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Dialogo sulle start-up (con Federico Zuin)

di Edoardo Giuseppe Ruscio

 

 

Federico Zuin rappresenta un bell’esempio di come l’innovazione e l’imprenditorialità possano camminare insieme. “Economista prestato alla tecnologia o tecnologo prestato all’economia”, come ama definirsi, Federico Zuin, dopo una serie di esperienze formative e lavorative presso importanti realtà quali Aeroporto di Venezia S.p.A, Stargas Shipping Group, Andersen Consulting, Accenture e Telecom Italia, dal 2009 svolge la propria attività imprenditoriale esclusivamente nel settore IT (Information and Communications Technology), dove ha dato vita ad alcune interessanti start-up, quali Smart Information Technology, Consoft Consulting e, da ultimo, Mashfrog Plus Corporate Solutions, di cui è attualmente CEO.

Dottor Zuin, innovazione e merito come convivono nelle sue aziende?

La meritocrazia è alla base di tutto e ritengo debba essere valutata in modo oggettivo, attraverso metriche chiare e predefinite. L’esperienza mi porta a dire che, spesso, chi merita ha anche le migliori idee e che queste possono essere recepite solo in contesti aperti all’innovazione. Merito e innovazione sono come una catena composta di tanti anelli: ogni anello deve essere trovare il suo esatto posto per chiudere il cerchio. Fuor di metafora, non è possibile innovare veramente in contesti chiusi, dove le buone pratiche vengono messe da parte per paura di cambiare abitudini; e basta un solo anello mal posizionato per pregiudicare il risultato, anche di un’idea vincente.

Le start-up e i finanziamenti agevolati sono in grado di sostenere la vera innovazione?

In Italia è tutto complicato. Manca un vero e proprio sistema che integri efficacemente gli incubatori, come i sistemi universitari o i business angels, con le banche e le istituzioni.

Inoltre, nel nostro Paese è molto raro il mindset dell’investitore che finanzia idee piuttosto che progetti garantiti da fidejussioni o altre forme di garanzia. In Italia le start-up, al 90%, sono appannaggio di imprenditori (già) di successo e non, come invece dovrebbe essere, delle nuove generazioni.

Cosa pensa dei modelli organizzativi flessibili con riferimento alle start-up?

Condivido pienamente la logica di modelli organizzativi che legano la prestazione professionale esclusivamente al raggiungimento dell’obiettivo. Non importa “dove”, ma “come” e anche nei “tempi” richiesti. Soprattutto nelle start-up un simile approccio aiuta a generare, fin da subito, una cultura della responsabilità. Un buon risultato aziendale combina, infatti, cultura della responsabilità e cultura del merito.

Come valuta le start-up innovative e tecnologiche introdotte con il decreto “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”?

Rappresentano un passo avanti di semplificazione, e soprattutto, di agevolazione per coloro che desiderano avvicinarsi al mondo imprenditoriale. Ma non sono sufficienti. Quello che manca, come ho già affermato, è la finanziabilità di idee vincenti, al netto di richieste di garanzie, impensabili per un giovane imprenditore.

È necessario inoltre un ecosistema più orientato all’innovazione, in cui l’assetto bancario gioca un ruolo fondamentale. Per farlo è necessario migliorare la distanza tra chi fa le leggi e gli attori privati che lavorano per far crescere il sistema impresa.

Cosa ne pensa della sharing economy o economia della condivisione?

È un meccanismo molto interessante - certamente un’evoluzione - che nasce con una certa naturalezza e cerca di rispondere ai bisogni effettivi delle persone. Nel prossimo decennio le aziende che saranno in grado di leggere questo fabbisogno raddoppieranno i fatturati. Uno studio di PriceWaterhouse Coopers afferma che, entro il 2020, il giro d’affari in Europa, come fatturato, della sharing economy potrebbe raggiungere circa 500 miliardi di euro. Inoltre, la sharing economy cambia le nostre abitudini in modo radicale e in qualche modo ci rende anche più liberi dai problemi di ogni giorno.

Quali opportunità scorge nel mercato delle start-up?

Come esperto di big data, posso dire che la gestione efficace di una significativa mole di dati rappresenta una delle attività maggiormente richieste dagli attori economici. Il big data costituisce, infatti, una leva di efficientamento molto importante, che aiuterà, sempre più, le aziende ad essere competitive e reattive ai cambiamenti che i mercati impongono. Non a caso, gran parte delle migliori società IT, negli ultimi anni, hanno fatto significativi investimenti proprio nello sviluppo di Big Data System.

Quali sono le maggiori criticità del Big Data?

E’ importante che chi governa il dato abbia, anzitutto, chiare le necessità d’analisi. In un mercato come quello odierno, liberalizzato, la regolazione assume un ruolo fondamentale soprattutto per prevenire condotte commerciali scorrette e per dare la giusta proporzionalità tra l’analisi dei dati e l’impiego effettivo, concreto.

Soprattutto le istituzioni dedicate alla regolazione devono definire principi chiari di utilizzo dei dati per garantire la certezza delle regole e la verificabilità efficace di condotte poco chiare. Se vengono meno questi due requisiti viene meno la credibilità del mercato e quindi anche degli investimenti dei privati.

In chiusura, cosa consiglierebbe ad un giovane laureato, che magari voglia avviare una start-up?

Direi di rivolgersi, oltre che agli incubatori universitari o privati, anche direttamente ad aziende che hanno un profilo in linea con la propria idea imprenditoriale. Nel caso di Mashfrog, ad esempio, avendo i soci fondatori un dna da – mi si consenta – “startupper seriali”, è capitato di aiutare neolaureati supportandoli nella fase iniziale del progetto o consigliandoli a chi rivolgersi. Se si ha una buona idea comunque è importante non fermarsi ai primi ostacoli. Anzi superare tali ostacoli può servire da allenamento per percorrere una strada avvincente.

 (03/12/2016)

 

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