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ISSN 2532-8913

Decreto “Spalma Incentivi” – La Corte Costituzionale fissa la data per l’udienza (di Richard Conrad Morabito)

Decreto “Spalma Incentivi” – La Corte Costituzionale fissa la data per l’udienza

(di Richard Conrad Morabito)

 

La Corte Costituzionale ha fissato per l’udienza del 16 dicembre 2016 la discussione dei possibili profili d’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del d.l. n. 91/2014 (decreto legge competitività, meglio conosciuto come “decreto spalma incentivi”) (il “Decreto”), così come convertito con legge n. 116/2014 e dei correlati provvedimenti attuativi pubblicati dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE).

Il comma 3 dell’art. 26 del Decreto prevede che la tariffa incentivante per l'energia prodotta dagli impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 kW debba essere rimodulata, a scelta dell’operatore sulla base di uno dei seguenti parametri:
estensione a 24 anni del periodo d’incentivazione, decorrente dall'entrata in esercizio degli impianti, con un conseguente ricalcolo secondo le percentuali di riduzione della tariffa indicata in una tabella allegata al Decreto;
mantenimento del periodo ventennale d’incentivazione, con una rimodulazione della tariffa che prevede un primo periodo in cui vi sarà una riduzione dell’incentivo rispetto ai valori attuali e una seconda fase di fruizione di un incremento accresciuto in egual misura, secondo percentuali stabilite da un decreto del Ministro dello sviluppo economico che comunque garantisca un risparmio di almeno 600 milioni di euro l’anno per il periodo 2015- 2019;
ferma restando la durata ventennale dell’incentivazione, la tariffa viene ridotta per il periodo residuo dell’incentivazione, di una quota pari a il
6% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 200Kw e fino a 500Kw;
7% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 500Kw e fino a 900Kw;
8% per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900Kw.
In caso di mancata effettuazione della scelta da parte dell’operatore economico, il GSE applica in automatico la decurtazione di cui alla precedente lettera c).

La questione di legittimità costituzionale del Decreto è stata rimessa dal TAR Lazio alla Corte Costituzionale con una sentenza dello scorso mese di giugno. In particolare il TAR ha riconosciuto che l’esigenza della tutela giurisdizionale “è qualificata dal fatto che la posizione dei ricorrenti viene incisa da una [..] legge-provvedimento” tale per cui “vengono create immediate restrizioni dei poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali dal momento stesso in cui la legge entra in vigore si trovano già pregiudicati da essa, senza bisogno dell’avverarsi di un fatto che trasformi l’ipotesi legislativa in un concreto comando”. Ai sensi del Decreto, infatti, la parte ricorrente subirebbe “una lesione immediata e diretta della propria situazione giuridica soggettiva, coincidente con il mancato mantenimento dell’incentivo riportato nella convenzione, laddove obbligata alla scelta di una delle tre opzioni previste” dal Decreto. Tanto più che in caso di mancata opzione alla parte si applica l’automatica rimodulazione dell’incentivo sulla base della decurtazione prevista dalla lettera c) del terzo comma dell’art. 26 del Decreto medesimo.

Sulla base di quanto sopra, il TAR ha ritenuto che le leggi provvedimento, “ancorché ammissibili, devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio”, tale per cui “gli obblighi lesivi […] sono direttamente riconducibili alla norma primaria […] immediatamente pregiudizievole per il destinatario”.

Sebbene gli operatori di settore abbiano salutato con favore il rinvio del Decreto alla Corte Costituzionale, tuttavia permane la prudenza circa la previsione di quelli che potranno essere gli effetti all’esito dell’auspicata sentenza declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’art. 26 del Decreto.
Se infatti fino a poco tempo fa, la giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale era pacifica nel ritenere che l’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento, trovasse il solo limite nei cosiddetti «rapporti esauriti», vale a dire in quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte Costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù del passaggio in giudicato di decisioni giudiziali, della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili, del completo esaurimento degli effetti di atti negoziali, oggi la questione potrebbe apparire più complessa.

Ricordiamo infatti che con la sentenza n. 10 del 2015 (i.e. sulla c.d. Robin Tax) la Corte Costituzionale nello stabilire l’incostituzionalità dell’art. 81 co. 16, 17 e 18 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) ha ritenuto di dover modulare la propria decisione non solo rispetto ai diritti esauriti ma anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che l’affermazione di un principio costituzionale potesse determinare il sacrificio di altri principi di pari grado.

Al fine di motivare la deroga alla naturale retroattività delle pronunce di accoglimento, infatti, i giudici costituzionali hanno affermato che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della c.d. Robin Tax “determinerebbe uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva” tale da genere una grave violazione dell’equilibro di bilancio di cui all’art. 81 Cost. In funzione di ciò, la Consulta ha dunque ritenuto opportuno dichiarare la cessazione degli effetti delle norme illegittime dal solo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza, in modo da impedire “alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri […] garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali”.

Tra i commentatori della sentenza è stato correttamente notato che la Corte, non avendo stabilito alcun parametro di natura oggettiva ai sensi del quale stabilire la sussistenza delle paventate gravi conseguenze finanziarie, impedisce di fatto agli interpreti di individuare la “soglia invalicabile” oltre cui tali conseguenze finanziarie diventano tali da giustificare una così ampia compressione dei diritti del singolo.

Al contempo detta indeterminatezza apre la strada ad una possibile riproposizione della limitazione dell’efficacia ex tunc della sentenza anche per quel che attiene il caso del Decreto in oggetto.

Del resto la restituzione agli operatori degli incentivi trattenuti ai sensi del Decreto potrebbe avere importanti ricadute macroeconomiche in grado di alterare gli equilibri di bilancio, tale per cui potrebbe essere nuovamente invocata la mitigazione degli effetti retroattivi della sentenza, per la quale nessuna restituzione agli operatori di settore di quanto illegittimamente trattenuto dal GSE sarebbe dovuta, in funzione del fatto che la sentenza disporrebbe solo per il futuro (i.e dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in gazzetta ufficiale).

Anche sotto questo profilo la sentenza della Corte Costituzionale si appalesa come particolarmente attesa.

  (31 marzo 2016)

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Canone RAI in bolletta: diminuisce la capacitazione del cliente finale e si aggrava il rischio credito per i venditori (di Francesco Piron)

Canone RAI in bolletta: diminuisce la capacitazione del cliente finale e si aggrava il rischio credito per i venditori.

(di Francesco Piron)

Morosità nel mercato retail dell’energia elettrica e Bolletta 2.0.: un lungo percorso regolamentare a favore dei clienti finali e degli esercenti la vendita che rischia una battuta d’arresto con la recente approvazione della legge di Stabilità. Tutti gli effetti perversi del canone RAI in bolletta.

Il tema della morosità nel mercato retail dell’energia elettrica (ma lo stesso si potrebbe dire per i mercati del gas naturale, dei servizi idrici integrati, della telefonia ecc.) e la conseguente esigenza di tutela del credito sono sempre più all’attenzione degli esercenti la vendita di energia elettrica per i significativi effetti sulla loro gestione finanziaria e sui processi gestionali.

Sino a qualche anno fa la regolazione in materia era quasi esclusivamente volta alla tutela del consumatore ed alla promozione della concorrenza; non erano contemplati, di converso, a favore degli esercenti la vendita adeguati strumenti per contrastare i casi divenuti sempre più frequenti di morosità (complice anche la congiuntura economica), aggravati dal fenomeno, del pari in forte crescita, del c.d. “turismo energetico”. Ossia il comportamento di alcuni clienti finali che non pagando le ultime bollette, in vista del contestuale passaggio ad altro fornitore (switching), costringono il vecchio fornitore di energia a non disporre più di strumenti efficaci (ad es. la sospensione della fornitura) per tutelare il proprio credito, tenuto anche conto della circostanza che, nella maggior parte dei casi, gli importi insoluti sono tali da non giustificare il ricorso alla tutela giudiziaria.

Più di recente invero si è preso coscienza che prevenire il rischio di morosità ha lo scopo fondamentale di rendere più efficiente il mercato riducendo gli oneri di gestione del credito, apportando un beneficio a tutti gli operatori e, in particolare, ai clienti finali del servizio stesso, anche per l’incidenza che il rischio morosità ha nella determinazione del prezzo di mercato della fornitura di quel determinato servizio. Già nella consultazione avviata l’anno scorso con il DCO 477/2014/R/COM l’Autorità per l’energia elettrica, e il gas ed il sistema idrico rileva che il fenomeno della morosità ha “un impatto potenzialmente rilevante sui prezzi pagati dai clienti finali per le forniture di energia elettrica e di gas naturale”. In particolare la morosità nei mercati retail dell’energia determina sia un aumento indiretto di componenti presenti in bolletta previste per socializzare il credito di fornitori istituzionali sia un incremento sempre maggiore degli oneri finanziari e di gestione a carico delle società di vendita con conseguente ricadute sulla determinazione del prezzo offerto.

Più di recente, l’aggravarsi del fenomeno della morosità nel mercato elettrico - complice la congiuntura economica - hanno portato il regolatore di settore (l’Autorità per l’energia, appunto) ad introdurre, altresì, una specifica normativa confluita in un apposito testo integrato: Testo Integrato Morosità Elettrica – TIMOE, Allegato A alla deliberazione 258/2015/R/com (come del resto era già avvenuto a cominciare dal 2011 per il gas naturale con il Testo Integrato Morosità Gas – TIMG, Allegato A alladeliberazione ARG/gas 99/11).

Dopo un percorso iniziato già da diversi anni, la regolazione, ad oggi, sembra pertanto perseguire concretamente degli obiettivi importanti: tutelare i clienti in effettivo stato di difficoltà economica, evitando la sospensione della fornitura, ma allo stesso tempo, limitando i comportamenti opportunistici di alcuni di essi. Inoltre, i provvedimenti regolatori in materia stabiliscono sia misure a favore degli esercenti la vendita nel caso di morosità reiterata, sia una revisione della procedura di switching nel settore del gas naturale, al fine di ridurne le tempistiche e di responsabilizzare i distributori.

Più in generale si può affermare quindi che la riforma regolatoria in atto sul tema morosità (seppure non ancora del tutto completata) rappresenti, complessivamente, il frutto di un equo bilanciamento tra le varie istanze ma che soprattutto possa potenzialmente contenere il crescere del tasso della morosità.

In questo delicato scenario, ecco che  il 22 dicembre scorso l’Assemblea del Senato ha approvato, con 162 voti favorevoli e 125 contrari, il disegno di legge di stabilità 2016, sul quale il Governo aveva posto la questione di fiducia, e che contiene la contestatissima previsione  che introduce l’addebito del canone RAI nelle bollette per le forniture di energia elettrica (da pagarsi in dieci rate). In questo modo, gli esercenti la vendita assumono anche la veste di esattori per lo Stato e, peraltro, “gratis et amore Dei”. Con l’unica nota positiva che la  nuova previsione di legge ha quantomeno escluso alcuna forma di anticipazione a carico delle imprese elettriche. Ciò significa che, a differenza di quanto avviene con le componenti tariffarie (es. per il dispacciamento e trasporto dell’energia elettrica) che vengono anticipate dal venditore a prescindere dall’effettivo saldo da parte del cliente finale destinatario della fornitura di energia, l’esercente la vendita non è tenuto a versare all’erario il canone RAI non pagato da parte del consumatore.

Come assolutamente prevedibile, gli effetti di una simile previsione porteranno molteplici effetti negativi per gli esercenti la vendita di energia elettrica ma – il che è ancor più grave –  per gli stessi utenti finali (!).

Anzitutto, l’aumento esponenziale e patologico della morosità, come dimostrato da recenti esperienze in ambito europeo. L’idea del canone in bolletta è, infatti, già stato sperimentato da qualche tempo, ad esempio in Grecia, con un risultato catastrofico. Circa due milioni di clienti sono attualmente morosi e rischiano di vedersi tagliata l'elettricità e il credito dell’azienda elettrica statale nei confronti delle famiglie greche è superiore ai 2 miliardi di euro (!). Nell’ingenua aspettativa, che sarebbe aumentata la compliance sul pagamento del canone televisivo, è accaduto invece che una fetta consistente della popolazione si è resa morosa non solo sul canone ma anche sui consumi di energia fatturati in bolletta.

A ciò si aggiunga, specie nella prospettiva degli esercenti la vendita, il sicuro profilarsi – senza adeguata “copertura” o riconoscimento economico da parte della regolazione – di nuovi e pesanti oneri a carico di tali società. Si pensi, a titolo esemplificativo e non esaustivo, all’inevitabile incremento  dell’attività di back office e di interfaccia con il cliente finale; all’esigenza di assumere nuove risorse dedicate alla gestione del credito; alle complicazioni gestionali legate alla gestione dei RID che dovrebbero essere programmati per importi diversi a seconda che la bolletta/fatturazione periodica comprenda o meno la rata del canone (con conseguente ovvio incremento delle revoche delle domiciliazioni, con  danni  conseguenti); all’incremento dell’attività di gestione delle rendicontazioni esterne relative ai canoni non pagati dai clienti finali.

Tutto ciò accade, oltretutto, in un delicata fase in cui, da un lato, si impongono nuovi ed onerosi adempimenti a carico degli esercenti la vendita per rendere la bolletta più chiara e comprensibile  agli utenti finali (il riferimento è alla recente riforma regolatoria nota come “Bolletta 2.0.”) mentre, dall’altro, si delinea un percorso per il superamento della maggior tutela scommettendo su di un’effettiva competizione nei mercati retail tra operatori e su di una capacitazione del cliente finale.

Il regolatore conscio che oramai la previsione del disegno di legge “Stabilità” sull’inserimento del canone RAI in bolletta era cosa praticamente fatta, molto di recente è intervenuto con un’apposita delibera, la n. 610 del 2015. Tale provvedimento prevede che gli importi del canone RAI dovranno essere indicati in bolletta separatamente, nella voce “canone di abbonamento RAI”; che i clienti del servizio di fornitura di energia elettrica siano informati circa i mesi cui si riferiscono le rate addebitate e che, nella prima bolletta in cui verrà inserito il canone, sia contenuta una apposita comunicazione informativa.

Ora, seppure è apprezzabile il tentativo del regolatore di minimizzare al massimo le nefaste conseguenze dell’introduzione del canone in bolletta sui pilastri della riforma della bolletta, ossia la intellegibilità e la trasparenza della fattura energetica (entrambi quest’ultimi fondamentali per la tanto sbandierata esigenza di capacitazione del consumatore), è assolutamente ragionevole prevedere che il sovraccarico in bolletta di informazioni che nulla hanno a che spartire con il consumo di energia elettrica aumenterà significativamente la difficoltà di comprensione della bolletta per l’utente finale. A ciò si aggiunga che l’alternanza di bollette, alcune che includono il canone e altre no, aumenteranno esponenzialmente le difficoltà per il consumatore finale nel calcolare la relazione consumi/importi fatturati.

Ma ancor peggio, è più che probabile che l’anticipazione periodica delle spese per il canone RAI possa influenzare negativamente la disponibilità marginale a pagare, da parte degli utenti finali, alcuni servizi aggiuntivi offerti dagli esercenti la vendita. E’ possibile ad esempio che un utente finale, a fronte del maggiore esborso periodico per il canone RAI, possa decidere di rinunciare a servizi ulteriori assolutamente innovativi e utili come il monitoraggio dei propri consumi e altri connessi a interventi di efficienza energetica.

Ecco,  alla luce di un tale scenario  ci si chiede se il nostro legislatore  abbia svolto la dovuta analisi costi-benefici, necessaria per un intervenire in un ambito così delicato e già regolamentato (senza poche difficoltà) dall’Autorità di settore.  La risposta a tale retorico interrogativo sta in quanto fin qui detto. 

  (27 gennaio 2016)

 

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Un augurio energetico (di Andrea Rosazza)

Un augurio energetico

(di Andrea Rosazza)

Una volta non era così. Ormai invece non passa un giorno senza che  i mezzi di informazione  riportino qualche notizia  direttamente o indirettamente  legata al tema dell’energia. Nonostante l’abbondanza di informazioni, cerco qualcosa nei media che ancora non riesco a trovare.

Le notizie si susseguono senza discrimine: viene identificato un grande problema, di portata mondiale, come quello dell’energia nucleare o dell'estrazione dei combustibili fossili. L’uomo comune ascolta, ma intuisce di non poter intervenire, perché ciò compete alla politica, alle nazioni e a chi dispone di grande potenza economica.

Accanto a questa realtà, i media rappresentano spesso  una soluzione di carattere più domestico, dando  l’impressione, all’uomo comune, di avere la situazione tutto sommato sotto controllo, di poter essere parte attiva nella soluzione del problema: è la “casa energeticamente autonoma a pannelli solari”. Sembra che realizzarla sia così facile e a portata di mano che sorge spontaneo domandarsi come mai esista il problema dell’energia se gli “edifici energeticamente intelligenti” sono già possibili oggi e sono costruibili facilmente, con un po’ di buona volontà.

L’effetto dell’appiattimento della notizia è  di indurre l’ascoltatore o il lettore a contrapporre  scenari paradisiaci di “eco-mondi” possibili, a realtà infernali e purtroppo già reali (si pensi alle sciagure di Fukushima o alla marea nera nel Golfo del Messico). L’ascoltatore è quindi portato a ritenersi almeno un pò  responsabile e complice di simili disastri, quantomeno per la piccola frazione che gli compete, in mancanza di scelte ecologiche individuali.

Di fronte a tale distorsione dell’informazione è naturale che l’uomo comune  coltivi una lunga lista di Frequently Asked Questions rispetto alle quali diffida dalla possibilità di avere risposte certe. Invece le risposte a molte domande ci sono, eccome. Alcune maggiormente condivise e acquisite all’interno della comunità tecnica e scientifica;  altre  ancora aperte.

Bisogna faticare un pò e avere  pazienza perché le risposte esigono dimestichezza con qualche nozione tecnica e con qualche numero: però, non quelli strumentalmente snocciolati nella velocità delle notizie che giornali e trasmissioni televisive ci propongono, ma quelli più sapientemente e pazientemente meditati e interpretati.

Vale la pena studiare l’energia:  un prodotto della modernità in cui  l’uomo esprime al massimo la propria intelligenza, sia teorico-speculativa che tecnico-pratica, con riflessi in termini di  crescita e  benessere. Però avvertiamo che “qualcosa è cambiato” e la prospettiva di studio è, necessariamente, diversa rispetto a quella che dominava anche solo pochi anni fa.

Allora infatti si temeva la scarsità delle fonti e il frazionamento dell’uso dell'energia. Si temevano grandi tensioni nel mondo per effetto della volontà di conservare i pochi combustibili residui. Ma, allo stesso tempo, alcuni pensavano che non tutti i mali sarebbero venuti per nuocere e che il mondo si sarebbe forzatamente adattato ad uno stile di vita meno dispendioso di risorse e con ritmi maggiormente governati dai cicli naturali.

Oggi vi è invece una chiara percezione che il tempo della scarsità delle grandi fonti di energia sia posticipato ben oltre le aspettative di vita delle attuali generazioni. Ma lo scenario, paradossalmente, è  più spaventoso del passato: l'energia utilizzata potrebbe infatti distruggere la terra, per effetto delle scorie che produce, e prima ancora di esaurirsi.

In ciò si intravede  l’embrione di una presa di coscienza collettiva del fatto che l'uso dell'energia deve trovare un equilibrio non solo tra nazione e nazione, ma anche tra l’insieme delle nazioni e l’unico ambiente in cui viviamo.

L’energia è una conquista e la sua fruizione, equilibrata e sostenibile, deve diventare, come tutte le conquiste, un fatto culturale. È necessario quindi uno sforzo di coscienza civile, che porti la politica a fare le giuste scelte e i popoli ad approvarle: non per privarsi dell’energia, ma al contrario per renderne la fruizione più duratura e più estesa a quei popoli che negli ultimi anni, molto più massicciamente di prima, si affacciano sul tavolo della domanda. Per questo salto di qualità è necessario rompere l’automatismo acquisito di un gesto semplice come accendere una lampadina, gesto dietro il quale non vi è nulla di scontato. Vi è al contrario un complesso intreccio di problematiche che coinvolgono le scienza, la tecnica, l’economia e la politica.

Non si vuole certo togliere qui ai giornalisti alcunchè. Ma giornali e trasmissioni televisive, anziché far emergere i  multiformi problemi che il mondo dell’energia  pone, perseguono la tesi del colossale “inganno” di pochi, società istituzioni e scienziati, ai danni dei cittadini; o al, contrario, stigmatizzano i comportamenti degli individui come se tutta lì fosse la soluzione del problema. Questa visione non contribuisce alla nuova cultura dell’energia di cui avremmo bisogno. Si dovrebbero al contrario rendere disponibili a tutti maggiori strumenti cognitivi utili a non cadere nell’errore di dare per scontato il benessere acquisito o nell’errore opposto, di rinnegarlo in toto. L'idea dell'”impronta ecologica” verso cui l'Italia e gli italiani mostrano ancora scarsa sensibilità (ho sentito persone di altri paesi letteralmente ossessionati da questo concetto), fornisce un'idea molto suggestiva del problema ed è un ottimo punto di partenza. Riassumendo, si tratta dell' ”orma”, ossia l’area che ognuno di noi “calpesta” sul pianeta per effetto dell'energia che usa e dei rifiuti che produce. Se la somma delle orme - ed è proprio questo il nostro caso - supera lo spazio disponibile, significa che stiamo sovrautilizzando le nostre risorse.

Vorrei allora rivolgere un grande “augurio energetico” per il nuovo anno, quello di lasciare meno orme sulla nostra terra, facendo passi più lunghi. Il primo salto da fare è, come ripetuto, culturale:  affermare il primato della ”vera” politica, quella capace di entrare nel merito e nella tecnicità delle questioni e di orientare i comportamenti collettivi verso un obiettivo di lungo termine, di  salvaguardia dell'ambiente.

A “Il Merito” invece, l'augurio di dare il suo contributo a questa "grande intrapresa", in un settore così importante per la nostra economia, ma così pericoloso per il nostro ambiente.

  (27 gennaio 2016)

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