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ISSN 2532-8913

Percorsi di economia circolare per le water utilities: dalla teoria alla dimostrazione alla diffusione (di Francesco Fatone)

L’economia circolare si fonda su un nuovo modello sostenibile, competitivo ed a basso tenore di carbonio su cui l’Unione Europea ha puntato ed investito molto. Gli obiettivi sono numerosi ed ambiziosi riguardo alla gestione dei rifiuti: massimizzare il recupero e riciclo e minimizzare la discarica. La gestione delle risorse e dei servizi idrici appare, invece, meno fondamentale, almeno nella prospettiva europea: include infatti una serie di azioni in materia di riutilizzo delle acque, tra le quali figura una proposta legislativa sulle prescrizioni minime per il riutilizzo delle acque reflue, ma non sfrutta un ben più elevato potenziale.

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Il mercato elettrico europeo e il dilemma del banditore (di Salvatore Lanza)

È noto al grande pubblico che la vendita all’asta costituisce una pratica commerciale ampiamente diffusa nelle moderne economie. Non è difficile scoprire che questa modalità di organizzare gli scambi e allocare risorse risale all’antichità: nella Roma imperiale, ad esempio, si organizzavano vendite all’asta di schiavi. I cultori della materia studiano da tempo questo strumento, principalmente per capire gli effetti delle differenti regole di aggiudicazione sul comportamento dei partecipanti e sui proventi generati dalla vendita.

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Bolletta 2.0, un anno dopo: una case history di settore (di Monica Crippa)

Bolletta 2.0, un anno dopo: una case history di settore

di Monica Crippa

L’introduzione della nuova bolletta 2.0, a partire dal 1° gennaio 2016, nell’intento del Regolatore del settore energetico (Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico: AEEGSI) nasce per facilitare la vita dei clienti, strutturandosi in “un solo foglio con tutti gli elementi essenziali di spesa e di fornitura ben evidenziati, format più semplice, snello, per renderla più chiara, moderna e comprensibile” (fonte: comunicato stampa AEEGSI del 20 ottobre 2014).

A seguito di un percorso di consultazione che ha coinvolto non solo gli operatori di settore, i consumatori e le loro associazioni, ma anche opinion maker, giornalisti ed esperti di comunicazione, il layout è stato rivisto soprattutto in termini di contenuti e terminologia utilizzata.

Questa “rivoluzione” come è stata recepita da famiglie e piccole imprese? Per rispondere a questa domanda, le società di vendita del Gruppo Ascopiave[1] - localizzate principalmente nel Nord Italia e in Puglia - hanno guardato ai “dati di portafoglio” più rappresentativi a propria disposizione, nonché all’evoluzione del rapporto con i propri clienti; ciò attraverso indagini di customer satisfaction e focus group[2] mirati.

Ne emerge un quadro piuttosto interessante e positivo, utile anche per comprendere i mutamenti sociali e tecnologici in corso - si pensi al sempre maggiore sviluppo dell’online -.

Qualche cenno ai dati più significativi

Per quanto riguarda l’aggregato dei clienti sia gas che luce, confrontando i dati con un pari periodo dell’anno precedente, si è rilevato un incremento significativo delle richieste dei clienti finali di informazioni sulla fattura sia attraverso il call center (+15%), che tramite il Servizio Clienti (+10%). La richiesta più frequente ha riguardato la voce “Spesa per il trasporto e la gestione del contatore”, che molti hanno interpretato come una voce di spesa aggiuntiva rispetto alla bolletta precedente, dovuta, a loro dire, a interventi non effettuati sul contatore.

Altro dato interessante è quello emerso in tema di recapito delle bollette. Qui l’invio tramite posta – quindi cartaceo – rimane il canale preferito dai clienti, anche se è in crescita quello e-mail/PEC. In particolare, rispetto al totale contratti nel mercato tutelato gas, hanno usufruito dello sconto in bolletta, ai sensi della delibera dell’Autorità per l’energia n. 501/2016, il 2,3% dei clienti complessivi. Si ricordi che tale sconto “ha il duplice obiettivo di incentivare i clienti a passare alla bolletta in formato elettronico, ma anche di ridurre i costi operativi dei venditori ottenendo anche benefici dal punto di vista ambientale, a favore ultimo anche degli stessi clienti finali” (fonte: chiarimento AEEGSI del 29 febbraio 2016).

Da ultimo, quanto al canone Rai (ora in bolletta, come si sa), il numero di clienti che non ha provveduto al pagamento della quota del canone TV inserita nella propria fattura è poco significativo (pari al 2%, considerando i clienti che hanno saldato quanto dovuto per i consumi di energia elettrica, ma che non hanno pagato la quota relativa al canone).

Il rapporto con il cliente: l’evoluzione in corso

In un clima sociale che registra alcuni segnali di miglioramento – crescono emozioni di fiducia (+11%) e sorpresa (+9%) e diminuiscono rabbia (-12%) e disgusto (-10%), rispetto a 6 mesi fa – il mercato dell’energia viene ancora percepito come in mano a poche grandi aziende monopolistiche.

Complice la crisi economica, è aumentata anche la difficoltà nel pagare le bollette (+ 3% rispetto al 2015) e non risulta scalfita l’opinione, piuttosto diffusa e consolidata, che i prezzi non siano effettivamente scesi con la liberalizzazione del mercato.

Interrogati sul gradimento in merito al nuovo layout della bolletta, i clienti si sono detti generalmente soddisfatti: il dato è infatti risultato in crescita rispetto agli anni precedenti (con un voto medio che è passato da 7,3 a 8,1, su una scala da 1 a 10), soprattutto per quanto riguarda la chiarezza della stessa, dopo un primo momento di “assestamento” dovuto alla necessità di assimilare il nuovo format.

Tuttavia, la percentuale di consumatori che ha notato il cambiamento non supera il 47% del campione. All’interno di questo 47%, la nuova fattura viene considerata più sintetica, più semplice, più utile per confrontare le offerte e più “amica” dei consumatori.

Il fatto che nella nuova bolletta le singole voci siano state rinominate e raggruppate in modo diverso rispetto alla vecchia viene considerato come un fattore neutro (“cambia la forma, ma la sostanza - e l’importo da pagare - è sempre lo stesso”) dal 67% dei clienti; come un fattore positivo (“con questa nuova suddivisione e nomenclatura è tutto più chiaro e facile da confrontare”) dal 27%; e come un fattore negativo (“vogliono solo confonderci per farci pagare di più”) dal 6 %.

Per quanto concerne l’addebito del canone Rai, il 91% dei clienti si è dichiarato al corrente della notizia, con un 61% del campione contrario a questa nuova modalità di pagamento, a fronte di un 39% favorevole.

I canali on line: opportunità di sviluppo e relazione con il mercato finale

Per gli operatori della vendita, la nuova bolletta può costituire uno strumento utile per avvicinare maggiormente i clienti all’utilizzo dei canali on line, sia in termini di area clienti riservata sul web, che con APP dedicate alla gestione delle forniture.

Per quanto riguarda i clienti intervistati, si registra infatti una crescita significativa degli iscritti al c.d. “Sportello Online” nel 2016, sicuramente dovuta anche al fatto che la bolletta sintetica e soprattutto gli elementi di dettaglio sono stati resi consultabili e scaricabili tramite questo strumento.

Come previsto dalla normativa, le società di vendita del Gruppo hanno inoltre provveduto allo sviluppo e alla messa on line di una “Guida alla Bolletta” per le proprie offerte sul mercato libero: il numero di accessi all’homepage è ad oggi tuttavia poco rilevante.

Va evidenziato però che nella sezione del sito relativa alla Guida è stata anche inserita una mini-guida scaricabile per la lettura della bolletta, a maggior supporto per il cliente in cerca di informazioni. Tale mini-guida, insieme al più utilizzato canale del call center, potrebbe quindi essere ritenuta sufficiente dalla maggioranza degli utenti.

Quanto al rapporto con la “rete”, è emersa una differenza tra i comportamenti on line legati agli acquisti, ad esempio, di prodotti di largo consumo, e quelli relativi agli acquisti di gas ed energia, oggi ancora per lo più correlati alla gestione di servizi, quali ad esempio l’autolettura. Il web, in definitiva, non è ancora percepito come possibile mezzo per seguire/aderire alle proposte del proprio fornitore, per comunicare con esso, o anche semplicemente per gestire in toto la propria fornitura on line.

Le ragioni di questa “resistenza” vanno probabilmente ricercate in una serie di “credenze condivise” che, nei mercati energetici, frenano l’uso del web e delle APP, dovute in particolare:

-al timore di perdere il controllo dei costi sostenuti (“solo la bolletta cartacea offre la sicurezza del riscontro e i pagamenti elettronici non sono sicuri” – “solo ricevendo la bolletta per posta si possono tenere sotto controllo i costi”);

-alla percezione di far risparmiare tempi e costi all’operatore ma non al cliente finale (“passando ai servizi online l’operatore risparmia senza far risparmiare i clienti” – “le APP intasano il telefono e vendono i dati personali degli utenti, un altro regalo non retribuito al gestore”);

-alla difficoltà di superare un gap tecnologico legato all’età dei clienti (“chi offre questi servizi è iniquo verso le fasce di popolazione che non sono in grado di fruirne”);

-alla paura in un futuro prossimo di veder persi dei posti di lavoro in favore di una digitalizzazione dei servizi (“per ogni nuovo servizio digitale vengono licenziati dei lavoratori e si mettono a rischio gli sportelli sul territorio”).

Se i “killer della digitalizzazione” sono mossi anche dal temuto impatto sociale (sul mondo del lavoro, ecc.), tra i driver di questa evoluzione guadagna, invece, centralità la questione della riduzione dell’impatto ambientale.

Nonostante quasi nessuno degli interpellati abbia usato le APP dei propri operatori energetici, si registra nondimeno un certo entusiasmo per i servizi da esse offerte. A patto che sia garantita la semplicità di utilizzo.

Come riflessione finale, in base ai dati raccolti e alle indagini svolte, si può dire che permane una scarsa conoscenza, da parte dei clienti finali, sia del mercato dell’energia e delle sue dinamiche, in senso lato, che della possibilità di utilizzo di canali “non tradizionali”, anche a fronte di benefici oggettivi e certi (lo sconto ex delibera 501/2016, ad esempio). Nonostante gli sforzi compiuti da diversi operatori di settore, che molto stanno spingendo sull’on line, la diffidenza (financo la riluttanza) mostrata da molti clienti non hanno ancora consentito una piena maturità del mercato in questo campo.

La sfida principale del futuro sarà allora quella di far percepire appieno il valore di questi servizi: semplicità, risparmio (di tempo e di denaro), controllo (dei consumi e della spesa) e riduzione dell’impatto ambientale sembrano essere le leve principali da sfruttare a questo fine, accompagnate da un’adeguata informazione e “formazione” della clientela finale.

30 gennaio 2017

 


[1] Le società di vendita considerate sono Ascotrade, Amgas Blu, ASM Set, Blue Meta, Etra Energia, Pasubio Servizi e Veritas Energia.

[2] Indagini svolte dalla società SWG per la società Ascotrade.

 

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Rivalutare il patrimonio immobiliare attraverso la riqualificazione energetica. Analisi e criticità. (di Andrea Marroni)

Rivalutare il patrimonio immobiliare attraverso la riqualificazione energetica.

Analisi e criticità

di Andrea Marroni

 

  1. Introduzione: una fotografia socio- economica

 

Nel mercato degli immobili italiano da qualche anno si assiste ad un costante “rinvio all’anno prossimo” della tanto attesa stabilizzazione dei prezzi e della ripresa. Il problema è che “l’anno prossimo” non arriva mai. Se nel 2013 ci siamo trovati nel picco negativo dell’andamento del mercato immobiliare, con una svalutazione che ha raggiunto le due cifre in pochi mesi, la tendenza ribassista dei prezzi non pare, ancor oggi, destinata ad invertirsi.

Ma facciamo subito chiarezza: non ci sarà, nel breve, alcuna stabilizzazione dei prezzi. Anche nel primo trimestre 2016, spiega l’ISTAT, i prezzi delle abitazioni, nuove ma soprattutto di quelle esistenti, hanno continuato a declinare. E non ha molto senso utilizzare come benchmark il caso-Milano, il quartiere Salario-Parioli a Roma o il palazzo a Venezia che può attrarre qualche Fondo sovrano o qualche Fondo di Investimento globale. Usare questi termini di riferimento è, senz’altro, fuorviante.

Dal 2008 ad oggi è stata erosa una fetta importante della ricchezza delle famiglie italiane che, per circa i due terzi, si basa proprio sui beni reali (oltre l’80% dei quali, secondo le rilevazioni più recenti di Bankitalia, sono proprio abitazioni).

A condizioni date, appare quindi probabile che assisteremo ad una ulteriore discesa dei prezzi degli immobili, che potrebbe essere ancora lunga e molto dolorosa, a meno che non si individuino strumenti efficaci per fare ripartire il settore.

Ma fissiamo alcuni punti.

 

    1. Il mercato delle abitazioni è difficilmente accessibile per chi non abbia alle spalle un sostanzioso sostegno famigliare. Per comprare servono i soldi, che si attingono nel reddito disponibile e/o nel risparmio accumulato. Il compratore-tipo in genere ha un’età compresa tra i 35 e i 55 anni: in questa fascia si concentra il cuore pulsante di ogni sano ed efficace mercato delle compravendite.

 

    1. Ma i prezzi sono ancora alti in rapporto ai redditi, specie di quanti si siano da poco affacciati nel mondo del lavoro, che dovrebbero invece costituire la vera leva strutturale di rinascita e sviluppo virtuoso del mercato immobiliare. Peraltro, il reddito si è assottigliato in termini reali, e la propensione al risparmio (quel risparmio che serve per esempio per l’anticipo), praticamente eliminata.

 

    1. Le ricette di detassare completamente le abitazioni è impraticabile. Per spostare le imposte chissà dove, magari sui redditi o sulla produzione?

 

    1. Le abitazioni esistenti, che necessitano di interventi di riqualificazione e manutenzione, sono le abitazioni delle famiglie, e compongono gran parte della loro ricchezza. Ma per chi entra nel mercato delle abitazioni sul lato della domanda con una buona capacità, le abitazioni di nuova costruzione (o esistenti appena ristrutturate) sono più attraenti perché molto spesso gli interventi di riqualificazione nascondono sorprese spiacevoli: tempi lunghi sia sul fronte amministrativo-burocratico che sul fronte attuativo-operativo. Quindi la vera zavorra dell’immobiliare italiano sono proprio le abitazioni delle famiglie.

 

    1. Tra il 2006 ed il 2014, gli edifici di nuova realizzazione sono stati circa l’1,4% dell’esistente. Poco più di un edificio su cinque è stato realizzato in epoca anteriore al 1919; gli ultimi venti anni registrano comunque una diminuzione delle realizzazioni rispetto ai periodi precedenti. Questo dato complessivo è molto rilevante: il mercato delle abitazioni nuove – ossia abitazioni di nuova costruzione o esistenti ristrutturate e vendute dalle imprese operanti nell’edilizia – ha infatti retto meglio rispetto a quello delle abitazioni esistenti.

 

    1. L’andamento comparato tra popolazione, famiglie ed abitazioni disponibili (fonte ISTAT) indica che nell’arco di un cinquantennio si è assistito all’incremento del 28% della popolazione (da 47 milioni e mezzo a 60 milioni), del 103% delle famiglie (da 11 milioni 800 mila a oltre 24 milioni) e ben del 207% degli immobili (da 11 milioni e mezzo a oltre 35 milioni). Mentre nell’epoca post bellica della ricostruzione in Italia avevamo grosso modo una casa per famiglia ai giorni nostri il rapporto è diventato di 1,5 case per famiglia. Con alcune sostanziali differenze. Negli anni Cinquanta esistevano ancora molte famiglie numerose tra cui tante costrette a vivere in abitazioni precarie (baracche, tanto per intendersi). Perciò si è passati da una casa ogni cinque persone a oltre una casa ogni due persone; tenuto conto che le previsioni demografiche evidenziano una sostanziale stabilità della popolazione italiana nei prossimi due decenni, si può prevedere che, nel prossimo futuro, saranno disponibili circa 40 milioni di abitazioni. Tornando all’“oggi” è peraltro nota la pesante situazione di nuove costruzioni residenziali rimaste invendute nelle aree periferiche urbane, peraltro anche in casi in cui si era predetto un “sicuro” successo di vendite (quartiere S. Giulia a Milano).

 

    1. Come può leggersi nel “Documento di predisposizione del Piano d’Azione italiano per l’Efficienza Energetica 2014”, sulla base dei dati contenuti nell’ultimo censimento ISTAT del 2010 e degli ultimi rilevamenti effettuati da altri organismi (ENEA, ANCE, CRESME, ecc.), è stato possibile stabilire la consistenza del parco immobiliare nazionale. Ebbene, sul territorio nazionale sono stati individuati circa 13,6 milioni di fabbricati di cui più dell’87% destinati al residenziale e la restante parte al non residenziale (alberghi, uffici, commercio, ospedali, chiese, ecc.). La Sicilia e la Lombardia, da sole, raggiungono il 24,52% del totale delle abitazioni.

 

    1. Vi sono sul territorio circa 700.000 edifici non utilizzati, per recupero edilizio o perché in condizioni precarie di sicurezza. Gli edifici a destinazione d’uso residenziale, al 2013, risultano pari a 11,7 milioni con oltre 29 milioni di abitazioni. Oltre il 60% di tale parco edilizio ha più di 45 anni.

 

    1. Sul territorio italiano sono presenti circa 51.000 edifici ad esclusivo o prevalente uso scolastico e circa 65.000 edifici ad esclusivo o prevalente uso ufficio; circa 25.800 edifici ad esclusivo o prevalente uso alberghiero.

 

    1. E’ sempre purtroppo vivo il fenomeno dell’abusivismo, soprattutto nel Meridione. I vari “condoni edilizi” hanno poi spinto verso il deprezzamento complessivo degli immobili e, soprattutto, hanno di fatto ostacolato una più razionale pianificazione urbanistica (parlare di “smart city” in Italia appare spesso come una tragica ironia). Tutto ciò (abusivismo + condono) produce un effetto collaterale semplice, quanto inesorabile: toglie valore all’immobile vicino che è in regola.

 

    1. Oggi “mantenere il mattone” ha un costo assai più elevato di quanto non fosse fino a qualche tempo fa. E se i redditi sono inadeguati al reale costo della vita, parte del patrimonio immobiliare viene messo sul mercato per generare liquidità, abbassando però i prezzi e, quindi, la ricchezza complessiva.

 

    1. A poco serve, allora, l’abbassamento del costo del denaro ad opera della Bce o l’ennesimo presunto incremento della domanda di mutui che (come spiegato dagli operatori bancari) è costituito, in realtà, per lo più dalla richiesta di surroghe alla luce della maggiore convenienza dei nuovi tassi d’interesse e dalla richiesta di appartamenti in buone condizioni e posizione di dimensione medio-piccola (75/100 mq), una fascia di mercato che ha sofferto meno il declino.

 

    1. In Italia esiste, come noto, un problema di segmentazione per generazioni e per gruppi di interesse (a partire dalla categoria di coloro che ricevono la pensione con criterio retributivo rispetto a quelli che la ricevono invece con criterio contributivo); un problema di skill premium per i lavoratori maggiormente qualificati; un flusso migratorio proveniente dai Paesi meno sviluppati di qualità medio-bassa; una alta disoccupazione giovanile, unita al fenomeno dei c.d. inattivi che rappresentano il 29% della fascia di età 15-24 (peggior risultato all’interno dell’UE); un assistenzialismo parassitario che ha prodotto una moltiplicazione delle burocrazie e che ci ha condotti in un vicolo cieco fatto di tasse e debito dal quale è difficile uscire

 

    1. Infine, una pressione fiscale complessiva molto, troppo alta. L’Italia aveva, nel ’74, una pressione fiscale del 25%, minore rispetto alla media OCSE (28,6%). Nel ‘93 la stessa è arrivata al 42% del PIL, superando dunque la media OCSE (34%), e si tratta di dati ufficiali inclusivi del c.d. Valore Aggiunto Sommerso (VAS). Se il VAS dovesse essere scorporato e fosse calcolata la pressione fiscale solo sulla quota di persone fisiche e giuridiche che è realmente soggetta a tassazione, si raggiungerebbe circa il dato del 52%. Contemporaneamente, nel ’74 la nostra spesa pubblica era pari al 35% del PIL, inferiore ad una media del 38% dell’allora comunità europea; ma è poi passata al 50% nel 1985 e, addirittura, al 55% nel 1993. Analogo il trend registrato per il debito pubblico, pari al 50% del PIL nel ’74, esploso successivamente, negli anni ’80, fino ad arrivare a superare il valore del PIL tra il ’92 e il ’93.

 

I dati fin qui riportati evidenziano un fenomeno che rischia di diventare una bomba ad orologeria per tutto il sistema immobiliare italiano: lo squilibrio tra offerta e domanda.

 

  1. Per una strategia di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare nazionale

 

C’è solo una strada, ad avviso di chi scrive, per tentare di riprendere la “retta via”: non permettere più, sul territorio italiano, alcun nuovo intervento edilizio e facilitare qualsiasi intervento di riqualificazione edilizia con misure strutturali di detassazione e deregulation sul fronte energetico (ed anti-sismico).

La via è stata segnata dalla Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica, il cui disegno è molto ampio e tocca una serie di temi strategici:

- shifting to a more energy-efficient economy should also accelerate the spread of innovative technological solutions and improve the competitiveness of industry in the Union, boosting economic growth and creating high quality jobs in several sectors related to energy efficiency;

- the public sector constitutes an important driver to stimulate market transformation towards more efficient products, buildings and services, as well as to trigger behavioural changes in energy consumption by citizens and enterprises;

- capture the growth and employment opportunities in the skilled trades and construction sectors, as well as in the production of construction products and in professional activities such as architecture, consultancy and engineering;

- investment in the renovation of residential and commercial buildings with a view to improving the energy performance of the building stock. That strategy should address cost-effective deep renovations which lead to a refurbishment that reduces both the delivered and the final energy consumption of a building by a significant percentage compared with the pre-renovation levels leading to a very high energy performance;

- the rate of building renovation needs to be increased, as the existing building stock represents the single biggest potential sector for energy savings;

- model contracts, exchange of best practice and guidelines, in particular for energy performance contracting, can also help stimulate demand. As in other forms of third-party financing arrangements, in an energy performance contract the beneficiary of the energy service avoids investment costs by using part of the financial value of energy savings to repay the investment fully or partially carried out by a third party.

In particolare, la direttiva prevede (articolo 4) che gli Stati membri stabiliscano una strategia a lungo termine per mobilitare investimenti nella ristrutturazione del parco nazionale di edifici residenziali e commerciali, sia pubblici che privati.

Ci si riferisce ai seguenti interventi:

• isolamento termico dell’involucro edilizio (solaio di copertura, solaio su ambienti non riscaldati, pareti opache perimetrali disperdenti e riduzione dei ponti termici);

• sostituzione serramenti (infissi ad alta prestazione energetica, coibentazione cassonetti, elementi oscuranti);

• adeguamento del sistema di regolazione dell’impianto di climatizzazione (installazione valvole termostatiche e simili);

• sostituzione del generatore di calore (caldaia a condensazione, pompe di calore, anche geotermiche);

• installazione di un sistema di domotica;

• sostituzione/rifacimento dell’impianto illuminotecnico (corpi illuminanti ad alta efficienza);

• generazione di energia da fonti rinnovabili (pannelli solari termici, fotovoltaico).

Le tipologie di intervento considerate sono: globale (per il monofamiliare e per il plurifamiliare); parziale (per gli appartamenti e gli interventi sulle parti comuni e sugli impianti degli edifici plurifamiliari).

Gli interventi previsti nella valutazione della riduzione dei consumi fanno poi riferimento a:

• isolamento termico del solaio di copertura;

• isolamento termico dei solai su pilotis o su ambienti non riscaldati e di pareti opache perimetrali disperdenti (sottofinestra);

• sostituzione di infissi con tipologie ad alta prestazione energetica;

• adeguamento del sistema di regolazione dell’impianto di climatizzazione (installazione valvole termostatiche e simili);

• sostituzione del generatore di calore (in particolare di quelli che ancora risultano essere alimentati a gasolio);

• utilizzo di recuperatori di calore ad alta efficienza;

• installazione di un sistema di domotica o BEMS (Building Energy Management System);

• sostituzione/rifacimento impianto illuminotecnico (corpi illuminanti ad alta efficienza);

• schermature solari esterne in particolare per le facciate a sud.

Gli interventi presi in considerazione sono mixati in combinazioni che tengono conto delle caratteristiche climatiche della zona in cui ricade l’edificio, della destinazione d’uso e del rapporto costi/benefici.

 

  1. Analisi delle barriere (economiche e finanziarie) alla realizzazione di interventi di efficientamento energetico negli edifici privati

 

Dato che le azioni di efficienza energetica hanno spesso un ritorno economico positivo sul medio-lungo termine, in uno scenario puramente razionale, ci si aspetterebbe che tali azioni e investimenti si realizzassero spontaneamente, sorretti da logiche economiche e dal mercato.

Il meccanismo virtuoso è, però, ostacolato da numerose barriere. In ambito civile, gli elevati investimenti iniziali scoraggiano spesso le decisioni dei piccoli consumatori (residenziale, uffici); a ciò si aggiunge una frequentemente scarsa consapevolezza dei potenziali risparmi e una difficoltà di accesso agli incentivi.

Questi, in sintesi, i principali ostacoli:

• Difficoltà, specialmente per interventi a pieno edificio, nell’ottenere prestiti da parte del sistema privato (Istituti di credito), dovuta alla complessa valutazione e validazione tecnico-economica dell’intervento, ai tempi di ritorno medio-lunghi, alle incertezze sui tempi di pagamento dei ratei, ai tassi di interesse applicati.

• Si registra, inoltre, una limitata esperienza e una forte diffidenza nel finanziare progetti di efficienza energetica basati sul cash-flow.

• Le dimensioni finanziarie dei progetti, di medio piccola entità, non destano l’interesse di grandi istituzioni finanziarie.

• Si registra ancora una certa impreparazione degli istituti finanziari nel fornire strumenti idonei a meccanismi innovativi.

• Difficoltà di accesso a finanziamenti pubblici/agevolazioni fiscali dedicati allo sviluppo di progetti innovativi nel settore pubblico, residenziale e non residenziale.

• Difficoltà originate dalla “separazione degli interessi”: si pensi al settore residenziale e al rapporto inquilino – proprietario. Da una parte ci sono i proprietari, che potrebbero effettuare investimenti per l’efficienza energetica, ma senza ricavarne alcun beneficio diretto ed immediato, se non quello indiretto di aumentare il valore immobiliare; dall’altra vi sono invece gli inquilini i quali potrebbero beneficiare di bollette “più leggere”, ma non hanno interesse ad investire in un immobile che non è di loro proprietà e che potrebbero lasciare di lì a pochi anni, comunque prima di rientrare dell’investimento effettuato.

• Un’alta percezione di rischio, dovuta alla difficoltà di conoscere i costi reali di tecnologie avanzante/innovative, nonché di valutare i costi imprevisti e tener conto delle considerevoli fluttuazioni dei costi energetici, suscettibili di alterare nel tempo la resa dell’investimento.

• L’elevato rischio, nel caso di interventi in condomini pubblici e privati, di morosità, che tende a scoraggiare la ESCo, in ragione dei possibili problemi nel recupero delle quote di credito derivanti dal risparmio energetico conseguito.

In questo quadro, strumenti come il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, che prevede una dotazione annuale di circa 70 milioni di euro, appaiono poco efficaci. Apprezzabile la buona volontà, ma, come spesso accade, la complessità del sistema finisce per rappresentare un elemento deterrente più che incentivante.

 4. L’esempio virtuoso dell’edilizia pubblica?

 

Leggendo i più recenti studi in materia e parlando con le Energy Services Companies che operano attualmente sul mercato italiano, emergono vari e differenziati ostacoli allo sviluppo del mercato dell’efficienza energetica, anche in ambito pubblico.

Molti si aspettavano che il settore pubblico innescasse un meccanismo virtuoso di cui anche il settore privato avrebbe potuto avvantaggiarsi. Ma ciò non è avvenuto finora. Anche qui gli ostacoli sono molti e di varia natura.

Barriere finanziarie Barriere istituzionali Altre Barriere tecniche ed organizzative
Tempi di ritorno dell’investimento lunghi. Considerando gli alti costi di investimento iniziali richiesti da una riqualificazione globale, i costi di investimento spesso non possono essere ripagati dai risparmi conseguiti entro tempi di ritorno ragionevoli. Procedure burocratiche patologicamente lente e incerte. Alcuni progetti (per es. teleriscaldamento o pompe geotermiche) ricevono le autorizzazioni molto tempo dopo la presentazione della domanda. Gli Enti Locali solitamente fanno richiesta di tecnologie semplici e di rapida attuazione, invece di scegliere quelle che comporterebbero maggiori benefici in termini di risparmi energetici. Vi è una generale tendenza a cercare grants (contributi a fondo perduto), mentre i contratti di rendimento energetico sono effettuati via loans (prestiti bancari con tasso di interesse di norma non agevolato).
Ritardi nei pagamenti specialmente quando l’interlocutore di una ESCo è una P.A. Per una ESCo di medie dimensioni è solitamente insopportabile l’incertezza sui tempi di pagamento, che porta a rimanere troppo a lungo esposti finanziariamente.

L’instabilità legislativa genera una diffusa riluttanza verso i progetti a medio-lungo termine. Un’ulteriore criticità è data dall’interazione tra diversi schemi di sussidio che talvolta si sono anche sovrapposti, generando incertezze interpretative.

Mancanza di un protocollo comune e standardizzato di misura e verifica (M&V)

Scarsa attrattività economica dei piccoli progetti di efficienza energetica. E’ spesso difficile, per soggetti pubblici, sostenere i costi degli interventi di efficienza energetica. Inoltre, le grandi ESCo solitamente intraprendono solo progetti con costi di investimento che permettano logiche di scala e di ottimizzazione. Mancanza di conoscenza, legale e tecnica, dei contratti di rendimento energetico da parte delle PP.AA. e diffidenza verso le ESCo: non soltanto per il noto problema di individuare i confini tra rischi a carico della ESCo e rischi a carico del cliente pubblico, ma anche per una confusione terminologica che ha ulteriormente danneggiato la diffusione delle ESCo (“ESCo accreditata” dall’Autorità per l’energia versus “ESCo certificata”, secondo la norma UNI CEI 11352). Questa distinzione non è a oggi sufficientemente chiara per i potenziali clienti pubblici.

Mancanza di coefficienti correttivi comuni, che tengano conto di eventuali variazioni climatiche, di cambiamenti nell’utilizzo dell’immobile e nel comportamento degli occupanti.

Difficile accesso al prestito bancario. Gli istituti finanziari, spinti da un comportamento precauzionale rispetto ai rischi di insolvenza, fanno ancora riferimento ai collaterali classici (capitale sociale, mutui, fideiussioni ecc.) e non accettano come garanzia principale i futuri flussi di cassa generati dai risparmi energetici. Ad oggi, le banche continuano infatti a finanziare progetti sulle energie rinnovabili che garantiscono un flusso di cassa continuo e non dipendente da variabili rischiose.

Mancanza di dati certi sui consumi effettivi di energia da parte di edifici appartenenti ad enti pubblici.

I risparmi energetici possono invece essere correttamente quantificati a condizione che si conoscano esattamente i consumi nella situazione attuale (business as usual).

Mancanza di un approccio al Ciclo di Vita.
I vincoli posti dal Patto di Stabilità impediscono spesso l’utilizzo delle risorse disponibili. Le attuali condizioni contrattuali Consip per interventi di efficienza energetica in strutture pubbliche devono essere migliorate in un’ottica di trasparenza, per garantire che le gare d’appalto non siano manipolabili.

Assenza di separazione contabile tra riqualificazione e fornitura di combustibili.

I risparmi energetici sono raramente considerati un driver principale per intraprendere nuovi investimenti nel settore pubblico. Visione di breve termine delle istituzioni pubbliche: le istituzioni pubbliche, consapevoli dell’instabilità legislativa e delle lunghe procedure burocratiche che, peraltro, loro stesse applicano, optano solitamente per tecnologie semplici e di rapida implementazione. Per motivi politici, poi, si pretende che i risultati degli interventi di efficienza energetica siano visibili entro il periodo del mandato elettorale (mentre gli investimenti a lungo termine spesso comportano benefici per il mandato successivo …).

Problemi- chiave sono, dunque, la scarsa autonomia finanziaria delle PP.AA. e, soprattutto, il difficile accesso al prestito bancario. Per far decollare gli investimenti in ristrutturazione e riqualificazione energetica dell’edilizia pubblica (a partire da quella scolastica), occorrerebbe pertanto rendere più efficace il mix pubblico-privato degli strumenti finanziari già esistenti. Peraltro, sono molti e differenziati gli attori sulla scena e la difficoltà sta proprio nel costruire un modello di business che riesca a trovare una collocazione adeguata ad ognuno di essi (government authorities; building developers; investors; occupiers; suppliers and manufacturers; architects, engineers, contractors and craftsmen; utilities).

 

 

 5. Per uno sviluppo dell’efficienza energetica nel settore pubblico: i contratti EPC (Energy Performance Contracting)

 

Nel settore pubblico, il mercato dell’efficienza energetica potrà più agevolmente svilupparsi mediante contratti che individuino chiaramente le responsabilità della parte privata e di quella pubblica.  

L’elemento caratterizzante dei contratti EPC è rappresentato da una combinazione di attività e servizi strumentali al perseguimento dell’efficienza in relazione ad un dato sistema energetico; efficienza che, comportando un certo margine di risparmio energetico, diventa parametro in base al quale determinare la remunerazione spettante al fornitore, dando così forma all’intera regolamentazione contrattuale.

Lo schema può essere assimilato alla concessione di costruzione e gestione o alla concessione di servizi. Le prestazioni rientranti nell’EPC, infatti, possono tradursi tanto nel compimento di opere e nella relativa gestione, quanto nella gestione di un servizio. Senonché, nell’EPC il “fornitore” è remunerato in base alla quota di risparmio ottenuta dagli interventi, e non già dalla gestione delle opere realizzate o dalla gestione del servizio.

La predisposizione dei contratti EPC dovrà dunque prendere le mosse da una stima dei costi da sostenere e dei ricavi attesi, sulla base di un’analisi di fattibilità tecnica ed economica e di un piano economico-finanziario in cui siano presi in considerazione le diverse variabili di costo, quali:

  • tassi d’interesse,

  • rischi,

  • coperture assicurative,

  • tempi di rientro dell’investimento in base ai risultati di efficientamento conseguiti.

    Solo in questo modo si potrà redigere un contratto equilibrato, in cui, a fronte degli obblighi della ESCo di progettare, realizzare le opere e svolgere un’adeguata manutenzione, venga stabilito un giusto lasso di tempo per terminare l’operazione e, quindi, un equo rapporto tra canone e risultati di risparmio energetico ottenuti.

    Insomma, non si può prescindere dall’inquadrare correttamente quali siano i compiti e le conseguenti responsabilità della ESCo, a partire dall’assunzione del rischio tecnico e commerciale dell’operazione.

 

       6. Conclusioni

Sono poche le misure bottom-up di politica industriale che potrebbero far ripartire la crescita e lo sviluppo italiani in modo strutturale, e non con un misero +0,1... Una di queste è il circolo virtuoso che si potrebbe innescare per effetto della combinazione tra una azione di recupero edilizio del patrimonio residenziale italiano e una azione di forte innovazione tecnologica sul versante energetico-ambientale. Se ne parla da tempo e l’esempio di altri Paesi ci mostra i benefici effetti di simili politiche.

In Italia, in particolare, l’obiettivo dovrebbe essere una smart deregulation che conduca a fornire un'opzione di autonomia energetica per gli utenti ed i consumatori finali, sia come singoli sia come aggregati (attraverso il ricorso ai servizi delle ESCo), vincendo le inevitabili resistenze degli incumbents. In questo modo, si potrebbe innescare un vero e proprio effetto-domino, con ricadute occupazionali e di sviluppo tecnologico: una leva di sperimentazione ed attrazione di interessi difficilmente pre-quantificabili. Ma certamente di grande impatto. 

 

(22 dicembre 2016)

 

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