di osservazione innovativa anche sotto il profilo antitrust. Pertanto, è fondamentale che l’Autorità accompagni le aziende in questo processo di transizione, anche attraverso l’adozione di nuovi paradigmi in grado di superare alcuni schemi consolidati.

Ci si riferisce, ad esempio, al tema dei contratti di lungo termine, che è da sempre stato oggetto di attenzione da parte della Commissione Europea (si pensi ai procedimenti avviati negli anni passati nei confronti di primari operatori come EDF, Distrigaz e Repsol) per i supposti effetti di foreclosure che gli stessi produrrebbero sul mercato. Oggi, tale modello contrattuale può rappresentare un vero e proprio volano per l’introduzione di nuova capacità rinnovabile, la soluzione al c.d. “missing money problem”, dovuto alla scarsità di investimenti necessari per il raggiungimento degli obiettivi europei di sostenibilità ambientale. Non a caso, peraltro, anche il Governo italiano ha inteso stimolare la stipula dei contratti di lungo termine mediante l’introduzione di una previsione specifica nell’ambito della Strategia Energetica Nazionale.

Un ulteriore esempio riguarda la tematica afferente i rapporti fra diritti di privativa industriale e disciplina antitrust, anch’essa particolarmente sentita da un punto di vista antitrust, come testimoniato dai numerosi interventi di enforcement, comunitari e nazionali, che si sono susseguiti negli ultimi anni in materia di accesso ad input tecnologici ritenuti essenziali. E’ evidente che una applicazione eccessivamente rigida della “essential facility doctrine”, in questi ambiti, potrebbe rallentare, se non addirittura disincentivare, gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte di quegli operatori più attenti all’innovazione.

La sfida del cambiamento è sicuramente alla portata dell’Autorità Antitrust che, nel recente passato, ha già dimostrato di essere in grado di affrontare il mutamento del contesto di riferimento, anche riuscendo a discostarsi da orientamenti consolidati. Giova ricordare, al riguardo, l’iniziativa, accolta con particolare favore dalle aziende italiane, concernente la valorizzazione positiva – in sede di determinazione delle sanzioni - dei programmi di compliance antitrust.

In quest’ottica, è pertanto lecito chiedersi se non sia possibile immaginare un cambiamento anche nel rapporto fra Autorità e imprese, laddove la prima – accanto alla funzione tipicamente repressiva degli illeciti antitrust – possa sviluppare competenze consultive volte a fornire “pareri” in merito ad iniziative (offerte, accordi, partnership, contratti di licenza, etc) che le vengano sottoposte da operatori privati. Si potrebbe ipotizzare di circoscrivere l’applicabilità di tale strumento a tematiche che presentano carattere di novità rispetto agli orientamenti antitrust consolidati, nella misura in cui vanno ad interessare, ad esempio, nuovi mercati o nuovi business. E’ evidente che tale prospettiva debba essere supportata innanzitutto da una modifica normativa della legge 287/90, che oggi riconosce all’AGCM la possibilità di adottare pareri esclusivamente nei confronti di amministrazioni ed enti pubblici, e probabilmente anche da un rafforzamento dell’organico della stessa Autorità. I vantaggi di tale proposta sono evidenti: da un lato, l’Autorità contribuirebbe – attraverso un rafforzamento del proprio potere di advocacy - a diffondere best practices nel mercato orientando, in via preventiva, le aziende verso condotte rispettose della normativa antitrust e, dall’altro, si avrebbe un positivo effetto in termini di deflazione del contenzioso.

Si tratta, peraltro, di uno strumento non nuovo nell’ambito della practice antitrust internazionale; si pensi, ad esempio, alle advisory opinions che può rilasciare la Federal Trade Commission su istanza di soggetti privati in merito ad iniziative che gli stessi intendono perseguire o alla facoltà attribuita dal Regolamento 1/2003 alla Commissione Europea di adottare decisioni di natura dichiarativa “… in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti”. In relazione a quest’ultimo punto, vale la pena ricordare che il considerando 38 del Regolamento 1/2003, proprio in merito a questo tipo di decisioni, afferma che “… la certezza del diritto per le imprese che operano nel quadro delle regole di concorrenza comunitarie contribuisce alla promozione dell'innovazione e degli investimenti”.

  1. Il ruolo dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella tutela dei consumatori nei mercati dell’energia

In materia di pratiche commerciali scorrette, come noto, in Italia il Legislatore ha scelto di affiancare all’enforcement privatistico, fondato sulla competenza del giudice civile, un forte commitment pubblicistico, basato proprio sull’affidamento del potere di enforcement della disciplina giusconsumeristica all’Autorità Antitrust. La scelta istituzionale è stata peraltro confermata di recente con l’introduzione nel nostro ordinamento della disciplina sui diritti dei consumatori nei contratti (c.d. “Consumer rights”), completando così un quadro di enforcement nel quale l’Autorità gioca un ruolo di primissimo piano.

Si deve riconoscere, infatti, che gli interventi dell’AGCM sono risultati fondamentali, specie nella prima fase dell’apertura dei mercati energetici, per “orientare” le condotte commerciali dei trader che si affacciavano sul mercato libero: ci si riferisce, in particolare, agli interventi in materia di attivazioni non richieste, nell’ambito dei quali l’Autorità – in alcuni casi in sinergia con gli operatori – ha definito standard qualitativi molto elevati, anche anticipando (è il caso, ad esempio, della c.d. “Quality Call”) gli interventi del Regolatore. La definizione di tali standard ha, di fatto, consentito di innalzare in maniera sostanzialmente uniforme la soglia di tutela dei clienti finali da parte degli operatori e ciò anche quando questi ultimi non risultavano direttamente coinvolti nei procedimenti avviati dall’Autorità; al riguardo, si parla di portata intrinsecamente conformativa dei provvedimenti dell’Autorità che, nel corso del tempo, ha contribuito a consolidare una sorta di “giurisprudenza giusconsumeristica”.

Questo si è comunque riflesso in un generalizzato e tendenziale miglioramento dell’andamento degli indici di reclamosità misurati periodicamente dall’AEEGSI, risultato che più di ogni altro testimonia, da una parte, l’efficacia dell’intervento congiunto di Autorità Antitrust e Autorità di Regolazione per contrastare il fenomeno delle attivazioni non richieste e, dall’altra, anche gli sforzi compiuti dagli operatori.

Come detto, oggi lo scenario energetico si sta evolvendo in maniera rapidissima: dal paradigma del “consumo” ci stiamo muovendo verso il paradigma del “risparmio” energetico, il “consumatore” di energia sta lasciando spazio al c.d. “prosumer”, un cliente evoluto, consapevole delle proprie abitudini di consumo e degli strumenti che ha a disposizione per ottimizzarle. Diventa pertanto necessario, oggi, individuare una nuova definizione di “consumatore medio”, ovvero un cliente che è in grado di conoscere i propri consumi con strumenti digitali, valutare le offerte che si attagliano alle proprie esigenze, agire in “self-care” su piattaforme web messe a disposizione dagli esercenti, inviare un reclamo con modalità digitali e interattive, ricevere la bolletta via e-mail, interagire con “chatbot” per la risoluzione di problemi gestionali, utilizzare i social network per interloquire con il proprio fornitore di energia. Al riguardo, è opportuno ricordare che la stessa Commissione Europea nel documento di lavoro del 2016 sugli Orientamenti per l'attuazione della direttiva 2005/29/ce relativa alle pratiche commerciali sleali ha avuto modo di ribadire il principio di proporzionalità cui va necessariamente ancorata la definizione di consumatore medio che “…in ogni caso è una persona che ha bisogno di un basso livello di protezione, perché è sempre in grado di acquisire le informazioni disponibili e di agire con saggezza al riguardo”.

Se il paradigma di consumatore medio sta cambiando, allora deve conseguentemente cambiare anche l’approccio con cui l’AGCM intende garantire una adeguata tutela allo stesso consumatore. È del tutto evidente che interventi di tipo analitico da parte dell’Autorità, specialmente se riguardano i processi gestionali (pensiamo ai recenti procedimenti in materia di fatturazione e procedure di riscossione), se eccessivamente dettagliati quanto a prescrizioni comportamentali uniformi, rischiano di appiattire il confronto competitivo fra operatori. Ciò è tanto più vero se si considera che nel mercato libero la qualità del servizio costituisce una delle principali leve competitive, anche in ragione dei limitati margini che gli operatori hanno per una concorrenza sul prezzo. Standardizzare in modo non proporzionale le condotte commerciali equivale a sterilizzare le dinamiche stesse di mercato e quindi, in ultima istanza, da un lato a frustrare la spinta innovativa delle aziende e dall’altro ad anestetizzare le scelte di consumo dei clienti finali. 

Anche nel segmento della vendita, con ciò intendendo le fasi di promozione commerciale e di contrattualizzazione, è necessario evitare di cedere alla facile tentazione di un interventismo di dettaglio e “quasi-regolatorio”. In passato, si è potuto apprezzare come una comunicazione pubblicitaria esageratamente imbrigliata e canalizzata, ad esempio, abbia avuto l’effetto di disincentivare gli stessi investimenti nel settore pubblicitario, così come un controllo prescrittivo sulle modalità di contrattualizzazione a distanza (si pensi al teleselling e ai recenti provvedimenti interpretativi di talune norme del “Consumer Rights”) abbiano spinto alcuni operatori a rimodulare le proprie strategie commerciali orientandole maggiormente verso canali alternativi rispetto a quello telefonico.

Sono passati oramai dieci anni dall’avvio della liberalizzazione del mercato retail ed è a questo punto lecito domandarsi se una “tutela paternalistica” ed un sistematico interventismo da parte dell’Autorità Antitrust sia ancora utile tanto ai consumatori quanto al mercato nel suo complesso.

Oggi un numero sempre maggiore di consumatori chiede alle aziende di abbandonare gli strumenti tradizionali di contatto (carta e telefono) per strutturare un modello di interazione basato sui nuovi canali digitali: in questi termini, l’idea che un contratto di fornitura di energia elettrica e gas possa perfezionarsi, ad esempio, tramite WhatsApp è molto meno avveniristica di quanto si possa pensare.

E’ questa la vera sfida che oggi hanno di fronte Autorità e aziende: conciliare adeguati standard di tutela con la progressiva affermazione di un nuovo rapporto azienda-clienti basato sulla disintermediazione, flessibilità, rapidità, semplificazione.

  1. La questione dei rapporti fra Autorità Antitrust e Regolatore

In un mercato regolato, quale quello dell’energia, l’assetto concorrenziale è inevitabilmente il risultato di un’azione sinergica condotta da Autorità Antitrust e Autorità di settore. In quest’ottica, non è casuale la scelta istituzionale di stipulare protocolli di intesa tra AGCM e AEEGSI al fine di coordinare l’enforcement e di disciplinare i reciproci rapporti. 

Tuttavia, il confronto tra l’AGCM e le Autorità di settore, nel settore energetico così come negli altri settori regolati (telecomunicazioni, trasporti), può ingenerare una sana dialettica in grado di favorire il dialogo inter-istituzionale e avvantaggiare consumatori e operatori economici solo nella misura in cui possa dirsi concretamente “coordinato”. I rapporti intercorrenti tra Autorità, infatti, devono essere ispirati al principio di leale collaborazione, sancito, per l’AEEGSI, dalla legge n. 481/1995 - secondo cui “le pubbliche amministrazioni sono tenute a fornire, oltre a notizie e informazioni, la collaborazione per l'adempimento delle sue funzioni” - e, per l’AGCM, dall’art. 10 della legge n. 287/1990. La ratio sottesa a quest’obbligo di legge riguarda proprio il confronto tra Autorità, che non deve quindi svilupparsi in una prospettiva “competitiva”, foriera di sovrapposizioni che hanno come ultimo effetto quello di disorientare gli operatori del mercato. Al contrario, il principio di “leale collaborazionetra Autorità è funzionale alla definizione di corretti e univoci indirizzi comportamentali.  Il tema, almeno sino ad oggi, è stato certamente più avvertito in applicazione della disciplina giusconsumeristica. In questo ambito, la domanda che molti operatori del settore si pongono è sia corretto che condotte pienamente aderenti alle previsioni di una regolazione puntuale e dettagliata, prevista dall’Autorità di settore a tutela dei consumatori, possano comunque integrare una pratica commerciale scorretta. Con il recepimento della normativa sul Consumer Rights, le previsioni del Codice del Consumo sono effettivamente molto dettagliate, quasi quanto la regolazione di settore, tanto che si è parlato, a proposito, di “overregulation”. Il possibile overlap tra intervento antitrust e intervento regolatorio si è peraltro acuito, negli ultimi tempi, alla luce degli interventi “interpretativi” dell’AGCM che, nelle prime istruttorie in materia di diritti dei consumatori nei contratti, ha dettato una serie di principi comportamentali suscettibili di essere applicati analogicamente erga omnes, proprio come le norme settoriali.

Il tema dei confini delle competenze fra antitrust e regolazione è, dunque, quanto mai attuale e fortemente sentito dal sistema, come testimoniato dalle diverse pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni, da una procedura di infrazione comunitaria avviata nei confronti dello Stato Italiano e, da ultimo, dall’intervento – forse non ancora risolutivo - del Legislatore in occasione del recepimento della Direttiva “Consumer Rights”. Gli ultimi sviluppi inerenti la questione del riparto di competenze ci riportano in sede comunitaria, con tre rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, due in materia di telecomunicazioni e uno in materia di energia che saranno discussi a breve.

L’auspicio è che, in esito a tali giudizi, si possa giungere ad una soluzione di “sistema” che chiarisca, una volta per tutte, le regole del gioco che devono essere applicate e l’arbitro chiamato ad applicarle, a prescindere dall’Autorità legittimata ad interpretare il ruolo dell’arbitro. Questo resta l’unico e primario interesse delle aziende nell’ambito di tale confronto, proprio perché come correttamente evidenziato nel 2012 dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, investita per la prima volta della questione, è necessario, da un lato, evitare “… di sottoporre gli operatori a duplici procedimenti per gli stessi fatti, con possibili conclusioni anche differenti tra le due autorità” e, dall’altro, fornire “… indirizzi univoci al mercato, che altrimenti verrebbe a trovarsi in una situazione di possibile disorientamento, con potenziali ripercussioni sulla stessa efficienza dei servizi nei riguardi degli utenti/consumatori e sui costi che questi ultimi sono chiamati a pagare. Per non parlare, poi, della evidente violazione del principio di proporzionalità che si verrebbe a configurare nel caso di cumulo materiale delle sanzioni da parte di entrambe le autorità”.

Se la soluzione sarà in grado di mettere le aziende nella condizione di conoscere con ragionevole certezza sia le regole da osservare, sia il relativo “enforcer”, allora sarà una vittoria per tutti, Autorità, imprese e consumatori, indipendentemente da quello che sarà l’esito dei giudizi.

(3 gennaio 2018) 

* Ciro Favia, Head of Italian Antitrust and Regulatory Support Enel

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