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ISSN 2532-8913

Il tormentato percorso delle nuove Linee guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti di efficienza energetica (di Francesco Piron)

1.- Premessa

Il 10 luglio u.s. è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale[1] l’atteso D.M. 10 maggio 2018 (“DM correttivo”) che modifica e aggiorna il D.M. 11 gennaio 2017 (“DM 2017”) relativo alle nuove Linee guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti di efficienza energetica per l’accesso ai certificati bianchi, meglio conosciuti come titoli di efficienza energetica (“TEE”).

Il testo del D.M. correttivo è stato definito dal Ministero dello Sviluppo Economico (“MiSE”) di concerto con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (“MATTM”) a valle del parere dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (“ARERA”)[2] e della Conferenza Unificata[3].

Le disposizioni del D.M. correttivo (e gli allegati che ne costituiscono parte integrante) sono entrate in vigore dal 11 luglio u.s..

Questo accade, peraltro, a poche settimane di distanza dall’accordo[4] raggiunto il 20 giugno u.s. tra Commissione, Parlamento e il Consiglio europeo sulla proposta della nuova Direttiva sull’efficienza energetica che, in esito ad una faticosa negoziazione, prevede un obiettivo del 32,5% al 2030 con la previsione di un nuovo vincolo di riduzione annuale dei consumi al 0,8 %. Previsione quest’ultima molto importante in quanto la prosecuzione del vincolo annuale (se dovesse venire recepita nella nuova Direttiva) sarebbe prodromica al prolungamento (dopo il 2020) degli strumenti di supporto all’efficienza come appunto, specie nel contesto italiano, il meccanismo dei TEE che si basa proprio sulla richiesta di riduzione annua dei consumi.

 

Prima di passare in rassegna le principali novità del D.M. correttivo e di svolgere alcune considerazioni di carattere pratico, giova ricordare, in via di premessa generale, che il meccanismo dei TEE è stato introdotto per le prima volta nel nostro ordinamento nel 2005 con l’attuazione dei due decreti ministeriali del 20/07/2004[5], con la finalità di incentivare la realizzazione di interventi di efficienza energetica negli usi finali e di ottemperare agli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico ai sensi dei due decreti di liberalizzazione nazionale, rispettivamente, il decreto legislativo n.164/2000 per il gas naturale e il decreto legislativo n. 79/1999 per l’energia elettrica. Il quadro normativo e regolatorio nazionale è stato progressivamente aggiornato, dapprima con la deliberazione AEEGSI 27 ottobre 2011 EEN 9/11[6] e dal D.M. 28 dicembre 2012[7], e più di recente dal decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102[8], di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica[9], al fine di conseguire gli obiettivi di risparmio di energia primaria a livello comunitario e di ottemperare a quanto previsto nella Strategia Energetica Nazionale (“SEN”) del 2013. In particolare, il decreto legislativo n. 102/2014 ha individuato nei TEE il regime obbligatorio di efficienza energetica per conseguire un risparmio energetico al 2020 non inferiore al 60% del totale nazionale di 25,5 Mtep e ha rimodulato gli obiettivi nazionali annui del periodo 2014-2020.

Il meccanismo dei TEE nel contesto italiano si fonda, come noto, sugli obblighi annuali imposti ai maggiori distributori di energia elettrica e gas naturale (cd. soggetti obbligati) di conseguire obiettivi crescenti di efficienza energetica negli usi finali dell’energia o producendo direttamente TEE a seguito di interventi di efficienza energetica e/o acquistandoli all’interno di uno specifico mercato gestito dal GME o attraverso scambi bilaterali.

Tale meccanismo di incentivazione[10] ha cominciato, solo negli ultimi anni, a evidenziare alcune criticità. Dal 2004 fino al 2014 il sistema ha, infatti, dimostrato di funzionare in maniera efficiente anche grazie alla capacità degli enti di regolazione di mantenere un giusto equilibrio tra domanda e offerta. E’ solamente a partire dal 2014 che invece il sistema entra in crisi facendo registrare aumenti esponenziali del prezzo dei TEE.

Il D.M. 2017 che era stato presentato come uno strumento di radicale riforma e aggiornamento del sistema dei TEE e che sarebbe dovuto servire a superare le criticità di mercato (riscontrate appunto a cominciare dal 2014), in realtà si è rivelato assolutamente non risolutivo.

Le nuove Linee Guida ministeriali di cui al DM 2017 - le cui disposizioni sono oggetto di un precedente contributo di analisi a cura dello scrivente e pubblicato da questa Rivista – in realtà hanno comportato un inasprimento dei vincoli per l’accesso al meccanismo, una riduzione del numero di TEE rilasciati a fronte del medesimo tipo di intervento, un’ulteriore complicazione delle procedure di accesso e gestione del meccanismo ma soprattutto la riduzione degli interventi ammessi (es. esclusione dei recuperi di calore), la più restrittiva definizione di addizionalità e l’eliminazione dei progetti standard.

Quello che è risultato di tutta evidenza è stata poi la difficoltà di proporre nuovi progetti capaci di generare un numero sufficiente di TEE per garantire un’offerta adeguata a soddisfare la domanda dei soggetti obbligati, quest’ultima resa più rigida dalla riduzione dei meccanismi di flessibilità e dalle incertezze in merito all’entità della sanzione ad essi comminata in caso di inadempienza.

Il D.M. non ha pertanto prodotto alcun miglioramento né semplificazione del meccanismo dei TEE. Parimenti improduttivi si sono rivelati gli appositi “tavoli settoriali” istituiti dal GSE perché anch’essi nei fatti si sono dimostrati inefficaci e altrettanto critici. Tant’è che dopo neanche un anno dall’uscita delle nuove linee guida sui TEE (DM 2017) è stato necessario ed urgente un ulteriore intervento ministeriale sul tema.

Si tenga conto altresì che il DM correttivo si inserisce in un contesto storico particolare ove i prezzi dei TEE hanno subito una crescita vertiginosa, si pensi alla sessione (del mercato dei TEE gestito appunto dal GME) di febbraio 2018 ove la quotazione media aveva raggiunto il record dei quasi 480 euro/TEE. Ciò proprio lo stesso mese in cui si è registrato il primo intervento istituzionale, volto a porre freno alla impressionante spinta rialzista degli ultimi tempi, e consistente nell’aver imposto l’immediata riduzione delle sessioni del mercato dei TEE ad una sola al mese rispetto alla precedente cadenza settimanale. Tale modifica delle “Regole di funzionamento del mercato dei titoli di efficienza energetica” apportata con modalità straordinarie (ossia non preceduta da consultazioni con gli operatori così come invece previsto dall’art. 3.7. del Regolamento), e che ha letteralmente disorientato i soggetti obbligati è riuscita, quindi, ad attenuare solo in minima parte le tensioni sul mercato e senza produrre una variazione di prezzo realmente rilevante[11].

Un trend rialzista dei prezzi dei TEE strettamente legato alla scarsa liquidità del mercato: criticità strutturale a cui certamente (lato offerta) non ha giovato, come sopra già evidenziato, una regolazione restrittiva come quella del D.M. 2017. Come illustrato nel Rapporto Annuale Certificati Bianchi GSE[12] del 2017, il progressivo gap tra il numero di TEE offerti e la domanda complessivamente generata dagli obblighi normativi ha portato ad un costante incremento delle quote residue degli anni d’obbligo precedenti che, nel 2017, ha toccato circa 5,73 mln. di titoli, più del totale degli obblighi dell’anno 2017. Complessivamente per l’anno d’obbligo 2017 il differenziale tra offerta e domanda è, dunque, sbilanciato a favore di quest’ultima per 4,45 milioni di TEE. Di conseguenza a partire dall’anno d’obbligo 2015 il mercato dei TEE ha iniziato a evidenziare una struttura “corta” con ripercussioni sul prezzo medio ponderato di mercato, tendenza che si è accentuata, fino a esplodere nell’anno d’obbligo 2017.

2.- Le previsioni del D.M. correttivo

Il D.M. correttivo, fin dalle premesse, prende atto che la capacità di generazione annua di TEE sta subendo una riduzione rispetto a quanto preventivato con il D.M. 2017 e identifica come principali cause di tale fenomeno l’esito delle indagini della magistratura su casi di emissione indebita di TEE, l’esito dei controlli da parte del GSE sugli interventi delle cd. schede standardizzate, che hanno rilevato diffuse inadempienze e determinato un incremento elevatissimo di respingimento delle domande presentate negli ultimi tempi, nonché l’avvento di nuovi meccanismi alternativi di incentivazione degli investimenti, che avrebbero contribuito a ridurre il volume delle richieste di TEE.

Non viene invece citata quella che, anche a dire dell’Autorità, è stata la principale causa della impressionante spinta rialzista degli ultimi tempi[13], ossia il permanere per lungo tempo di una stato di grave incertezza sulle nuove regole da emanarsi.

A fronte di tutto ciò, e riconoscendo espressamente che il volume dei TEE disponibili ad oggi risulta insufficiente a coprire l’obbligo minimo al 31.05.2019, nel D.M. correttivo si afferma quindi la impellente necessità di intervenire al fine di “introdurre modifiche in grado di semplificare il sistema, chiarire la metodologia di valutazione, e introdurre strumenti di flessibilità, anche temporale, in grado di sopperire al fenomeno, consentendo un riequilibrio del mercato e il conseguimento degli obblighi minimi”.

In particolare, tra le principali misure previste a “correzione” del D.M. 2017:

- vengono emendate alcune definizioni, al fine di modificare il concetto di baseline e di addizionalità in modo più coerente alla Direttiva 2012/27/UE, quantomeno per i progetti per i quali esistono valori di consumi energetici antecedenti all’intervento; in tali casi il risparmio sarà così calcolato rispetto a tale situazione pregressa (e non più secondo la penalizzante definizione di addizionalità di cui al DM 2017), e “fermo restando quanto previsto all'articolo 6, comma 6”, ossia non sono comunque ammessi i progetti di efficienza energetica predisposti per l’adeguamento a vincoli normativi o a prescrizioni di natura amministrativa, fatto salvo il caso in cui si impieghino soluzioni progettuali energeticamente più efficienti rispetto a quelle individuate dai vincoli o prescrizioni suddetti, e che generino risparmi addizionali (art. 2);

- è previsto l’aggiornamento entro il 31.12.2019 (e non più entro il 31.12.2018) della possibilità di modificare gli obiettivi e gli obblighi qualora i risultati non fossero in linea con le previsioni (art. 4);

- è modificata la disposizione riguardante la possibilità di ammettere i progetti che prevedono l’impiego di fonti rinnovabili per usi non elettrici, al fine di renderla conforme alle anzidette modifiche apportate al concetto di baseline (art. 6);

- viene riformulata e chiarita la precedente disposizione (D.M. 2017) in materia di cumulabilità con l’obiettivo di rimuovere le criticità interpretative che limitavano la presentazione dei progetti e si prevede ora espressamente (a differenza del testo della bozza di D.M. vagliato dalla Conferenza Unificata la scorsa primavera) anche l’accesso alla detassazione del reddito d’impresa riguardante l’acquisto di macchinari e attrezzature, in tal caso però con la decurtazione al 50% dei TEE spettanti (art. 10);

- vengono chiariti i criteri che l’ARERA dovrà prevedere nell’ambito della definizione del contributo tariffario per i soggetti obbligati[14]. In primis l’inclusione dei prezzi di scambio registrati sul mercato organizzato ma anche di quelli riscontrati nell’ambito dei contratti bilaterali “qualora inferiori a 250 euro” (inciso quest’ultimo inserito nel testo finale del D.M. correttivo nell’ottica di recepire almeno in parte le critiche mosse dall’ARERA nel suo recente parere). E poi l’introduzione di un valore massimo di riconoscimento per i TEE pari a euro 250 valevole a partire dalle sessioni di annullamento valide per l’anno 2018 (successive all’entrata in vigore del DM correttivo) (art. 11);

- si prevede che qualora i soggetti obbligati conseguano una quota dell'obbligo di propria competenza inferiore al 100%, ma comunque pari ad almeno il 60%, possano compensare la quota residua nei due anni successivi senza incorrere nelle previste sanzioni. Viene quindi procrastinato da 1 a 2 anni il lasso temporale disponibile per i soggetti obbligati, al fine di recuperare gli obblighi annuali residui. E’ stato inoltre previsto (con la finalità di scongiurare il rischio di assenza di TEE per ottemperare agli obblighi) che, dietro apposita richiesta da parte di tali soggetti, il GSE possa emettere titoli non corrispondenti a risparmi energetici ad un valore unitario pari alla differenza tra 260 euro e il valore del contributo tariffario definitivo relativo all'anno d'obbligo. Anche a fronte delle molte critiche mosse a tale nuova misura nella versione finale del D.M. correttivo vengono definite con maggiore precisione e rigore le condizioni di accesso a questa opportunità. L’art. 14-bis precisa infatti che i “TEE non energetici” non hanno diritto al contributo in tariffa e vengono previste una serie di limitazioni con riferimento alle pre-condizioni per godere di tali TEE (es. potranno essere acquisiti solo se il soggetto obbligato detiene già titoli per il 30% dell'obbligo) ed eventualmente per riscattarli (Artt. 14 e 14-bis);

- rimane invariata la previsione originaria del D.M. 2017 (ad oggi rimasta lettera morta) sulla guida operativa e che prevede (anche oggi come allora) la predisposizione da parte del GSE, in collaborazione con Enea e Rse, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, appunto di una guida operativa “per promuovere l'individuazione, la definizione e la presentazione di progetti, corredata di tutte le informazioni utili”. A tale proposito va rilevato che la mancata produzione di tale guida non solo è divenuta una delle principali concause dei numerosissimi respingimenti ex post dei progetti da parte del GSE di questi ultimi tempi ma, ancor più grave, ha contribuito significativamente al clima di forte incertezza come sopra illustrato (art. 15);

- vengono introdotte disposizioni volte ad un più agevole controllo delle dinamiche di mercato (anche in un’ottica di prevenzione delle truffe), in particolare si è previsto per gli operatori la necessaria comunicazione al GME del proprio assetto societario (specificando le partecipazioni detenute nel capitale sociale di altri soggetti iscritti al Registro o ammessi al Mercato e dell’eventuale presenza nello stesso mercato di altri soggetti appartenenti al medesimo gruppo societario (fornendo l’elenco con l’indicazione nominativa delle società partecipate e il valore percentuale di ciascuna di tali partecipazioni) (art. 16).

Sono stati, infine, introdotti 30 nuovi tipi di intervento incentivabili, con diversi valori di vita utile a seconda che si tratti di interventi di nuova installazione o sostituzione.

Sono state infine previste una prima serie di schede per la predisposizione di tipologie di interventi incentivabili attraverso la modalità standardizzata ai sensi del D.M. 2017, quindi ammettendo all’incentivo anche progetti avviati dopo aprile 2017 (dall’illuminazione a led stradale e di interni all’acquisto di flotte di veicoli ibridi ed elettrici e persino - come misura comportamentale - la possibilità di incentivare quegli esercenti la vendita di energia che utilizzeranno la bolletta “smart”).

Più in generale si può quindi affermare che il D.M. correttivo ha confermato in linea di massima i punti cardine contenuti nella bozza passata al vaglio della Conferenza Stato-Regioni, anche se, come illustrato sopra, contiene rispetto a quest’ultima qualche novità importante.

Ciò detto, nell’ambito di una riforma di più ampio respiro del meccanismo dei TEE sarebbe poi di fondamentale importanza che il legislatore finalmente affrontasse in maniera risolutiva anche altre criticità strettamente connesse ai progetti sull’efficienza energetica.

Ci si riferisce in particolare alle criticità inerenti alla valorizzazione di nuovi investimenti in efficienza energetica, da parte dei distributori di gas naturale, quale elemento dell’offerta nell’ambito delle gare d’ATEM del servizio di distribuzione del gas naturale. Infatti il D.M. n. 226/2011 (come modificato dal DM 106/15[15]), include tali investimenti tra le condizioni economiche oggetto di gara, prevedendo che gli stessi - addizionali rispetto agli obiettivi annuali del distributore - dovranno essere realizzati nell’ambito gestito e daranno luogo all’emissione di TEE il cui valore è riconosciuto agli Enti locali. Stante i previsti meccanismi di determinazione del suddetto contributo annuale da parte dell’Autorità, il distributore di gas naturale in sede di gara si troverà costretto ad assumere con l’Ente locale un impegno economico difficilmente quantificabile e prevedibile, per un arco temporale (12 anni come previsto dalla legge per le concessioni del servizio di distribuzione del gas naturale), peraltro, ben maggiore rispetto a quello preso in considerazione dal D.M. correttivo.

Fonte di ulteriori criticità la previsione che prevede il cd. “vincolo di territorialità”, secondo cui il conseguimento dei TEE deve avvenire esclusivamente nel territorio dell’ATEM oggetto di gara.

L”applicazione di tale vincolo comporta, infatti, gravi difficoltà per il distributore, qualora decidesse di realizzare direttamente degli interventi di efficienza energetica, di individuare quali opere realizzare sul territorio; inoltre rende impossibile per i soggetti obbligati l’utilizzo del mercato dei TEE gestito dal GME, obbligando di fatto i soggetti obbligati ad optare per l’acquisizione di progetti (molto spesso onerosi) o la sottoscrizione di contratti bilaterali.

Da questo punto di vista è necessario assicurare una maggiore certezza e stabilità rispetto alle procedure di certificazione dei risparmi, entrambi requisiti fondamentali affinché le aziende possano valutare la finanziabilità e l’eventuale bancabilità dei progetti in fase di redazione di business plan. Così come è altrettanto sentita dagli operatori l’esigenza di celerità nei processi di implementazione delle riforme: in particolare la mancanza di tempestività nella emanazione dei decreti attuativi, in questo settore come purtroppo in molti altri dell’economia italiana, ha infatti un gravissimo impatto sull’efficacia dei provvedimenti stessi. Anche su tale aspetto, l’apparato ministeriale ed i vari organi amministrativi dello Stato coinvolti (Ragioneria Generale inclusa) dovrebbero fare una seria riflessione critica e impegnarsi in un sostanziale cambio di passo.

Ancora, si ritiene di vitale importanza per ridare fiducia al mercato la garanzia del rispetto del principio del legittimo affidamento, evitando così per il futuro qualsiasi norma con portata retroattiva così come certe prassi che hanno minato alla certezza delle regole operative consistenti nella modifica “in corso d’opera” di parametri essenziali già normati per la valutazione dei progetti (ci si riferisce ad esempio alla pubblicazione di certe FAQ che in realtà modificavano in pejus le norme o la richiesta di documentazione, non esplicitata nelle schede di progetto, molti anni dopo la presentazione dei progetti).

3.- Note conclusive

Alla luce di quanto sopra sinteticamente illustrato, non si può non prendere atto che il meccanismo italiano dei TEE dopo un decennio di “affidabilità” e stabilità (a tal punto da essere considerato best practice a livello UE) negli ultimi anni, a fronte delle criticità sopra menzionate, non è stato in grado di rigenerarsi, secondo gli obiettivi di riforma posti in coerenza con i nuovi vincoli comunitari, ma al contrario ha subito un graduale processo di involuzione e di scollamento dalla realtà operativa in cui i molteplici interventi istituzionali, spesso intempestivi e tra loro scoordinati per non dire scomposti, non solo, non sono stati affatto risolutivi ma anzi, in taluni casi, come si è visto, hanno contribuito a provocare ulteriori tensioni sui mercati. Mettendo, altresì, a serio rischio il conseguimento degli obiettivi fondamentali della politica di riforma del quadro normativo del meccanismo dei TEE, tra cui: l’introduzione di strumenti di flessibilità in grado di risolvere strutturalmente la scarsità di offerta di TEE; la riduzione degli oneri generali applicati ai clienti finali del settore dell’energia elettrica e del gas naturale, nonchè lo scongiurarsi del pericolo di creare disequilibri economico-finanziari in capo ai soggetti regolati più di tutti coinvolti dalla questione, ossia i distributori.

A motivo di ciò, e più in generale, sarebbe - oggi più che mai - necessario cominciare a pensare di gestire i processi di riforma in questo settore, come in altri molto tecnici/di nicchia dell’economia italiana, in termini di maggiore concertazione tra i regolatori e tutti gli stakeholders interessati. A tal fine, potrebbe giovare l’istituzione di una apposita “cabina di regia” che raggruppi tutti i soggetti istituzionali operanti sui temi dell’efficienza energetica (GSE, ARERA, ENEA, RSE, MISE, MATTM, Regioni, ecc.) per il vaglio e la condivisione delle relative proposte di riforma, cabina che dovrebbe necessariamente interfacciarsi con un Tavolo Tecnico Permanente (o simile struttura, che permetta comunque la partecipazione aperta di tutti gli stakeholders: associazioni dei distributori, delle ESCO, dei consumatori, degli istituti finanziari ecc.) attraverso il quale poter convogliare tutte le istanze, commenti e suggerimenti per una più compiuta gestione operativa delle tematiche specifiche.

Per concludere, con riferimento specifico al D.M. correttivo, risulta oggi in effetti veramente arduo fare previsioni sull’impatto di tali misure correttive (primo tra tutti il cap a 250 euro ma anche l’introduzione dei “TEE non energetici”) sull’attuale sistema complessivo dei TEE. Quello che invece si può dire con certezza è che se il “corretto” meccanismo dei TEE dovesse nuovamente collassare le conseguenze sarebbero gravi.

A quel punto, oltre ad una maggiore concertazione come sopra auspicato, si potrebbe certamente fare leva sull’esperienza e solido know how maturato in tutti questi anni per ridisegnare un nuovo schema, nell’ambito del quale ad esempio riassegnare la competenza regolatoria sulla materia specifica all’ARERA e sfruttare così (oltre all’esperienza pioneristica maturata nei primi 10 anni dall’introduzione dello schema) quella “snellezza” procedurale e deliberativa che oggettivamente un Ministero, che procede necessariamente tramite l’emanazione di decreti (i cui tempi di gestazione ed emanazione sono molto gravosi), non può eguagliare[16].

Rivoluzionare l’attuale sistema e creare un nuovo schema di incentivazione avrebbe comunque tempi di gestazione incompatibili con il raggiungimento degli obiettivi di risparmio vincolanti che la Direttiva 2012/27/UE ci impone di raggiungere al 2020.

 

 

[1] G.U. n. 158 del 10.07.2018 “Modifica e aggiornamento del decreto 11 gennaio 2017, concernente la determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2017 al 2020 e per l'approvazione delle nuove Linee Guida per la preparazione, l'esecuzione e la valutazione dei progetti di efficienza energetica. (18A04609)”.

[2] Parere ARERA del 11/04/2018 – delibera 265/2018/I/efr.

[3] Conferenza Unificata del 19/04/2018.

[4] http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2018/06/29/governance-of-the-energy-union-council-confirms-deal-reached-with-the-european-parliament/

[5] Decreti del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del 20 luglio 2004 che, in revisione dei predetti decreti interministeriali 24 aprile 2001, recano rispettivamente “nuova individuazione degli obiettivi quantitativi per l'incremento dell'efficienza energetica negli usi finali ai sensi dell'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79” e “nuova individuazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili di cui all'articolo 16, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164”.

[6] Aggiornamento, mediante sostituzione dell’Allegato A alla deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas 18 settembre 2003, n. 103/03 e successive modifiche ed integrazioni, in materia di Linee guida per la preparazione, esecuzione e valutazione dei progetti di cui all'articolo 5, comma 1, dei decreti ministeriali 20 luglio 2004 e s.m.i. e per la definizione dei criteri e delle modalità per il rilascio dei titoli di efficienza energetica.

[7] Decreto Ministero Sviluppo economico 28/12/2012 , G.U. 02/01/2013.

[8] Decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. (14G00113) (GU Serie Generale n.165 del 18-7-2014).

[9] Direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE.

[10] Si ricorda brevemente che nell’ambito del meccanismo dei TEE, i principali ruoli dei diversi soggetti istituzionali coinvolti sono i seguenti:

  • il MiSE, di concerto con il MATTM e AEEGSI ha il compito di fissare gli obiettivi di risparmio annuo e di definire ed aggiornare il quadro normativo di riferimento, e provvede alla definizione e aggiornamento delle Linee Guida;
  • l’ARERA definisce le modalità operative per la regolamentazione del meccanismo, comunica ai Ministeri competenti e al GSE la quantità di energia elettrica e di gas naturale distribuita sul territorio nazionale dai soggetti obbligati ed applica le sanzioni;
  • il GSE svolge l’attività di valutazione e certificazione dei risparmi di energia primaria conseguiti attraverso la realizzazione dei progetti di efficienza energetica nonché l’attività di monitoraggio e controllo;
  • l’ENEA e RSE svolgono l’attività di supporto tecnico al GSE per lo svolgimento della valutazione tecnico-economica dei risparmi dei progetti;
  • il GME emette i TEE per un ammontare complessivo corrispondente ai risparmi energetici verificati e certificati dal GSE. Il GME è responsabile dell’organizzazione e della gestione del mercato dei titoli di efficienza energetica.

[11] Considerato l’esito negativo di tale tentativo, non a caso in un recente comunicato del GME (12.09.2018) si informa del ritorno alla precedente prassi operativa, più precisamente si informa che “Le sessioni di contrattazione sul mercato dei Certificati Bianchi avranno luogo almeno una volta alla settimana nel periodo da febbraio a maggio di ciascun anno e almeno una volta al mese nei mesi restanti”, si veda http://www.mercatoelettrico.org/It/Mercati/TEE/ComeOperareMTEE.aspx.

[12] https://www.gse.it/servizi-per-te/certificati-bianchi-pubblicato-il-rapporto-annuale-2017.

[13] Nel corso dell’anno d’obbligo 2017 e fino al mese di febbraio 2018, il prezzo degli scambi dei TEE avvenuti sul mercato è passato da un prezzo medio ponderato di 206,67 € della sessione del 6 giugno 2017 a oltre 480 € nelle sessioni di febbraio 2018, si veda http://www.mercatoelettrico.org/It/Esiti/TEE/TEE.aspx.

[14] Si segnala a tale proposito la consultazione avviata dall’ARERA con il DCO 385/2018/R/efr e che si è chiusa 7 agosto u.s.

[15] Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell’articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 22, supplemento ordinario n. 20, del 27 gennaio 2012.

[16] Come sottolineato da un tecnico esperto della materia (Ing. Di Franco di ENEA) in una Sua recente intervista “ai fini del buon funzionamento di una macchina così complessa come il Sistema dei TEE c’è più necessità di continui piccoli aggiustamenti che non di modifiche radicali, le cui giustificazioni possono largamente condivise, ma i cui effetti sono difficilmente predicibili”.

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La propagazione delle regole nell’Unione Europea (Salvatore Lanza)

In molti settori economici, la liberalizzazione degli scambi internazionali coincide con la rimozione di barriere doganali, siano esse basate su strumenti di prezzo (i dazi) o su strumenti di quantità (le quote). In altri settori, tuttavia, per consentire la creazione di aree sovranazionali di scambio, non è sufficiente rimuovere obblighi e divieti, ma occorre definire standard comuni, attraverso sistemi di regole condivise.

Ad esempio, per i beni il cui trasporto avviene attraverso reti, la libertà di scambio transfrontaliero richiede l’adozione, da parte dei Paesi interessati, di veri e propri codici atti a disciplinare l’accesso alle infrastrutture di trasporto, al fine di garantirne l’utilizzo in condizioni di sicurezza e di efficienza.   

Questo, in estrema sintesi, è il motivo che ha spinto l’Unione Europea a dotarsi di numerosi Regolamenti, chiamati appunto “codici di rete”, con cui definire le regole del mercato interno dell’energia elettrica e del mercato interno del gas.

La creazione di un mercato unico, in questi casi, si presenta pertanto come attività di regolamentazione piuttosto che come attività di deregolamentazione.  Le norme contenute nei codici di rete sono ben più penetranti di quelle previste negli accordi di libero scambio e richiedono complesse procedure di approvazione ed emendamento, coinvolgendo molteplici livelli gerarchici.  A tal riguardo, i Regolamenti recentemente adottati dal legislatore europeo attraverso la procedura di comitologia[1]  prevedono l’approvazione di ulteriori norme di dettaglio in maniera congiunta da parte delle Autorità di Regolazione Nazionali.  

La condivisione da parte degli Stati membri di regole comuni (indicate, a seconda dei casi, come “termini e condizioni” o come “metodologie”) che presentino un livello di dettaglio così spinto come quello previsto dai codici di rete è resa possibile proprio dall’appartenenza all’Unione Europea.

A questo punto, ci si può chiedere se sia possibile estendere l’ambito geografico del mercato unico nel settore elettrico a Paesi fuori dall’Unione Europea. E quali accordi commerciali sono necessari per replicare lo stesso grado di coesione normativa che vige tra gli Stati membri.  

Non si tratta di quesiti puramente accademici, dal momento che l’Unione Europea ha effettivamente stabilito accordi con alcuni Paesi confinanti per ampliare il mercato unico dell’energia elettrica. Tali accordi prevedono l’adozione, da parte dei Paesi terzi, degli stessi Regolamenti vigenti all’interno dell’Unione, salvo adattamenti necessari a tenere conto delle specificità degli Stati extra UE.

Siamo di fronte ad una casistica relativamente ampia, la cui analisi consente di ricostruire la strategia seguita dall’Unione per estendere i suoi confini limitatamente ad alcuni settori economici particolarmente rilevanti.  

Si pensi innanzitutto al caso della Norvegia, che aderisce allo Spazio Economico Europea[2] e che ha accettato di applicare la stessa normativa vigente nell’Unione.  A questa si aggiungono le Parti Contraenti del Trattato istitutivo della Comunità dell’Energia del Sud Est Europa, anch’esse impegnate a trasporre l’acquis comunitario in materia energetica e ambientale. Inoltre, l’Unione è impegnata in negoziati con la Svizzera [3]dal cui esito dipende, tra le altre cose, l’inclusione della Confederazione elvetica nel mercato unico dell’energia elettrica. Infine, non va dimenticato che la Gran Bretagna, già integrata nel mercato unico dell’energia elettrica, sta lasciando l’Unione, senza per questo dover necessariamente disaccoppiare il suo mercato elettrico da quello degli Stati membri.

Le strategie negoziali nonché le tipologie di accordo che l’Unione prende in considerazione per estendere l’ambito di applicazione dell’acquis comunitario sembrano differire a seconda del contesto geopolitico preso in considerazione. Tuttavia, il meccanismo con cui l’Unione tende a propagare le sue regole appare sempre lo stesso. L’Unione è paragonabile ad un club che offre una vasta gamma di servizi ai soci, ma allo stesso tempo richiede, oltre al pagamento della quota associativa, anche il rispetto del codice di condotta stabilito dai soci fondatori. Alcuni servizi del club sono rivolti anche ai non soci, a cui è riconosciuto lo status di utenti, previo pagamento di un abbonamento e a condizione che rispettino le regole di utilizzo del servizio. Mentre i soci sono comproprietari delle common facilities (i cosiddetti beni club) gli utenti pagano una sorta di corrispettivo per l’utilizzo.

I Paesi terzi che partecipano al mercato unico dell’energia elettrica sono assimilabili agli utenti del club: devono farsi carico di una quota dei costi sostenuti per creare la common facility e devono adottare le regole formulate dall’Unione. In cambio ottengono la facoltà di scambiare a parità di condizioni con tutti gli altri partecipanti.

Ma, come convivono nel club soci e utenti?

La prima distinzione tra soci ed utenti è rintracciabile nel diverso ruolo che essi giocano nei processi decisionali. I soci (gli Stati membri dell’Unione) votano secondo le regole concordate, che possono cambiare a seconda delle istituzioni coinvolte. Gli utenti (i Paesi terzi) solitamente non prendono parte a pieno titolo ai processi decisionali. Dall’analisi fattuale emerge che gli utenti possono essere classificati in categorie differenziate in base al grado di coinvolgimento nel processo decisionale.

Alcuni Regolamenti europei in ambito energetico prevedono che si utilizzino le regole di voto del Trattato di Lisbona quando a votare siano i gestori di rete ed i gestori di mercato, mentre per le decisioni comuni alle autorità di regolazione si prevede che ci sia consenso unanime.

Nel caso della Norvegia, mentre sia il gestore di rete norvegese che i gestori di mercato designati nel Paese sono ammessi alle procedure decisionali a pieno titolo ed alle stesse condizioni dei loro omologhi negli Stati membri, l’autorità di regolazione norvegese non partecipa alle decisioni comuni insieme agli altri regolatori. In effetti il regolatore norvegese non siede nel Consiglio dei Regolatori dell’Agenzia per la Cooperazione tra Regolatori Energetici (ACER) né partecipa ai lavori del Forum dei Regolatori Energetici (ERF).

Per quanto riguarda le Parti Contraenti firmatarie del Trattato istitutivo la Comunità dell’Energia del Sud Est Europa, sebbene esistano regole dettagliate per disciplinare l’adozione dei Regolamenti europei all’interno dei loro ordinamenti giuridici[4], non esistono ad oggi regole chiare che ne assicurino la partecipazione ai processi decisionali previsti per le istituzioni degli Stati membri. Le autorità di regolazione energetica si coordinano attraverso un apposito Consiglio dei Regolatori (Energy Community Regulatory Board -ECRB), diverso da quello a cui appartengono i regolatori degli Stati membri. Le due istituzioni, ACER e ECRB, hanno natura giuridica, funzioni e poteri differenti. Il Regolamento che istituisce l’Agenzia[5]  prevede l’accesso al Comitato dei Regolatori anche dei regolatori di Paesi terzi, qualora sussistano appositi accordi tra tali Paesi e l’Unione. I Regolamenti europei che disciplinano il funzionamento del mercato unico dell’energia elettrica prevedono il diretto coinvolgimento delle autorità nazionali di regolazione nelle fasi di implementazione e piena operatività. Come garantire, allora, la reciprocità tra Stati membri e Parti Contraenti? 

I negoziati tra Unione Europea e Confederazione Elvetica potrebbero finalmente giungere ad esito positivo e consentire, tra le altre cose, la stipula di un accordo energetico. Ci si chiede se anche in questo caso, sarà la Svizzera ad adottare il diritto comunitario in materia di energia.

Infine, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione impone che negli accordi con l’Unione sia disciplinata anche la modalità di partecipazione al mercato unico dell’energia elettrica. Mentre sembra piuttosto chiaro che la Gran Bretagna perderà lo status di socio, non è altrettanto chiaro a che categoria di utente apparterrà.

E, ancora, come ripartire i costi delle common facilities?

L’approccio seguito dall’Unione Europea nella costruzione del mercato interno dell’energia e nel suo allargamento ai Paesi terzi si basa sul modello del pioniere: un gruppo ristretto di attori dà vita ad un progetto pilota, ne testa il funzionamento e poi elabora una versione compatibile con una scala più ampia, versione che è poi cristallizzata in un atto giuridico (solitamente un Regolamento).

Le principali caratteristiche del progetto pilota finiscono inevitabilmente per definire anche la struttura portante del modello che verrà implementato su larga scala. Le parti che aderiscono al progetto successivamente si trovano, da un lato, ad usufruire dei benefici generati dal progetto pilota, dall’altro, sono esposti alla richiesta di contribuire a sostenerne i costi.  

Se sembra corretto che anche i nuovi venuti contribuiscano alla copertura dei costi storici, dal momento che anch’essi godranno dei benefici, tuttavia va anche tenuto conto che i nuovi venuti non hanno concorso a prendere le decisioni che hanno generato tali costi. Nella misura in cui l’adesione al progetto è su base volontaria, sarà cura del singolo partecipante valutare se il contributo richiesto per la copertura dei costi storici è più che compensato dai benefici derivanti dall’uso della common facility. Se invece l’iscrizione al club è resa obbligatoria, allora il contributo si trasforma in una sorta di imposta. Una volta approvati i Regolamenti che disciplinano il funzionamento del mercato interno, l’appartenenza all’Unione Europea impone automaticamente lo status di “soci” a tutti gli Stati membri. Il contributo ai costi non è quindi volontario, ma è piuttosto assimilabile ad un’imposta.

Per i Paesi terzi, invece, si applica lo status di “utenti”, che volontariamente scelgono se accedere ai servizi del club oppure no. Questa differente condizione dovrebbe, in linea di principio, garantire maggior potere negoziali ai Paesi terzi rispetto ai singoli Stati membri che non hanno fatto parte del gruppo dei pionieri. 

mappa lanza

 

 (17 luglio 2018)

 

[1] Si tratta del Regolamento della Commissione (UE) 2015/122, del Regolamento della Commissione (UE) 2016/1719, del Regolamento della Commissione (UE) 2017/2195.

[2] Lo Spazio Economico Europeo (SEE) è formata da tre Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea (Islanda, Liechtenstein e Norvegia) ma che hanno accettato di attuare leggi simili a quelle approvate nell’UE in materia di politica sociale, protezione dei consumatori, ambiente, diritto societario e statistica. Questi Paesi non sono rappresentati nelle istituzioni della UE, quali il Parlamento Europeo o la Commissione Europea. Si parla di democrazia del “fax”, dal momento che la legislazione di questi Paesi è invia tramite fax dalla Commissione. I Paesi aderenti allo SEE riconoscono le stesse quattro libertà fondamentali su cui si basa il mercato unico europeo (libertà di movimento di persone, beni, servizi e capitali). Pertanto, la UE e lo SEE costituiscono un’unica area di libero scambio.   

[3] La Svizzera non ha aderito allo SSE, ma ha sottoscritto accordi bilaterali con la UE nel 1999. Tuttavia, a seguito dell’accettazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa nel 2014, non sono stati più sottoscritti trattati tra UE e Svizzera.

[4] In breve, la Commissione Europea propone l’adozione di un Regolamento europeo al Gruppo Permanente di Alto Livello (PHLG) della Comunità dell’Energia che, sentito il parere del Consiglio dei Regolatori (ECRB), decide a maggioranza.

[5] Regolamento (CE) n.713/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio. L’art. 31 del Regolamento prevede che: “L’Agenzia è aperta alla partecipazione di paesi terzi che hanno concluso accordi con la Comunità, in virtù dei quali hanno adottato e applicano il diritto comunitario nel settore dell’energia e, se pertinente, nei settori dell’ambiente e della concorrenza”.

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Fine tutela elettrica e gas: mettiamo il cliente al centro (di Massimo Bello)

L’approvazione, nell’estate scorsa, della legge sulla concorrenza ha rappresentato un passaggio fondamentale per il compimento del processo di liberalizzazione dei mercati finali dell’energia elettrica e del gas naturale. La reale efficacia di tale processo sarà, nel concreto, determinata dai provvedimenti introdotti nella fase attuativa, oggi allo studio da parte delle istituzioni competenti ed oggetto di confronto da parte dei diversi stakeholder. In questo breve contributo vorrei provare a individuare i principi che, a mio avviso, dovrebbero guidare questa fase e provare, in seguito, a rispondere ad alcuni interrogativi sul tappeto.

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Per uno studio sull’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente. Rileggendo Vittorio Ottaviano (di Simone Lucattini)

Gli studi di Vittorio Ottaviano sul governo dell’economia e sulla regolazione del mercato consentono di cogliere tali fenomeni in una fase antecedente a quella della “trionfante soggettività” delle autorità indipendenti. Piuttosto che sull’autorità- soggetto la riflessione di Ottaviano tende, infatti, a concentrarsi sugli effetti - oggettivi - del potere pubblico nei confronti degli operatori economici, sul presupposto della “stretta connessione fra organi pubblici e attività d’impresa” [1]. La prospettiva d’indagine è quindi, come pressoché in tutte le opere di Ottaviano, empirica (la “coscienza della realtà”[2]), pur nel rigore dogmatico e nella sobrietà di stile che lo caratterizza; a tratti sembra poi avvertirsi l’eco dell’insegnamento benvenutiano nel segno dell’“amministrazione oggettivata, esercizio di funzioni e non espressione di poteri”[3].

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Nuove forme di “dilemma” regolatorio: la qualità tecnica nel settore idrico (di Elena Gallo)

1.     Perché regolare la qualità?

Abbiamo già parlato[1] di regolazione della complessità con riferimento al settore idrico, concludendo che la regolazione tariffaria ha raggiunto indubbi successi, ma che è fin troppo facile per un gestore reagire ad un’azione regolamentare mirante a tenere sotto controllo i costi tramite la leva tariffaria semplicemente riducendo la qualità dei servizi resi. Di conseguenza, nasce l’esigenza[2] di focalizzare l’azione regolatoria sugli aspetti di qualità, al fine di verificare che le risorse siano bene impiegate, a beneficio degli utenti e dell’ambiente.

In altre parole, il focus non è più su “quanti” investimenti o sforzi gestionali si riescono a realizzare, bensì sul risultato prodotto da tali investimenti/sforzi in termini di qualità del servizio e dell’ambiente.

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