Intervista ad Alberto Biancardi (Presidente WAREG)
In un momento in cui, specie dopo Brexit, si parla tanto di Europa, evidenziando i limiti di una costruzione europea talora “calata dall’alto”, l’attenzione de “Il Merito. Pratica per lo sviluppo” è stata attratta da una esperienza (WAREG, European Water Regulators), maturata nel settore idrico, che sembra invece muovere “dal basso”, traendo spunto dal confronto e dalla selezione delle best practice maturate nei singoli Paesi (peraltro non soltanto appartenenti all’Unione europea), secondo un approccio empirico ed un metodo di lavoro gradualista.
“Il Merito. Pratica per lo sviluppo” ha quindi intervistato il primo Presidente di WAREG, un italiano, Alberto Biancardi, componente dell’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico e, da maggio 2015, Presidente appunto di WAREG.
Economista, Alberto Biancardi, ha operato soprattutto in ambito istituzionale presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico, l’Acquirente Unico, il Ministero dell’Industria e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In quest’ultimo ambito, è stato coordinatore del NARS (il nucleo di consulenza che opera presso il CIPE sui temi regolatori dei servizi infrastrutturali a rete).
Dott. Biancardi, come nasce WAREG e con quali finalità?
WAREG nasce da alcune riflessioni svolte all’interno dell’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico, nelle quali si è ripercorso il cammino che ha portato alla creazione di CEER, vent’anni fa o poco più, e, successivamente, di ACER, l’Agenzia europea dei regolatori dell’energia. Un cammino iniziato con un primo nucleo di coordinamento che comprendeva l’Autorità italiana, quella portoghese e spagnola. Parlando con il Presidente dell’Autorità portoghese Jaime Melo Baptista ci siamo detti: proviamo a rifare questo percorso anche per il settore idrico? Abbiamo cominciato a viaggiare per l’Europa, con riscontri positivi. Siamo stati a Budapest, Dublino, Edimburgo, Londra, abbiamo così cominciato a creare un network informale, poi, in un secondo momento, abbiamo iniziato a dargli una forma, una veste giuridica. Si tratta, comunque, ancor oggi di un network molto leggero, con uno Statuto, alcune regole di voto e alcuni working groups.
Come è organizzato il lavoro di WAREG?
Tendenzialmente, nel corso di ciascuna Assemblea Generale, che si tiene ogni tre mesi nella sede di uno dei regolatori coinvolti (di 25 paesi: 22 membri e 3 osservatori), studiamo un caso nazionale e discutiamo dei report che abbiamo preparato, quindi incontriamo gli stakeholders. Su questa base, decidiamo cosa approfondire nei successivi mesi. Per esempio, a marzo di quest’anno in occasione dell’Assemblea a Tirana abbiamo incontrato Eureau, l’associazione europea degli operatori dei servizi idrici, APE (Aqua Publica Europea, che riunisce gli operatori esclusivamente pubblici) e IWA (International Water Association); nell’ultima Assemblea abbiamo invece incontrato la società di consulenza Oxera, che ha svolto una relazione sul benchmarking. Le nostre decisioni vengono adottate sulla base della cosiddetta regola del consensus, cioè di una sorta di unanimità attutita o negoziata. Si è prescelto un simile metodo perché ad oggi la funzione principale svolta da WAREG è lo scambio di informazioni nonché la condivisione di principi di buona regolazione ed è importante che tutti si sentano parte di questo meccanismo. Si tenga presente che nel nostro network sono presenti regolatori che, sul modello anglosassone, sono altamente specializzati, indipendenti e con decine/centinaia di risorse, ma anche regolatori che sono composti solo da poche unità o che svolgono funzione tecnica consultiva in staff a organi governativi.
Quindi WAREG, in questa fase, sta soprattutto raccogliendo informazioni?
Il network nasce dall’idea che dal semplice accumulo di informazioni, dalla semplice comparazione, si può pervenire a risultati interessanti. Una stessa regola – se inserita in un contesto istituzionale diverso – può dar luogo a risultati differenti. Chi fa regolazione, solitamente un economista, un ingegnere o un giurista, non è uno scienziato chiuso in un laboratorio, non gli è consentito fare esperimenti. Oltretutto, il regolatore sa che un obiettivo comune (ad esempio, un servizio che funziona o investimenti infrastrutturali adeguati) può essere perseguito in modi differenti e che, anche quando i metodi sono del tutto simili, per il semplice fatto che i contesti in cui si calano le regole sono diversi, i risultati finali possono differire. Si potrebbe dire, in definitiva, che la possibilità di comparare esperienze diverse sopperisce alla mancanza di sperimentazione sociale.
Si può allora dire che la base del lavoro di WAREG sia, per lo più, empirica?
Sì. Abbiamo iniziato a diffondere questionari su due aspetti della regolazione, uno istituzionale e uno più propriamente tecnico. Nel questionario c.d. institutional abbiamo provato anzitutto a capire come è organizzato il servizio, chi sono gli organismi di regolazione del settore idrico nei vari Paesi, cosa significa indipendenza in ciascun contesto nazionale, come sono strutturati i rapporti con le autorità locali, nonché con l’esecutivo. Nell’altro questionario, technical, abbiamo invece cercato di capire come è strutturata la regolazione (quindi se si usano strumenti incentivanti, di benchmarking, come vengono determinate le tariffe, come sono articolate la fase di programmazione e quella, a valle, di regolazione puntuale). Man mano abbiamo quindi identificato delle keywords e abbiamo iniziato a lavorare su queste. Ad oggi stiamo lavorando su due parole chiave: affordability e key performance indicator/benchmarking.
Ci può chiarire cosa intendete voi regolatori per affordability?
Per quanto riguarda l’affordability, muovendo da un’esigenza comune (politici, consumatori e operatori dicono tutti che il prezzo deve essere sostenibile), ci siamo chiesti cosa significhi questo concetto. Il quadro è davvero vario. Per esempio, in Scozia la tariffa viene fatta pagare sulla base del valore dell’abitazione posseduta. Quindi, in qualche modo, il termine affordability si sovrappone a quello di regolazione. Nella maggior parte dei paesi, invece, la affordability si sostanzia in vincoli alla tariffa e/o ad aiuti che vengono resi disponibili per fare in modo che la parte più povera della popolazione abbia acqua a un prezzo contenuto. Un tipico vincolo è rappresentato dal fatto che la tariffa non possa eccedere una certa percentuale (fra il 2 e il 4 per cento, di norma) del reddito del decile più povero della popolazione. Altra differenza interessante riguarda chi decide le misure di sostegno. In Spagna (e finora anche in Italia, ma questa norma probabilmente verrà cambiata a breve) le decisioni vengono prese esclusivamente a livello locale, mentre in altri contesti è il centro del sistema che decide. In linea generale e come chiave interpretativa dei vari sistemi adottati, si può dire che le misure di affordability sono strettamente connesse alla cultura e alle tradizioni di ciascun paese. Non stupisce, ad esempio, che la Spagna sia il contesto in cui sia presente la maggiore autonomia.
Oltre agli stessi regolatori, chi altro potrà giovarsi dei vostri studi comparativi?
Il nostro fine – rispetto ad esempio all’affordability – è quello di fornire un menu al politico, descrivendogli il quadro, le specificità dei singoli contesti nazionali, senza stilare classifiche su chi sia, eventualmente, il più bravo. Stiamo, peraltro, cercando di fare la stessa cosa anche con riferimento al benchmarking. Anche qui si assiste ad una varietà di soluzioni; il classico sistema di KPI (key performance indicators) può essere identificato sulla base di approcci assai differenti fra loro: bottom-up, top-down o di tipo ingegneristico. Il nostro obiettivo è portare i risultati delle nostre analisi anche alla Commissione europea. Abbiamo già più volte incontrato loro rappresentanti, Commissario all’Ambiente Karmenu Vella incluso, e probabilmente durante la prossima General Assembly, che si terrà a Malta a settembre, vi sarà un ulteriore importante incontro.
Posto che i contesti possono essere molto diversi, ci sono però principi comuni?
L'approccio alla regolazione, ovviamente, è molto simile. In tutti i casi ci si dota di un modello o almeno di parametri quantitativi che vengono utilizzati per interagire con le imprese fornitrici del servizio, al fine di stabilire le tariffe e le altre regole. Così come essendo necessario, di fatto, stilare un contratto assai complesso e di durata decennale con l'operatore idrico, sono sempre presenti clausole di salvaguardia volte a riequilibrare i parametri in caso di eventi inattesi o comunque a resettare il sistema dopo un certo numero di anni. Tuttavia, superata questa prima soglia, i sistemi presentano molte sostanziali differenze. Ad esempio, i parametri a cui ho appena fatto cenno talvolta derivano da modelli econometrici, altre volte da studi ingegneristici, mentre, in altri casi, ancora fondamentale rimane la trattativa fra regolatore e regolato basata sui dati di costo storici. Lo stesso temine indipendenza assume connotati differenti da contesto a contesto. Tutti i regolatori hanno risposto al nostro questionario asserendo di essere indipendenti, ma, se esaminiamo i sistemi con maggior dettaglio, per indipendenza s’intende talvolta mera indipendenza di giudizio o poco più; e magari siamo di fronte ad un organismo in staff al ministero competente per materia. Una volta dissi, all’OCSE in una riunione del NER (network of economic regulators), “independence is like beauty”, cioè è molto soggettiva. Il concetto di indipendenza, in un contesto come il nostro o in quello anglosassone, significa avere un effettivo potere decisionale. In tal senso, i regolatori totalmente distaccati dal ministero (seppure con delle differenze) sono, oltre all’AEEGSI, l’autorità portoghese (l’unica prevista anche nella Costituzione) e quelle anglosassoni. Anche il regolatore ungherese ha una struttura abbastanza simile, ma non decide la tariffa, semplicemente la propone, anche se si tratta di una proposta “forte”.
Cosa riserverà il futuro a WAREG?
In Commissione si sta discutendo, ormai da tempo, di qualche norma comunitaria per il settore idrico. Le direttive attualmente vigenti riguardano per lo più la qualità del servizio o della risorsa idrica. Tuttavia, le istituzioni europee si stanno ponendo il problema se servano norme comuni, al fine di agevolare gli ingenti investimenti che pressoché ovunque dovranno essere realizzati nei prossimi anni, anche al fine di garantire una adeguata salvaguardia dell’ambiente. La consapevolezza che una regolazione stabile e trasparente sia una pre-condizione essenziale a questi fini è fortunatamente assai diffusa. A riguardo, ritengo che l’esperienza di WAREG potrebbe tornare utile almeno per colmare il gap informativo dei funzionari di Bruxelles che si dovessero trovare a scrivere la futura direttiva.
Più in generale posso dire che, in poco più di due anni, ormai si è creato un gruppo solido che consente un proficuo scambio di informazioni e l’individuazione delle best practice. Soprattutto per i paesi più deboli il network sta assumendo grande importanza; pensiamo un attimo a chi fa regolazione oggi in Grecia, o in paesi fuori dell’Unione (perché a WAREG non partecipano solo paesi membri dell’Unione; ci sono anche Albania e Georgia), ovvero a quei paesi che si sono appena avvicinati o che si stanno avvicinando all’Europa. Ebbene, la regolazione, in tutti questi casi, può servire a portare trasparenza nella creazione delle regole e a rafforzare le istituzioni in senso più generale. Peraltro, debbo dire che, almeno per la mia esperienza diretta, all’interno delle amministrazioni di questi paesi si scoprono anche delle eccellenze. E, in linea generale, il confronto con altri sistemi e regole aiuta ciascuno di noi ad essere più consapevole e ad affinare l'azione regolatoria.
(7 luglio 2016)