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ISSN 2532-8913

La Comunità energetica rinnovabile: una nuova figura per vincere la sfida della transizione energetica (di Roberto Galvanelli ed Enrico Peruchetti)

Il 2019 è l’anno del ventennale del processo di liberalizzazione dei mercati energetici, avviato nel 1999 con il decreto legislativo 16 marzo 1999. Il Gestore dei Servizi Energetici, che nell’ambito del meccanismo di liberalizzazione ha assunto via via un ruolo sempre più centrale, ha organizzato nel mese di maggio un convegno sul tema, intitolato “Il mercato elettrico alla prova dei vent’anni”, per cercare di fare un bilancio del passato ed una previsione sul futuro del nostro mercato elettrico. Il Presidente del GSE, Francesco Vetrò, se da un lato sottolinea i passi fatti in avanti, con la quota di produzione di energia elettrica soddisfatta mediante fonti rinnovabili “passata dal 15% del 1998 al 34% del 2018”, dall’altro avverte che una transizione energetica efficace che ponga il consumatore al centro del mercato e che stia al passo con gli obiettivi europei potrà avvenire “solo se tutti funzioneremo insieme”. E ancora “La sinergia deve riguardare le istituzioni, le pubbliche amministrazioni, i cittadini e le imprese. E’ solo così che l'obiettivo può essere centrato".

La produzione da fonte rinnovabile, in effetti, è passata dai 51 TWh del 2000 ai 115 TWh del 2018 (Figura 1) a fronte di un consumo interno lordo essenzialmente agli stessi livelli del 2009, consentendoci di raggiungere in anticipo l’obiettivo del 17% di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile al 2020.

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Figura 1: consumi interni di elettricità e produzione FER (fonte: GSE - "Rapporto delle attività 2018")

 

 

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Figura 2: copertura produzione elettrica da FER al 2020 (fonte: “Overview ofItalian RES market” Danish-Italian business forum. 2018)

Questo risultato è stato ottenuto grazie ad una maggiore coscienza della questione energetica, ad un crescente impatto dei costi di approvvigionamento e, soprattutto, ad un “pacchetto” di sistemi incentivanti che nel corso degli anni hanno favorito l’installazione di numerosi impianti a fonte rinnovabile, con il solare fotovoltaico e le biomasse che hanno fatto la parte del leone. A goderne i benefici (parzialmente) e a pagarne i costi è stata la collettività, con una progressiva impennata degli oneri di incentivazione ed in particolare della tristemente famosa componente A3, oggi confluita nella nuova componente Asos a seguito della riforma degli oneri di sistema attiva dal 1 gennaio 2018.

 

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Figura 3: oneri di incentivazione FER e assimilate dal 2015 al 2040 (fonte: GSE - "Rapporto delle attività 2018")

La fine del Conto Energia è storia nota a tutti e le “difficoltà” di approvazione del nuovo decreto FER1 mostrano come non sia più sostenibile uno sviluppo delle fonti rinnovabili basato sulla sola incentivazione delle stesse basata sulla valorizzazione fuori mercato dell’energia prodotta. In realtà, a parere di chi scrive, il vero problema sta nella mancanza di una visione organica e di medio periodo degli organismi governativi che non sono stati in grado di pianificare una politica di sviluppo energetico organica.

La forma assunta nel recente passato dalle incentivazioni alle energie rinnovabili, con specifico riferimento alle cosiddette “feed-in tariff”, abbinata alla forte limitazione della possibilità di scambiare energia liberamente tra soggetti all’esterno del sistema elettrico pubblico, ha avuto come effetto (collaterale?) la tutela del sistema di distribuzione esistente, con la creazione di alcuni stridenti paradossi. Si pensi ai numerosi casi in cui l’energia prodotta da un impianto alimentato da fonte rinnovabile (fotovoltaica, eolica, idraulica…) viene immessa nella rete pubblica: beneficia degli incentivi (finanziati da - quasi - tutti i consumatori di energia tramite gli oneri pagati in bolletta) per essere immediatamente prelevata dalla medesima rete pubblica, in un intorno geografico di pochi metri da un altro utente che paga un prezzo complessivo tipicamente più alto della remunerazione garantita dalla tariffa incentivante. Perché non lasciare produttore e consumatore liberi di definire un prezzo tra di loro e presentarsi al sistema elettrico come un unico utente, che acquisti o ceda solo i flussi energetici al netto di ciò che viene autoconsumato? La travagliata regolamentazione dei “sistemi efficienti di utenza” (SEU) ha parzialmente risolto questo tipo di paradosso, permettendo ad un produttore e ad un consumatore di interfacciarsi direttamente, senza dover passare dal sistema elettrico pubblico, pur essedo ancora sistemi troppo rigidi per consentire di superare efficacemente il problema.

Si tornerà sull’argomento SEU più avanti, qui si porta solo la significativa parabola della normativa attinente a questo strumento: in tre anni si è passati dall’ideazione dei SEU, concepiti per garantire uno scambio di energia quasi senza oneri verso il sistema elettrico, per poi minacciare un’applicazione progressiva dei medesimi oneri anche all’energia scambiata internamente al SEU, finendo con un generale “liberi tutti”, con impegni formali a non gravare l’energia scambiata nei SEU di ulteriori oneri. Moltissimi progetti nati con l’ideazione dei SEU non sono sopravvissuti alla girandola normativa, che è terminata con investitori spaventati e disincantati che hanno cestinato business plan da milioni di euro. Chiunque abbia operato anche solo a medio livello nella gestione dell’energia negli anni tra il 2013 e il 2018 ha subìto questo e tanti altri terremoti.

Quale che sia il motivo, oggi ci troviamo in una situazione di imbarazzante stallo, nella quale la politica è incapace di dare dei segnali credibili agli investitori e la situazione di incertezza che si è venuta a creare non favorisce certo nuovi investimenti.

Contestualmente in Italia è nato e si è sviluppato anche il mercato dell’efficienza energetica che, grazie a meccanismi come quello dei Certificati Bianchi, ha visto l’esplosione di operatori di mercato prima quasi inesistenti (le ESCO) in grado di stimolare la realizzazione di nuovi interventi di riduzione dei consumi di energia primaria, aggredendo quindi l’obiettivo di copertura dei consumi da FER dal lato domanda. Anche qui ci troviamo però in una situazione di forte incertezza, con il meccanismo dei Certificati Bianchi (che rimane il sistema incentivante più longevo mai concepito in Italia) più morto che vivo ed un mercato dell’efficienza che si sta sempre più concentrando nelle mani delle grandi Utilities, con effetti tutt’altro che prevedibili al giorno d’oggi.

Se l’obiettivo di produzione elettrica da FER al 2020 è stato praticamente raggiunto, guardando oltre, al 2030 l’Italia dovrebbe raggiungere una copertura del 28% sui consumi interni (Figura 4), con un contributo richiesto primariamente al solare fotovoltaico che dovrebbe più che triplicare la sua produzione nei prossimi 10 anni.

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Figura 4: sviluppo delle singole fonti rinnovabili al 2030 secondo la SEN (fonte: “Overview ofItalian RES market” Danish-Italian business forum. 2018)

Ecco che quindi, se si vuole (come si deve) proseguire in questo percorso di sostenibilità ambientale, non è più possibile agire contando in modo esclusivamente “passivo” sugli incentivi erogati dallo Stato, in assenza dei quali ci sentiamo forse legittimati a dimenticare gli effetti del cambiamento climatico che ci investono (a volte in senso nemmeno tanto figurato) quotidianamente. E questo monito non è rivolto soltanto alle imprese, agli investitori ed in generale alle società che sul mondo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica hanno creato e continuano legittimamente a creare il proprio utile (anche perché in quanto società a scopo di lucro sono le prime a cercare nuove vie per sostenere il loro business), ma anche a noi “comuni cittadini” che dovremmo avere un ruolo sempre più attivo nel diffondere ed esercitare comportamenti virtuosi per il nostro amato o quanto meno unico pianeta Terra.

In tal senso, la nuova Direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili ha consolidato l’interessante figura della “comunità di energia rinnovabile” (CER o Local
Energy Communities – LEC), già citata nel “EU Winter Package” del 2017 e, a livello nazionale, all’interno della SEN sempre del 2017.
Nella direttiva del 2018 le Comunità Energetiche sono definite quale soggetto giuridico i cui azionisti o membri sono persone fisiche, PMI, amministrazioni comunali, e il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera.

In particolare, una comunità energetica potrà essere in grado di:
- produrre, consumare, immagazzinare e vendere l'energia rinnovabile, anche tramite accordi di compravendita di energia elettrica rinnovabile;
- scambiare, all'interno della stessa comunità, l'energia rinnovabile prodotta dalle unità di produzione detenute da tale comunità;
- accedere a tutti i mercati dell'energia elettrica appropriati, direttamente o mediante aggregazione, in modo non discriminatorio
- scegliere le soluzioni tecnologiche migliori per la generazione distribuita di energia e la gestione intelligente dei flussi energetici

La direttiva prevede che gli stati membri operino per rimuovere gli ostacoli alla creazione e diffusione di tali comunità, favorendone anzi la partecipazione a tutti i potenziali soggetti interessati, ivi comprese le famiglie a basso reddito; la comunità energetica quindi potrà rappresentare una delle possibili soluzioni messe in campo per combattere la “povertà energetica”, tema sempre più dibattuto e di purtroppo scottante attualità.

Ecco che quindi l’energia non è più solamente la bolletta che ci arriva a fine mese, non è più il condominio con 10 kW di fotovoltaico sul tetto per alimentare le luci delle scale o l’azienda che realizza impianti a biogas da 999 kW per immettere in rete tutta la produzione ed acquistare contestualmente l’energia per il proprio fabbisogno (senza contare la dissipazione in atmosfera di tutta l’energia termica di risulta).
Ora si può guardare oltre il confine della nostra casa o azienda, si possono sommare le esigenze di molti per trovare una soluzione della quale tutti ne beneficino e alla quale da soli non avremmo potuto accedere.
Di fatto non è altro che la normale evoluzione della generazione distribuita, ora ulteriormente sviluppata ed amplificata affiancando al concetto di generazione il concetto di “consumo distribuito” o meglio “localizzato”. Viene quindi superato il Sistema Efficiente d’Utenza, vincolato al rapporto 1 produttore/1 consumatore, con la formalizzazione di un sistema composto da n-produttori/n-consumatori, con al centro l’utente qualunque esso sia (produttore e/o consumatore).

È evidente che tale possibilità può aprire scenari particolarmente interessanti ed efficienti: distretti industriali, centri commerciali, ospedali, quartieri o condomini energeticamente connessi, dove il driver non è più solo il beneficio della singola entità, ma della collettività (vedremo dopo infatti che i vantaggi saranno sia per chi partecipa alle comunità energetiche, sia per chi ne sta fuori). Oltre a comunità omogenee, ossia della stessa categoria, potranno poi nascere comunità miste, composte per esempio da un ospedale ed i condomini vicini.
Far parte di una comunità energetica potrà garantire la qualità e la disponibilità dell’energia elettrica, tutelerà gli utenti dalle oscillazioni del mercato e permetterà l’ottimizzazione del costo di approvvigionamento dei vettori energetici (abbiamo finora parlato solo di energia elettrica ma il ragionamento si può estendere a tutti gli altri vettori energetici) rispetto all’acquisto all’esterno, senza contare i benefici per la rete di distribuzione elettrica.
Accanto a questo potranno e dovranno svilupparsi una serie di tecnologie hardware e software in grado di sostenere questo cambio di direzione da consumer a prosumer (storage, smart metering, ecc.) ampliando l’indotto.

Si noti inoltre che la creazione di comunità energetiche non è solo la formalizzazione della possibilità di scambiare energia tra soggetti privati fuori dalle reti pubbliche; regolamentare la costituzione di queste nuove entità significa anche accogliere una nuova forma di utente nel sistema elettrico, riconoscendo i vantaggi che porta al sistema nel suo insieme, prima ancora che ai soggetti che ne fanno parte. La partita sul fronte economico si gioca infatti sulla possibilità di definire un prezzo dell’energia prodotta e consumata all’interno delle comunità che non sia gravato (o sia gravato in minima parte) dalle componenti di prezzo da imputarsi all’uso del sistema elettrico. Fino a qualche anno fa questa possibilità sembrava pericolosa per la stabilità economica del sistema elettrico. La domanda che emergeva da un documento per la consultazione del 2013 dell’Autorità (183/2013/R/EEL) era, nel momento in cui fosse più vantaggioso scambiarsi energia fuori dal sistema, chi avrebbe pagato per il mantenimento del sistema stesso, posto che la sua esistenza è imprescindibile per le numerose funzioni che svolge?

Oggi, grazie al progressivo completamento della liberalizzazione da un lato ed alla disponibilità di nuove tecnologie dall’altro, l’interpretazione di questo fenomeno sta cambiando: le comunità energetiche sono (o meglio saranno) elementi costitutivi del sistema elettrico, svolgendo alcune delle funzioni oggi ad appannaggio esclusivo del sistema stesso, concorrendo a renderlo più efficiente nel suo insieme e più resiliente contro guasti ed eventi anomali. Il riconoscimento di questo ruolo fondamentale deve quindi trovare un riscontro anche sul piano degli oneri tariffari.

La costituzione delle comunità energetiche, se opportunamente guidata e regolata, porterà quindi vantaggi sia a chi potrà farne parte, sia agli utenti che ne rimarranno fuori, che godranno comunque degli effetti di un sistema elettrico maggiormente dinamico e sicuro.

Ma a che punto siamo in Italia? La direttiva dovrà essere recepita entro il 30 giugno 2021, ma alcune regioni si sono già fatte avanti emanando leggi regionali e regolamenti sul tema.
Il Piemonte ha pubblicato la legge regionale 12/2018 alla quale è seguito il DGR 8 marzo 2019 che ne riporta le disposizioni attuative, definendo un quadro di promozione e sostegno delle comunità energetiche.
In Lombardia invece il comune di Tirano si è recentemente candidato ad essere la prima comunità energetica della regione alpina.
Nel 2018 è stata inoltre avviata da Terna la sperimentazione della partecipazione al mercato dei servizi di dispacciamento delle Unità Virtuali Abilitate, primo “abbozzo” di comunità energetiche attive nel mercato della vendita di energia in qualità di unità non rilevanti.
A marzo 2019 inoltre, la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato ha presentato uno schema di risoluzione (approvato pochi giorni fa) sul "sostegno alle attività produttive attraverso l’utilizzo di sistemi di generazione, accumulo e autoconsumo di energia elettrica” nel quale si pone l’attenzione sulla necessità di rendere l’autoproduzione sempre meno “singola” e più collettiva.
I punti toccati dal documento sono in particolare:
• dare attuazione alla Direttiva (UE) 2018/2001 con disposizioni immediatamente operative in ordine all’applicazione delle parti relative all’autoconsumo e alle CER;
• istituire un quadro favorevole alla promozione e all’agevolazione dello sviluppo dell’autoconsumo di energia rinnovabile
• assicurare che i clienti finali, in particolare i clienti domestici, abbiano il diritto di partecipare a comunità di energia rinnovabile
• assicurare che alle comunità di energia rinnovabile sia riconosciuto il diritto di produrre, consumare, immagazzinare e vendere l’energia rinnovabile
• adottare gli atti necessari a garantire una graduale transizione a un sistema non centralizzato
• prevedere un meccanismo premiante sull’autoconsumo, anche in alternativa allo “scambio sul posto”.

Se da un lato i possibili vantaggi sono evidenti, lo sviluppo di una rete di comunità energetiche implica anche notevoli sfide di carattere regolatorio e gestionale, nonché la creazione di nuovi modelli di responsabilità sociale. Se gli impianti di produzione di energia sono della comunità, la comunità avrà il compito di gestirli nel migliore dei modi, pena una perdita diretta economica e non solo. Ma chi avrà il “coraggio” o semplicemente la voglia di prender parte a questa nuova avventura? Chi vorrà fare da capofila ad una comunità energetica magari composta da orde di condomini inferociti? Che finanzierà gli interventi?
Una soluzione è che un soggetto “terzo” costituisca e gestisca la comunità energetica, ma a quale prezzo e con quali garanzie?
Ultima ma non ultima criticità è la necessità di un quadro normativo, regolatorio ed eventualmente incentivante chiaro ma soprattutto stabile e con un orizzonte temporale adeguato, come peraltro già rilevato anche dall’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano all’interno del “Electricity Market Report” del 2018. Probabilmente questo è il primo punto della lista, perché senza un contesto chiaro all’interno del quale muoversi vince l’immobilità e ne è una prova lo stato degli investimenti in rinnovabili in Italia al momento o la ormai cronica assenza di offerta di Certificati Bianchi.
ARERA, nell’ambito dell’audizione in Senato già in precedenza citata, ha espresso la sua posizione su alcuni punti chiave in ambito regolatorio, che saranno fondamentali per decretare o meno il successo di queste nuove entità, puntualizzando in particolare la necessità di definire l’applicabilità o meno degli oneri di sistema alle CE, o una riforma degli stessi per evitare effetti discriminatori.

La speranza è che questo mercato non diventi terreno di gioco dei soliti grandi gruppi (utilities e venditori vari di energia in varie forme), ma che sia da spunto anche per un’innovazione sociale che promuova nuovi attori nel mondo dell’energia.
Guardando ancora oltre, l’aspetto energetico dovrà essere preso in considerazione a livello di pianificazione territoriale, integrando esigenze e competenze di carattere programmatico, tecnico e legislativo. In tal senso la pubblica amministrazione potrebbe farsi promotrice della creazione di tali comunità, ed in effetti qualche caso è già stato citato in precedenza.

Le iniziative cosiddette “dal basso” stanno peraltro prendendo sempre più piede, basti pensare alla recente nascita di diverse iniziative di crowdfunding finalizzate alla partecipazione della comunità a progetti di carattere energetico. Questo potrebbe essere un buon veicolo per la nascita di comunità energetiche, dove chiaramente l’aggregatore dovrà avere la forza necessaria per veicolare il messaggio innovativo.

(8 luglio 2019)

Bibliografia:
- ARERA. Memoria 12 marzo 2019 94/2019/I/com. “Memoria dell’autorità di regolazione per energia reti e ambiente in merito all’affare sul sostegno alle attività produttive mediante l'impiego di sistemi di generazione, accumulo e autoconsumo di energia elettrica (atto n. 59)”.
- Direttiva Parlamento europeo e Consiglio UE 2018/2001/Ue. Direttiva sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (rifusione).
- L.R. Piemonte 3 agosto 2018, n. 12. “Promozione dell’istituzione delle comunità energetiche”.
- D.G.R. Piemonte 8 marzo 2019, n. 18-8520. “Disposizioni per l'attuazione della Lr 12/2018 sulle comunità energetiche e approvazione dei criteri per il sostegno finanziario per il 2019”.
- GSE. “Overview of Italian RES market”. Presentazione nell’ambito del Danish-Italian business forum, 2018.
- GSE. “Rapporto delle attività 2018”. 2019.
- GSE. “Overview of the Italian renewable energy market”. Roma, 8 novembre 2018.
- 10a commissione Industria, commercio, turismo. “Green Energy. Il sostegno alle attività produttive mediante generazione, accumulo e autoconsumo di energia elettrica”. Marzo 2019

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Elementi di extraterritorialità nella disciplina REMIT: dal principio di territorialità alla dottrina degli effetti (di Chiara Petruzzo)

1. Introduzione.

Non vi è consenso unanime in dottrina sulla definizione del perimetro di intervento di uno Stato rispetto a fattispecie che presentano elementi di connessione con altri ordinamenti. Orientamenti diversi si contrappongono sul punto.Si conoscono tuttavia diversi criteri di collegamento generalmente riconosciuti e applicati dagli Stati rivolti ad individuare le circostanze in presenza delle quali l’esercizio della giurisdizione è ammesso oltre i confini territoriali. Il primo e più antico criterio di collegamento è il cd. principio di nazionalità, secondo cui lo Stato ha la potestà di adottare regole nei confronti dei propri cittadiniUn altro criterio, quellodella “territorialità”, implica che uno Stato possa regolare le fattispecie che si svolgono sul proprio territorio mentre secondo il principio di protezione, gli Stati possono esercitare la propria giurisdizione al di fuori dei propri confini territorialiper tutelare gli interessi vitali dello Stato, quali la sicurezza, l’ordine pubblico o l’indipendenza politica. Nel settore penale e rispetto a fattispecie di reato particolarmente gravi, vigeil cd. principio di universalità.

Al di là dei criteri di collegamento sopra menzionati e convenzionalmente accettati, quando si passa all’applicazione in concreto, oltre i confini territoriali, di certe normative specifiche, si rileva che ciascuno Stato opera una precisa scelta di opportunità in funzione dei propri interessia prescindere dalla sussistenza di una vera e propria legittimazione ad applicare con efficacia extraterritoriale le norme del foro

2. Applicazione extraterritoriale del diritto della concorrenza e dei mercati finanziari. 

Ai sensi dell’articolo 47 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), l’Unione Europea ha personalità giuridica ed è soggetto giuridico autonomo di diritto internazionale pubblico. In relazione alla giurisdizione, quindi, l’Unione Europea è soggetta alle medesime regole che si applicano agli Stati. 

Al pari degli altri “Stati”, anche in ambito europeo, ed in materia antitrust in particolare,l’applicazione extraterritoriale del diritto europeo è stata informata dal perseguimento di un interesse specifico della Comunità – e oggi dell’UnioneLa giurisprudenza ha giustificato l’applicazione extraterritoriale delle norme di concorrenza attraverso il progressivo superamento del principio di territorialità fino all’applicazionedella dottrina degli effetti, di matrice statunitense. Lagiurisprudenza europea su questo aspetto si è sviluppata in tre fasi: 1) la prima fase è stata caratterizzata dal tentativo di conciliare l’estensione extraterritoriale delle regole di concorrenza con il principio di territorialità, applicando la teoria della “singola entità economica” ai gruppi di imprese; 2) in una seconda fase, la Corte di giustizia ha sviluppato, per la stessa ragione, una distinzione tra la “conclusione” di un’intesa restrittiva e la sua “attuazione”; 3) infine, nella terza fase, la Corte ha accolto e avallatola dottrina degli effetti.

A sostegno della legittimità dell’applicazione extraterritoriale del diritto europeo della concorrenza,la Corte di Giustizia ha inizialmente elaborato la teoria dell’unità del gruppo di imprese (o della singola entità economica)secondo cui sono assoggettate alla disciplina europea antitrust anche le imprese aventi sede al di fuoridell’Unione ma che annoverano fra le loro controllate società stabilite in uno Stato membro. In questo caso, l’applicazione extraterritoriale delle regole di concorrenza si basa sul presupposto applicativo della nazionalità.La Corte ha successivamente elaborato la cd. teoria dell’attuazione (implementation theory)stabilendo che l’accertamento di una violazione dell’art. 101 TFUE richiede la verifica di almeno due elementi: da un lato, la conclusione di un accordo fra le imprese; dall’altro lato, l’attuazione di tale accordo.In particolare, la competenza della Commissione a conoscere di un determinato illecito è determinata proprio con riferimento all’attuazione dell’accordo e può estendersioltre i confini dell’Unione al fine di garantire il pieno rispetto delle regole antitrust. Nella teoria dell’attuazione, il nesso con il principio di territorialità è ancora molto stretto.

Il primo caso in cui il Tribunale tenta di andare oltre il principio di territorialità e di prendere in considerazione la “dottrina degli effettiè il caso Gencor. Questo primoorientamento è poi definitivamente riconfermato con il caso Intel, in cui viene affrontata la questione della competenza della Commissione, ai sensi del diritto internazionale, a sanzionare il comportamento anticoncorrenziale di Intelnesuoi rapporti con altre imprese, anch’esse stabilite al di fuori del territorio dell’Unione. La sentenza conclude per l’operatività cumulativa e contemporanea tanto della teoria dell’attuazione quanto  della dottrina degli effetti (già ammesse nell’ordinamento dell’Unione)al fine di provare che la competenza della Commissione è giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico”Pertanto, “qualora la competenza della Commissione possa essere accertata sulla base della realizzazione del comportamento di cui trattasi nell’Unione, non è necessario esaminare l’esistenza degli effetti per stabilire tale competenza”; ovvero, “per giustificare la competenza della Commissione secondo le norme del diritto internazionale pubblico, è sufficiente che i criteri dell’effetto immediato, sostanziale e prevedibile nell’Unione siano soddisfattiindipendentemente dal luogo di realizzazione della condotta.

La “dottrina degli effetti” ha trovato spazio anche in altri ambiti del diritto europeo, in particolare nella disciplina relativa ai mercati finanziari. In questo settore, il ricorso a norme con carattere ed efficacia extraterritoriale ha trovato la sua ragion d’essere nella necessità di rinforzare la stabilità finanziaria e garantire maggiore protezione agli investitori e ai consumatori. Per fornire qualche esempio, basti citare, con riguardo ai c.d. obblighi di compensazione, l’art. 4, par. 1 del regolamento EMIR secondo cui: “[l]e controparti compensano tutti i contratti derivati OTC appartenenti ad una categoria di derivati OTC dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione in conformità all’art. 5, par. 2, se tali contratti” tra l’altro, sono stati conclusi “tra due soggetti stabiliti in uno o più paesi terzi che sarebbero sottoposti all’obbligo di compensazione se fossero stabiliti nell’Unione, purché il contratto abbia un effetto diretto, rilevante e prevedibile nell’Unione o laddove tale obbligo sia necessario od opportuno per evitare l’elusione delle disposizioni del presente regolamento.

Il cd. regolamento MIFIR, all’ art. 28, par. 3, estende l’obbligo di negoziare esclusivamente in mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione ovvero sistemi organizzati di negoziazione, normalmente imposto a determinati soggetti stabiliti, anche “alle entità di paesi terzi che sarebbero soggette all’obbligo di compensazione se avessero sede nell’Unione quando effettuano operazioni in una classe di derivati dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione, a condizione che il contratto abbia un effetto diretto, sostanziale e prevedibile in seno all’Unione o qualora tale obbligo sia necessario o appropriato per evitare il mancato rispetto di qualsiasi disposizione del presente regolamento”. 

Infine, anche il cd. regolamento MARestende il proprio ambito di applicazione a paesi terzi, sulla base della teoria degli effetti. Le disposizioni relative alla manipolazione del mercato e al loro divieto (articoli 12 e 15) si applicano, infatti, anche “ai contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all’ingrosso, se un’operazione, ordine di compravendita o condotta ha o è probabile che abbia o è finalizzato ad avere, un effetto sul prezzo o sul valore di uno strumento finanziario” che è scambiato in un mercato europeo (art. 2, lett. a)). Inoltre, è stabilito che i requisiti e divieti contenuti nel regolamento “si applicano alle attività e alle omissioni nell’Unione e in un paese terzo” in relazione a determinati strumenti finanziari (art. 2, par. 4). 

3. Il regolamento REMIT.

La tendenza all’estensione extraterritoriale della portata precettiva di alcune disposizioni di diritto europeo si rinviene, parallelamente a quanto previsto nei mercati finanziari, anche nella disciplina relativa alla trasparenza e integrità dei mercati energetici all’ingrosso (REMIT). Non esistono, nel regolamento REMITriferimenti diretti alla “dottrina degli effetti” o norme ad hoc sulla rilevanza specifica di operazioni e/o omissioni attuate in paesi terzi. Tuttavia,partendo da un’attenta lettura di certe “definizioni” (articolo 2) contenute nel regolamento, è possibile individuare non pochi elementi di extraterritorialità. Ad esempio, il concetto di “prodotto energetico all’ingrosso” riguarda espressamente i contratti e derivati “indipendentemente dal luogo e dalla modalità di negoziazione”, qualora la consegna o la commercializzazione avvenga nell’Unione; lo stesso concetto di “operatore di mercato” fa riferimento a “una persona, inclusi i gestori dei sistemi di trasmissione, che esegue operazioni, compresa la trasmissione di ordini di compravendita, in uno o più mercati energetici all’ingrosso, senza quindi nessun collegamento ad un qualsiasi requisito di cittadinanza o stabilimento. La norma sulla registrazione degli operatori di mercato stabilisce che (articolo 9) la registrazione deve essere fatta presso l’autorità di regolamentazione dello Stato membro in cui l’operatore è stabilito o residente, o se non è stabilito o residente nell’Unione, in uno Stato membro in cui svolge attività. 

La presenza di questi elementi è manifestazione dell’ampia portata materiale di queste disposizioni, suscettibili di avere un impatto anche fuori dei confini dell’Unione. Non è possibile tuttavia concludere per una vera e propria portata extraterritoriale del regolamento REMIT o di alcune sue disposizioni, in considerazione del fatto che ciò che rileva ai fini della sua applicazione è comunque riconducibileal criterio classico che definisce il perimetro dell’attività giurisdizionale di ogni Stato e cioè il principio di territorialità. Anche in presenza di elementi di extraterritorialità, i requisiti e i divieti del REMIT si applicano solo se la condotta è attuata nel territorio dell’Unione.

In una prospettiva di revisione della vigente regolamentazione sull’integrità e trasparenza dei mercati dell’energia all’ingrosso, che scontano, al pari dei mercati finanziari, l’impatto di condotte e azioni che possono verificarsi in paesi terzi, è auspicabile che la cd. “dottrina degli effetti” sia, anche in questo settore, formalizzata in vere e proprie disposizioni normative.L’altra via è quella dell’interpretazione giurisprudenziale, sempre possibile e anzi, data la stretta connessione di certi illeciti REMIT con la disciplina antitrust, altamente probabile. 

In conclusione, se è vero l’assunto iniziale per cui gli Stati (rectius l’Unione Europea) tendono ad intervenire al di fuori dei propri confini, superando i limiti territoriali della giurisdizione e a prescindere dalla legittimazione di diritto internazionale pubblico, sulla base di una valutazione di convenienza/opportunità, allora le stesse considerazioni che hanno portato a certe prese di posizione normative o giurisprudenziali in materia antitrust e nel settore finanziario, dovrebberovaleremutatis mutandis per il settore energetico.  

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