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ISSN 2532-8913

L’industria dei servizi pubblici. Un dialogo con Stefano Venier (di Simone Lucattini)

Stefano Venier è alla guida di una delle più grandi multiutility italiane, Gruppo Hera, che opera nei settori dell’energia, dell’idrico e dei rifiuti, dovendosi quindi confrontare ogni giorno con diverse strutture di mercato e sistemi di regolazione.

 

Il Suo – Dott. Venier – è quindi un punto di vista privilegiato sulla regolazione indipendente dei servizi pubblici locali, in una prospettiva multisettoriale …

In effetti, per una multiutility come Hera, che compete sui mercati energetici con i grandi player nazionali e internazionali e opera anche nelle attività infrastrutturali (energia, idrico, ambiente), la normativa di settore e la regolazione sono elementi chiave per le proprie attività e la propria strategia, poiché definiscono i confini del campo di gioco e indirizzano i piani di investimento.

Le autorità di regolazione hanno da sempre un ruolo delicato: sono nate nel pieno della liberalizzazione dei settori energy principalmente per proteggere i clienti finali, ma anche gli investitori, da comportamenti opportunistici di altri soggetti. In questi venti anni quella dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico si è dimostrata un’esperienza di successo, tanto che nel tempo le sono state assegnate anche la regolazione del servizio idrico integrato e del teleriscaldamento.

A questo Collegio va riconosciuto il merito di aver gestito con equilibrio l’avvio della regolazione nazionale del settore idrico - dopo quella energetica di circa vent’anni fa - in un contesto molto complesso come quello post referendario e con una governance multilivello, e facendo ricorso agli strumenti di regolazione tariffaria e alla competenza tecnica ormai maturate e consolidate nei settori energy.

Sulla scorta di questa esperienza ritengo che l’ipotesi di assegnare all’Autorità anche i poteri di regolazione del settore ambientale andrebbe confermata e implementata con convinzione, perché il settore ne trarrebbe grande beneficio nel suo percorso di industrializzazione e innovazione. Ancora oggi tale percorso è troppo spesso rallentato e condizionato da considerazioni di natura locale, che poco hanno a che vedere con gli interessi degli utenti e con gli obiettivi di sostenibilità economico-ambientali caratteristici di questo business.

Il bilancio di questi venti anni è quindi positivo. Se guardiamo al prossimo futuro bisogna però prendere atto che sarà complesso fare regolazione solo con la vecchia “cassetta degli attrezzi”, cioè con le metodologie di regolazione ed i processi di formazione delle decisioni che si sono consolidate negli ultimi venti anni. Infatti, il contesto è cambiato sotto molteplici punti di vista: tecnologico, economico e di cultura ambientale, ma soprattutto è aumentata la velocità di cambiamento dei settori e il livello di indeterminatezza prospettica. Per esempio pensiamo a come nel 1997 fosse lineare scomporre la filiera dell’energia in fasi (produzione, trasmissione, distribuzione, vendita), perimetrandone confini e modelli relazionali, e a come diventi invece più complesso nel contesto attuale: generazione distribuita, prosumers e batterie, IoT, sono solo alcune delle evoluzioni tecnologiche che rendono più sfumati i contorni di ciascuna fase della filiera e i relativi modelli di business, e più complesso un approccio command and control centrale. La regolazione è stata fondamentale per traghettare i settori dal monopolio naturale alla configurazione attuale, e questi vent’anni ci lasciano un sistema profondamente regolato, costruito per stratificazioni successive in parallelo con l’evolvere del mercato, che presenta inevitabilmente alcune rigidità e costi collegati, in particolare nei sistemi informativi e negli assetti organizzativi, che nel contesto dinamico e veloce di oggi possono condizionare lo sviluppo.

Per questa ragione ritengo che oggi ci sia l’opportunità di adottare un approccio un po’asimmetrico, ossia differenziato in funzione della maturità del settore o segmento della catena del valore, introducendo per i settori dell’energy – o, meglio, una parte di essi e per operatori qualificati – un approccio più soft, che lasci qualche spazio all’auto regolazione e sia in questo modo in grado di offrire una maggiore rapidità di indirizzo e una flessibilità di applicazione. In ambito ICT si direbbe “try fast, fail cheap”.

Alcune scelte recenti della stessa Autorità lasciano intravedere una evoluzione in questa direzione, ma se vogliamo che questo approccio possa consolidarsi sarà necessario anche un coordinamento degli indirizzi da parte degli organi legislativi.

La buona regolazione, in effetti, richiede che i vari attori coinvolti (ministeri, authorities) si muovano in modo coordinato sulla base - “a monte” - di indirizzi politici, provenienti dagli organi legislativi e di governo, adottati con una prospettiva almeno di medio termine ...

Quest’ultimo aspetto non lo considero scontato poiché a mio avviso il Paese ha perso la cultura della pianificazione a medio termine, e soprattutto l’abitudine di studiare il proprio sistema industriale e ambientale in maniera continua ed approfondita. Troppo spesso in tempi recenti ci si è affidati ad interventi spot, di rincorsa a posizioni demagogiche o finalizzati all’obiettivo di breve e quindi scollegati da un disegno di medio periodo strutturale. L’opposto di quello che accade altrove: in Germania si è iniziato a lavorare all’Industria 4.0 già nel lontano 2011, per fare un esempio non strettamente collegato ai temi dell’energy.

Sembra mancare una cultura della programmazione, e non solo nel settore dei pubblici servizi, a dire il vero. Ma, tornando all’energy, come vede il documento sulla Strategia energetica nazionale?

Il documento sulla SEN 2017 ha un valore positivo, perché consente di sviluppare un dibattito pubblico sui temi energetici nazionali, per tracciare le scelte di fondo e definire le priorità d’azione. Da solo non basta però a riempire il vuoto di programmazione che si è venuto a creare almeno da venti anni a questa parte.

Da troppo tempo la politica energetica italiana sembra comportarsi come un pendolo che è stato spinto da una forza esterna ad allontanarsi dalla posizione di equilibrio, e che ogni volta che raggiunge un estremo del piano di oscillazione smorza la propria velocità, ricade verso il centro e nel tragitto acquista velocità per proseguire ad oscillare in un’altra direzione.

Dalle prime liberalizzazioni elettriche oltre la Manica di inizio anni Novanta a una domenica del 2017 in cui quasi il 90% dei consumi nazionali di energia elettrica sono stati coperti da fonti rinnovabili, in Italia siamo passati da un forte controllo pubblico ad una quasi totale mancanza di pianificazione da parte dello Stato.

Sorte simile, se non ancora peggiore, è toccata agli altri servizi pubblici locali, dove alla mancanza di pianificazione centrale (in alcuni casi delegata a livello locale) si è aggiunta a cascata una difficile convivenza tra i vari poteri pubblici centrali e locali competenti, in cui hanno trovato spazio le più diverse, e spesso irrazionali, istanze locali o di movimento.

Vale la pena ricordare brevemente alcune delle emergenze che il Paese si è trovato ad affrontare a causa di una scarsa capacità di pianificazione: dal black out elettrico del 2003 all’attuale situazione che registra rinnovate tensioni nell’equilibrio del sistema, all’ormai cronica mancanza di capacità di trattamento e recupero dei rifiuti di alcune aree del Paese (non solo al sud come spesso si pensa!), o ancora alle multe europee sulla depurazione delle acque reflue.

Alla mancanza di pianificazione di medio periodo ha poi fatto sempre seguito la gestione in emergenza, con la corsa del pendolo politico ad agire per tamponare il problema il più in fretta possibile dimenticando poi di accompagnare l’azione con gli interventi necessari ad affrontare i problemi in modo strutturale e, spesso, ritrovandoseli di nuovo di fronte, anche a distanza di poco tempo. In altri casi la mancanza di pianificazione si è tradotta in scelte che non hanno considerato adeguatamente gli effetti collaterali e le dirette conseguenze sul sistema nel suo complesso.

Mi pare di capire che Lei valuti positivamente la SEN, come un atto programmatorio che comunque crea uno scenario di riferimento utile per l’intero settore; allo stesso tempo, però, si sarebbe aspettato qualcosa in più: la capacità di fermare il pendolo?

“Fermare il pendolo” sarebbe troppo, piuttosto mi accontenterei di avere oscillazioni meno forti, cioè di non trovarsi sempre a rincorrere le problematiche contingenti, ma di avere la capacità di programmare, almeno nel medio termine, la direzione verso cui devono tendere i settori, dando così certezza, stabilità e coerenza.

Si pensi al processo di decarbonizzazione: qui gli obiettivi e i vincoli sono stati sottoscritti a livello europeo e internazionale e andrebbero perseguiti con pragmatismo e decisione, mentre lo sviluppo di efficaci politiche mi pare bloccato dal dibattito politico interno.

A volte il Paese si è reso protagonista di scelte innovative, anche di avanguardia rispetto a quelle di altri paesi, salvo poi rivederle con continue modifiche del quadro di riferimento e dei meccanismi di funzionamento che tolgono certezza e fiducia alle imprese con i ben comprensibili riflessi sulle scelte di investimento.

A mio avviso questo è il caso del teleriscaldamento, che nonostante gli indirizzi europei e nazionali, e alcune incentivazioni del passato legate ai suoi benefici energetici e ambientali, si trova oggi senza chiare forme di sostegno, un po’ dimenticato, sebbene per natura richieda forti investimenti in un contesto di accesa competizione di prezzo con le caldaiette domestiche a gas o a pallet, che, paradossalmente, in quest’ultimo caso, con le loro emissioni determinano un forte impatto sulla qualità dell’aria.

Ma, ancora, potrei richiamare il caso del sistema di incentivazione dell’efficienza energetica, attraverso i TEE: da più parti si riconoscono gli importanti risultati generati in termini di obiettivi di efficientamento energetico del Paese e in particolare delle imprese (23,7 milioni di TEP cumulati dal 2006); il sistema dei TEE rappresenta di gran lunga quello con il miglior rapporto costo- beneficio in termini di TEP risparmiati, come emerge dal rapporto del CESEF (nel 2016, infatti, il costo medio dei TEE per unità di energia primaria risparmiata è stato pari a 189 Euro/TEP, contro i 1.527 Euro/TEP del conto energia; si sono inoltre sviluppati nuovi strumenti di finanza e nuovi soggetti; infine, sono stati portati al 30% gli obiettivi di riduzione dei consumi energetici rispetto al 2007 e la SEN stessa riconosce lo strumento come essenziale per il perseguimento di questi obiettivi. Ciononostante in questi mesi si è creata una situazione di profonda incertezza sui meccanismi di funzionamento, tale da ingenerare una crescente sfiducia negli operatori che rischia di compromettere il futuro coinvolgimento e impegno all’efficienza energetica di intere aree e operatori. Mi auguro che in questo senso si possa rapidamente uscire da questa situazione con un quadro stabile e definitivo che sappia recuperare pienamente uno strumento essenziale per gli obiettivi della SEN e del Paese.  

Faccio, infine, un’ultima riflessione sulla visione strategica complessiva, che ritengo dovrebbe integrare profondamente i temi energetici con quelli ambientali e tecnologici. Apprezzo in questo senso che la SEN 2017 porti espressamente la firma del Ministro dello sviluppo e di quello dell’ambiente. Penso però che a questo co-signing dovrebbe seguire un ulteriore passo verso una più profonda integrazione delle due filiere, energia e ambiente, tra loro sempre più interdipendenti, in termini di politiche, indirizzi e obiettivi, accompagnata da considerazioni coerenti rispetto alla prioritizzazione dei presidi tecnologici, oggi essenziali per creare le condizioni – si pensi alle reti, agli impianti e ai modelli di mercato - per il raggiungimento degli obiettivi stessi. E in questo senso la prospettiva del biometano rappresenta un esempio eccellente, sulle cui prospettive di breve però pesa ancora la mancanza dell’ultimo decreto sui meccanismi incentivanti per l’utilizzo nell’autotrazione.

Parlando delle troppe gestioni emergenziali di questo Paese Lei ha rammentato anche il caso del settore idrico, dal 2011 anch’esso entrato nel perimetro della regolazione indipendente …

La storia del servizio idrico viene da lontano, ed è stata in passato caratterizzata da fatti che oggi sono superati; mi riferisco in particolare al periodo delle grandi estensioni delle rete acquedottistica realizzate con contributi pubblici e di gestioni spesso in perdita sussidiate con gli utili di altri servizi, in primis il gas, che all’epoca non era ancora regolato dall’Autorità nazionale. Ora, sia i contributi pubblici che i sussidi incrociati sono venuti meno (come è giusto che sia), mentre le infrastrutture idriche sono ancora carenti sul territorio. Il servizio idrico integrato è molto peculiare e complesso perché è legato alle caratteristiche fisiche del territorio, alle disponibilità delle fonti di approvvigionamento, alla compresenza di diverse tipologie di consumo e di restituzione delle acque reflue, parte della filiera che normalmente come utenti non vediamo e siamo portati ad ignorare.

Il destino dell’acqua, come e più di altri servizi essenziali per la sopravvivenza, interessa giustamente tutti noi come cittadini, ma proprio per questo motivo è anche stato oggetto di dibattiti disinformati e demagogici, a esempio quando, pur di tenere basse le bollette, vengono rinviati all’infinito investimenti necessari per la sicurezza o per la riduzione delle perdite idriche, a scapito delle future generazioni che si troveranno reti idriche sempre più deteriorate.

Il ruolo dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (AEEGSI) è stato determinante per far ripartire gli investimenti in quelle parti di territorio dove ci sono gestori sufficientemente grandi e capaci per realizzare gli investimenti, anche complessi, ed enti locali consapevoli dell’importanza di creare un meccanismo di ammodernamento infrastrutturale e di rinnovare la consapevolezza presso i cittadini del “valore” della risorsa idrica. Per uno sviluppo ulteriore, non solo a livello di investimenti ma anche di struttura industriale, attraverso il superamento della attuale frammentazione - oltre 2000 operatori -, e un allineamento delle performance all’interno del Paese mi sentirei di fare quattro proposte: 1) adottare una tariffa unica nazionale, come per l’elettricità: ciò potrebbe mettere fuori gioco le società che oggi tengono basse le tariffe, usando il blocco degli investimenti, e quelle inefficienti; 2) che l’AEEGSI agisca nei confronti degli enti locali e degli enti di governo d’ambito al fine di porre termine o attenuare il fenomeno della frammentazione delle gestioni del servizio idrico; basti pensare che in Calabria, Sicilia e Campania in 13 ATO su 92 il servizio non è ancora stato affidato al gestore unico, a danno dell’intero sistema; 3) rafforzare i meccanismi che premiano le aziende che danno prestazioni migliori (profilo, questo, oggetto d’ attenzione dell’AEEGSI), ma anche introdurre meccanismi che incidano sulla continuità degli affidamenti per quelle realtà che sistematicamente non avvicinano gli standard minimi; 4) promuovere il superamento della dimensione provinciale degli ambiti; una dimensione sovra-provinciale degli ATO consentirebbe, infatti, di ridurre sensibilmente il loro numero, producendo vantaggi per i cittadini.

Tutto ciò nella consapevolezza che l’ulteriore consolidamento del settore attorno a gestori grandi e qualificati può consentire un ulteriore sviluppo degli investimenti – come ben evidenziato da una recente analisi di Utilitalia – e una valorizzazione degli investimenti pubblici, dedicati a interventi specifici, che vengono messi in sicurezza all’interno di un programma unico e coerente.

 Per concludere, cosa ne pensa della possibile estensione all’Autorità per l’energia il gas e il sistema idrico dei poteri di regolazione in materia di rifiuti originariamente prevista dall’art.16 dello schema di Testo unico sui servizi pubblici locali ma poi fermatasi a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016?

Senza entrare nel merito delle motivazioni della decisione dei giudici, direi che l’approccio tecnico di una autorità di regolazione nazionale esperta come l’AEEGSI rappresenta un’occasione essenziale per consentire di creare una industria e far crescere uno dei settori più problematici del paese. La norma peraltro oltre a trasferire i poteri regolatori all’AEEGSI, contribuendo finalmente a superare le logiche locali, aveva il pregio di indicare un ambito minimo di gestione almeno provinciale, consentendo così di superare la frammentazione – superiore perfino a quella del settore idrico – e creando le condizioni per una maggiore capacità di investimento, una migliore programmazione dei servizi e quindi una maggiore efficacia ed efficienza a beneficio di tutti i cittadini e dell’ambiente. La crescita della struttura industriale dell’offerta diventa, peraltro, condizione necessaria per cogliere congiuntamente due aspetti fondamentali: consentire alla regolazione di definire costi standard che aiutino a traguardare l’introduzione della tariffa puntuale, costruita su criteri ambientali omogenei a livello nazionale e livelli di costo efficienti per tutti; creare le condizioni per lo sviluppo di una filiera industriale nel settore che possa cogliere, dalle sinergie che si svilupperanno su base territoriale – un po’ come sta accadendo nell’energia –, tutti i benefici socio-ambientali collegati (si pensi all’impatto attuale collegato al “turismo dei rifiuti”), conseguendo dimensioni idonee a promuovere innovazione e investimenti infrastrutturali, indispensabili per governare la transizione verso l’economia circolare e superare le criticità territoriali e/o le posizioni ideologiche ed opportunistiche, spesso collegate alla presenza di operatori in house sulle attività di raccolta.  

A questo punto la speranza è che l’appuntamento sia solamente rimandato, perché è evidente che la gestione dei rifiuti è un tema sul quale un paese potenzialmente votato al turismo come il nostro si gioca una grossa fetta della propria credibilità e attrattività internazionale.

(23 ottobre 2017)

 

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