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ISSN 2532-8913

Natural Justice e giusto procedimento (di Giorgia Valenti)

Sommario: 1. Premessa: giusto processo e giusto procedimento – 2. Natural Justice come fondamento del principio del giusto processo – 3. Natural Justice e giusto procedimento – 4. Natural Justice: contenuto procedurale – 5. Natural Justice e giusto procedimento nell’ottica dell’ampiamento delle tutele procedurali e sostanziali

  1. Premessa: giusto processo e giusto procedimento

Il principio del "giusto procedimento", configurabile tra i principi generali dell’ordinamento[1], risulta essere pacificamente, ad oggi, un criterio irrinunciabile di democrazia in base al quale il procedimento amministrativo deve essere disciplinato in modo che le pubbliche amministrazioni debbano decidere sulle pretese dei cittadini soltanto dopo aver svolto gli opportuni accertamenti, aver consultato tutti gli organi pubblici in grado di fornire elementi utili al  fine della decisione e, soprattutto, aver messo i privati interessati in condizione di esporre le proprie ragioni: e questo sia per la tutela dei loro interessi che per collaborare nell’interesse pubblico, in un rapporto a doppio senso prezioso e fecondo.

Il procedimento amministrativo viene di conseguenza reputato “giusto” nella misura in cui consenta un contraddittorio tra i cittadini destinatari della attività amministrativa e la pubblica amministrazione procedente[2], analogamente al “giusto processo” la cui locuzione, da sempre presente nel lessico del giurista, è divenuta di attualità per la sua consacrazione sia in convenzioni internazionali[3], sia a livello domestico, per la novella all’art. 111 della Costituzione.[4]

È opportuno sottolineare, infatti, che in pochi rami del diritto la parte sostanziale e quella processuale appaiono così strettamente connesse come accade con riguardo al diritto amministrativo, essendo l'una sostrato e base perché l'altra venga correttamente ad esistenza (non vi può essere un giusto procedimento se esso non è presidiato da un altrettanto giusto processo; giacché il procedimento amministrativo inteso, secondo la notissima idea di Feliciano Benvenuti[5], come forma tipica di estrinsecazione della funzione amministrativa tocca, in modo immediato e profondo, le libertà dei cittadini, da un lato, e l’assetto dei poteri pubblici, dall’altro e pertanto necessita di strumenti congrui a garantire il diritto di difesa. Alla stessa stregua, il giusto processo non è, in realtà, una procedura finalizzata ad ottenere un risultato giusto, ma, al contrario, un risultato con i giusti mezzi[6] ): son due facce della stessa medaglia, che è l'atteggiarsi dell'Amministrazione nei confronti del cittadino, nell'intramontabile rapporto "autorità" - "libertà"[7].

La relazione tra le nozioni di "giusto procedimento" e "giusto processo" è interessata in modo marcato dal rapporto tra diritto costituzionale e diritto amministrativo: le Carte fondamentali e le convenzioni internazionali hanno imposto che debba esser messo in luce il peso che devono avere i diritti in esse contenuti nei confronti dell'Amministrazione.

È, quindi, necessario che sia assicurato l’effettivo rispetto dei diritti dei cittadini da parte del potere pubblico e che, qualora l’esercizio di questo determini (come ad esso connaturale) delle limitazioni alle posizioni giuridiche soggettive dei privati, questi limiti conoscano nel diritto positivo dei precisi “controlimiti”: il "giusto" procedimento amministrativo ed il "giusto" processo amministrativo sono, in questo senso, rivolti ad assicurare che essi non vengano superati .

È, quindi, confermato, anche, in materia di diritto amministrativo, tanto sostanziale quanto processuale, il fatto che il diritto stia alla base di ogni conflitto e di ogni sua soluzione pacifica: ciò rappresenta la c.d. funzione polemogena ed irenica del diritto stesso[8].

Premessa la asserita e necessaria continuità tra i contenuti del giusto procedimento e quelli del giusto processo può essere interessante osservare quali siano quelli propri di un paese dalla lunga tradizione giuridica in tema, quale è l’Inghilterra: la nozione di “giusto processo” è stata infatti elaborata nel corso e sulla spinta della storia e si presenta come frutto del “due process of law[9].

  1. Natural Justice come fondamento del principio del giusto processo

Per comprendere il signgificato dell’espressione giusto procedimento amministrativo con riguardo all’ordinamento inglese, risulta opportuno prender le mosse da “Lectures introductory to the study of the Law of the Constitution” di Albert Venn Dicey[10] (tradizionalmente ritenuto il più importante giurista inglese degli ultimi due secoli); in tale opera, egli  affermava che il droit administratif fosse sconosciuto al diritto inglese:  ai giudici e i giuristi inglesi, osservava, era addirittura estranea l'espressione  administrative law [11].

La posizione di Dicey, successivamente attenuata, rileva in quanto specchio fedele dell’impostazione dell’ordinamento inglese, dove la tradizione liberale era di ostacolo alla introduzione di un diritto specifico dell’azione amministrativa e tendeva ad equiparare i rapporti tra P.A. e privati a quelli tra privati.

In realtà, l'opera di Dicey ha gettato a lungo tempo ombre sul diritto amministrativo britannico a causa di un fraintendimento di fondo: per Dicey il diritto amministrativo era del tutto incompatibile col rule of law e con il common law perchè il suo administrative law era l'esatta traduzione del droit administratif francese e la sua denuncia, le sue critiche, erano a quest'ultimo indirizzate.

Egli considerava una virtù fondamentale del rule of law il fatto che tutte le questioni venissero portate innanzi alle corti ordinarie e che le medesime regole vigessero tanto per i soggetti privati quanto per i soggetti pubblici: quello che Dicey intendeva per “diritto amministrativo” era, quindi, uno speciale sistema di tribunali domestici per le questioni amministrative, come avveniva in Francia.

Una volta che questo punto viene correttamente compreso, si può affrontare il discorso del diritto amministrativo (ovviamente esistente) inglese, in quanto lo sviluppo successivo  del diritto amministrativo in Gran Bretagna si fonda sulla visione di Dicey come descritta precedentemente: l'esercizio della funzione di governo richiede evidentemente anche sotto il rule of law, la fissazione di limiti adeguati che, per altro, devono armonizzarsi con alcuni principi (in primis, per quanto riguarda l’ordinamento anglosassone, con quelli della giustizia naturale) in modo da realizzare la cd. “buona amministrazione”.

A fondamento del diritto inglese troviamo, sin dalle sue origini, la natural justice[12]: tale espressione designa due regole così necessarie per il retto esercizio del potere che, dall’ambito processuale, sono state estese a quello sostanziale : nemo judex in causa propria e audi alteram partem[13].

Per dare un idea della pervasività della regola in questione  nel diritto inglese basti osservare come sin dal Boswell's Case del 1606[14] si citi lo stralcio della Medea di Seneca sull'iniquità della decisione non preceduta dalla audizione dell'interessato (quimcumque aliquid statuerit parte inaudita altera, aequum licet statuerit, haud aequus fuit) o come anche nel 1723 nel caso R.v Cancellor of the University of Cambridge un giudice indichi come Dio stesso si sia ritenuto soggetto a tale regola: The laws of God and man both give the party an opportunity to make his defence, if he has any. I remember to have heard it observed by a very learned man upon such an occasion that even God himself did not pass sentence upon Adam before he was called upon to make his defence. Adam (says God) where art thou? Hast thou not eaten of the tree whereof I commanded thee that thou shouldst not eat? And the same question was put to Eve also[15].

Quanto detto serve per indicare quanto sia stata pervasiva e indefettibile la regola audi alteram partem nella coscienza giuridica britannica: dettaglio di non poco conto  se si considera che esso collima con l'odierno principio del contraddittorio, canonizzato oggi in Italia, per il processo, nel secondo comma dell’art. 111 Cost., ed elemento irrinunciabile anche ai fini della configurabilità di un procedimento amministrativo definibile “giusto”, sia nel caso lo si intenda genericamente come garanzia[16], sia che venga  inteso come mezzo privilegiato di ricerca della verità[17].

  1. Natural Justice e giusto procedimento

Il principio in questione infatti, a conclusione di una lunga vicenda giurisprudenziale inglese, ha oltrepassato i confini del processo ed è stato ritenuto fondamentale anche ai fini del procedimento amministrativo con un valore ancora più pregnante in quanto, secondo una concezione diffusa, essa oggi ingloba non solo il semplice right to a fair hearing ma il più incisivo duty to act fairly: si è passati quindi dal diritto (del privato) di essere ascoltato al riconosciuto dovere (dell'amministrazione) di agire con lealtà ed equità[18].

Il diritto al fair hearing affonda storicamente le sue radici proprio nella common law tuttavia prima che in Inghilterra ne venisse riconosciuta la necessaria applicazione alla generalità dei rapporti con le pubbliche amministrazioni la regola in questione risultava spendibile solo in quanto i poteri amministrativi potessero essere ritenuti  "giudiziali " o "quasi giudiziali".

I termini del problema sono già definiti nel 1863 in occasione del famoso caso Cooper v. The Board of Work for the Wandsworth District in cui il principio audi alteram partem ha trovato applicazione perchè, per usare le parole del Chief Justice Erle, many exercises of power which in common understanding would not be at all a more judicial proceeding than would be the act of the district board in ordering a house to be pulled down[19]: in quella occasione cioè si è riconosciuto che la natura "giudiziale" del potere esercitato imponesse la previa audizione del privato.

E, si noti, che il riconosciuto carattere giudiziale non deriva dalla posizione dell'autorità decidente, ma dalla natura del processo decisionale che comportava la sostanziale inflizione di una sanzione.

La questione se la natural justice potesse trovare applicazione solo in un processo o, al massimo, in un procedimento amministrativo a carattere giudiziale si ripropose nel 1915 in cui venne invece utilizzato un criterio diverso nel caso Arlidge.

In questo caso, la pretesa del ricorrente non venne accolta dalla Camera dei Lords [20], con la motivazione che nel caso di specie non si fosse alla presenza di un procedimento giudiziario, perché non si trattava di una Court of Law (al cospetto della quale doveva essere data a ciascuna delle parti la possibilità di presentare convenientemente il proprio caso) ma del Local Government Board (un organo amministrativo anche se fornito di un potere di riesame del provvedimento del borough council) che, in quanto tale, esercitava funzioni amministrative: la conseguenza fu dunque che il Board potesse servirsi (diversamente dal  giudice) delle risultanze istruttorie raccolte dal proprio staff.

I principi affermati nel caso Arlidge (ed il criterio che subordina l'applicazione della regola audi alteram partem alla qualificazione del procedimento come giudiziale o quasi giudiziale) non subiranno mutamenti per circa 50 anni fino al 1964 quando si avrà una nuova formulazione del problema nel caso Ridge v. Baldwin[21] in cui la Camera dei Lords modifica nettamente tale impianto: in esso infatti la mancata audizione dell'interessato viene ritenuta illegittima (in quanto illegittima violazione della natural justice) non perché il procedimento che ha condotto al licenziamento avesse carattere giudiziale o quasi giudiziale, ma poiché il principio audi alteram partem imponeva di essere osservato ogni qual volta una persona od un corpo di persone decida sulla condotta di un altro soggetto con la possibile conseguenza di comprometterne il nome o  la vita.

È questo, evidentemente, un importante momento di cesura e di evoluzione per la portata della regola audi alteram partem (la giurisprudenza successiva si è assestata infatti sui criteri enunciati nel caso Ridge), in quanto si riconosce che è la natura invasiva del provvedimento ad imporre la previa audizione dell'interessato e non la qualificazione del procedimento come giudiziale o quasi giudiziale: ai fini dell'applicazione della natural justice è irrilevante, dunque, il carattere giudiziale o quasi giudiziale della pronuncia, basta semplicemente che l'autorità disponga di un diritto del privato.

  1. Natural Justice: contenuto procedurale

Una prima regola procedurale è quella del preavviso, la cd prior notice, l'atto introduttivo del procedimento:  l'interessato deve di regola essere informato preventivamente dei fatti che costituiscono oggetto di un eventuale provvedimento lesivo che l'amministrazione intenda adottare nei suoi riguardi.

L'importanza di questo adempimento è dimostrata dal fatto che, in genere, una notice mancante o inadeguata invalida il procedimento: come ad ogni regola anche a questa sono state a introdotte alcune eccezioni[22] che non mancano comunque di suscitar critiche da parte della dottrina.

Ogni qual volta l'amministrazione abbia infatti eccepito che l'audizione dell'interessato non avrebbe mutato la decisione[23], ha trovato una netta resistenza della giurisprudenza: infatti, si osserva che si tratta di un argomento pericoloso, di natura ipotetica, che rischia di compromettere la garanzia del singolo, in quanto subordina l'applicazione alla dimostrazione a carico dell'interessato delle ragioni (di ordine sostanziale) che avrebbero in realtà condotto l'amministrazione ad assumere una decisione diversa ( rischiando di risolversi in una probatio diabolica e svuotando così la tutela assicurata dalla prior notice ).

Per usare l'espressione di Lord Wright "se i principi della natural justice sono violati rispetto ad una decisione è irrilevante la circostanza che alla stessa decisione si sarebbe pervenuti anche in assenza della violazione di quei principi. La decisione deve comunque essere dichiarata una non decisione"[24].

È interessante cogliere in ciò un momento importante di differenza con la normativa italiana:  il novellato art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990[25], mira infatti dichiaratamente, in casi simili, a preservare l’atto amministrativo invalido.

Pertanto, la presenza di violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti (se di natura vincolata) o di omessa comunicazione al privato dell’avvio del procedimento nella ipotesi di esercizio (anche) di potere discrezionale sono attualmente circostanze che, per l'ordinamento giuridico italiano, possono rendere, comunque, il provvedimento amministrativo adottato immune dal sindacato giurisdizionale, per violazione di legge ed eccesso di potere, qualora la P.A. in giudizio dimostri che, pur se fosse avvenuto il rispetto delle regole violate,  “il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Tornando alle garanzie britanniche, si prevede inoltre che il fair hearing debba permettere all'interessato di aver conoscenza di tutti i fatti addotti dalle parti nel procedimento, in modo da consentirgli una difesa congrua: egli deve essere posto infatti nelle condizioni rettificare, commentare e controbattere al materiale probatorio ed a qualsiasi informazione importante ai fini della decisione che sia in possesso dell'amministrazione.

Il divieto di accesso ai documenti dell'amministrazione concreta in genere una violazione della natural justice: pertanto, ad esempio, è causa di invalidità di una decisione assunta in seguito ad un inchiesta pubblica, la mancata messa a disposizione nella sua interezza (alle parti che ne fanno richiesta) del report stilato dall'ispettore che conduce l'inchiesta; su questa stessa linea, se l'organo decidente riceve materiale probatorio che non rende disponibile, anche, alle altre parti interessate, si ritiene non venga rispettato il diritto di conoscere l'opposing case e, pertanto, si concreta un agire unfairly, in violazione della natural justice[26].

Ovviamente anche questa regola vede le sue eccezioni nel divieto di divulgazione del materiale sia a tutela del privato quando la diffusione di notizie risulti essere incompatibile con la dignità e la riservatezza della persona (ad esempio quando si tratti di report medici) sia a tutela dell'amministrazione quando la rivelazione di notizie segrete possa danneggiare la sicurezza della nazione: in breve, ragionevolmente, la misura dell'accesso ai documenti ed alle informazioni va comparata con il pregiudizio che dall'informazione stessa può derivare ad una delle parti interessate.

Sebbene l'oralità sia la regola per l'esposizione del caso, in molte fattispecie le courts hanno reputato congruo l'ammissione da parte dell'organo decidente di argomentazioni presentate per iscritto in sostituzione dello hearing orale o ancor prima che l'interessato venga ascoltato oralmente (a patto però che sia mantenuta effettivamente la possibilità di replica ed il diritto di difesa)[27].

Quando è effettuato lo hearing orale, l'organo che decide deve esaminare tutte le prove addotte dalla parte, informare le altre parti eventuali delle prove esaminate, consentire le prove testimoniali, ammettere la discussione sulle prove e sull'intero caso.

Inoltre, se vi sono più parti nella stessa controversia, e ad una è concessa l'autorizzazione di una prova orale la stessa autorizzazione deve essere accordata alle altre[28].

Per quanto concerne la prova, gli organi amministrativi non sono condizionati dalle regole sull' evidence[29] proprie delle Courts: sono più liberi di queste ultime di basare le proprie decisioni sulle informazioni ottenute in base alle cd. Official notice.

L'obbligo di motivazione attualmente ha portata tendenzialmente generale (si è dunque ampliato l'ambito di garanzie propriamente comprese nella natural justice) e la stessa House of Lords ha sostenuto che nell'ipotesi in cui un ministro non motivi adeguatamente la propria decisione quest'ultima può essere annullata in quanto "arbitrary and capricious"[30].

Un altro punto centrale in tema è quello della correlazione tra hearing e decisione, ovvero la necessaria uguaglianza soggettiva dell'organo presente all'audizione ed alla decisione: in linea di principio,  come vi è una violazione della natural justice  se un componente delle corti giurisdizionali decide senza aver preso parte allo hearing, non possono  emettere una decisione che gli stessi componenti degli organi amministrativi che abbiano preso parte all'audizione relativa allo stesso provvedimento (vale infatti, ugualmente e per le medesime ragioni, il principio che bias and ignorance [31], "interesse ed ignoranza", precludono un fair giudizio riguardo al merito della questione[32]).

Anche a tale principio sono poi però poste delle eccezioni che si concretizzano nell'impossibilità assoluta o nell'estrema difficoltà per l'organo decidente (o per  alcuni componenti di esso) di partecipare all'istruttoria: allorquando infatti l'autorità decidente sia un ministro o un dipartimento del governo centrale trova applicazione il principio del c.d. Delegated hearing e si riconosce che i doveri del ministro o dell'autorità centrale possano essere legittimamente esercitati (in suo nome) da funzionari subordinati (ovviamente in questa ipotesi però il funzionario decidente deve essere a conoscenza di tutte le fasi del procedimento).

 

  1. Natural Justice e giusto procedimento nell’ottica dell’ampiamento delle tutele procedurali e sostanziali

Come detto, nel 1963 con la sentenza R. v. Baldwin, la Camera dei Lords ha ribaltato l'orientamento giurisprudenziale che sino ad allora era stato prevalente, rilevando come la distinzione operata sulla base delle funzioni esercitate (judicial, quasi judicial e administrative) non potesse esser considerata un elemento soddisfacente ai fini dell'applicazione o meno delle regole di natural justice.

In quella occasione la Camera dei Lords ha stabilito che i principi procedurali siano da applicare ogni qual volta un organo amministrativo emani decisioni che interessino (positivamente o negativamente) diritti individuali: essi trovano quindi spazio a partire dal 1963  in ragione delle situazioni soggettive individuali a prescindere dal fatto che la funzione esercitata sia amministrativa.

Alla estesa applicabilità della regola audi alteram partem alle decisioni amministrative tout court è dovuta corrispondere una maggiore flessibilità della stessa sia per quanto ne concerne il contenuto sia per quanto riguarda gli obblighi imposti.

Ne restano comunque fermi i caratteri principali (deve cioè essere data notice e fair opportunity di audizione al soggetto interessato alla decisione di un organo amministrativo) e non è in discussione il fatto che in qualsiasi procedimento l'amministrazione debba agire sempre con fairness (il fair play, questa idea di gioco leale, informa imprescindibilmente il procedimento amministrativo anglosassone[33]), ciò che può variare è il tipo di procedura da adottare nei vari casi regolati dalla regola audi alteram partem.

Alcune fattispecie necessitano infatti l'applicazione di procedure più complesse in relazione alla natura degli interessi in gioco (addebiti disciplinari, perdita dei diritti di proprietà...) in tali casi la procedura che la regola audi alteram partem richiede all'organo amministrativo decidente si impone essere analoga a quella adottata nelle procedure giudiziali delle courts of law (ammissione della prova, interrogatorio incrociato, rappresentanza legale etc..).

In altre ipotesi viceversa gli obblighi derivanti dalla regola audi alteram partem possono essere soddisfatti da garanzie procedurali più semplici: sono ipotesi in cui può risultare sufficiente, ai fini della soddisfazione delle prescrizioni della natural justice, che sia fornita al privato la possibilità di instaurare il contraddittorio con la p.a. con vincoli meno formali di quelli derivanti dal processo.

Il vincolo alla regola dipende sempre meno dal carattere dell'attività (judicial o quasi judicial) e sempre più dalla consistenza della situazione soggettiva del privato incisa dal comportamento dell'amministrazione di cui viene denunciato il contrasto con la natural justice (ed è in dipendenza dalla consistenza più o meno pregnante di tale posizione che dipende l'applicazione più o meno pervasiva della natural justice).

Fino alla metà degli anni sessanta, in epoca antecedente allo sviluppo della nozione del duty to act fairly (il dovere di agire lealmente), il contenuto della regola audi alteram partem era considerato meno flessibile e tendeva a prevalere un approccio del" tutto o niente" (il cd all or nothing approach), con la conseguenza che ove essa fosse stata ritenuta operante i vincoli che ne scaturivano, cioè il vincolo di agire "giudizialmente", erano relativamente stretti (con la conseguenza che laddove l'osservanza di tali obblighi fosse risultata occessivamente onerosa le corti erano portate a ritenere che non vi fosse alcun vincolo alla natural justice).

Dopo la sentenza Ridge v. Baldwin e l'affermarsi, subito dopo, della nozione del duty to act fairly, l'approccio giudiziale muta, l'attenzione si sposta dall'interrogarsi circa l'applicabilità della regola audi alteram partem a questioni sostanziali:  ovvero la conformità della procedura  ai requisiti di giustizia e lealtà (fairness).

La conseguenza in termini di tutela per il privato è evidentemente positiva: se (in un caso specifico) era  lecito per il giudice affermare che non vi fosse alcun dovere di agire giudizialmente era meno facile che egli potesse negare l'esistenza di un duty to act fairly.

il dovere di fairness non si esaurisce in un ambito meramente procedimentale presentando anche rilevanti aspetti sostanziali: ulteriore  peculiarità rispetto alla natural justice che, a dispetto della  denominazione (che riecheggerebbe l'idea di giustizia in senso materiale) si concreta più esattamente in regola sul procedimento.

È un passaggio, questo, a standards di valutazione sostanziali: l'irragionevolezza (consistente nell'ignorare circostanze rilevanti e nel dar peso a circostanze irrilevanti), la proporzionalità (per esempio tra illecito e sanzione) la certezza (in forza della quale il cittadino deve essere in grado di prevedere in una misura che sia ragionevole in determinate circostanze le conseguenze che una data azione può produrre) la coerenza (che si esprime per esempio nel vincolo alle circolari ancorché non espressamente richiamate).

La crescita da un approccio puramente processuale ad uno sostanziale amplia l'ambito delle possibilità di tutela del soggetto privato: in questa ottica la giurisprudenza inglese e quella continentale si avvicinano nella costruzione di vizi che permettono di sindacare l’esercizio del potere discrezionale tanto dal punto di vista procedurale quanto da quello sostanziale[34].

(17 luglio 2018)

 

[1] Così Cons. St., Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14, in Foro amm., 1999, p. 1695.

[2] Nella seconda parte del decennio scorso, è stato riconosciuto al giusto procedimento la dignità di principio costituzionale, cfr. Corte cost., 17 marzo 2006, n. 104, in Foro it., 2006, 5, c. 1267; Corte cost., 25 marzo 2007, n. 103 e n. 104, ambedue in Foro amm., CdS, 2007, 3, p. 775 s.m.

[3] Ci si riferisce in primis all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, siglata a Roma il 4 Novembre del 1950. Sul punto si veda M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo, Napoli, 2012.

[4] Per le opinioni dissenzienti sulla portata della riforma costituzionale, si veda fra gli altri P. Ferrua, Il giusto processo, Bologna 2005; G. Ubertis, voce Giusto Processo (Diritto processuale penale), in Enc. dir. Annali,1, Milano 2008, 419 ss.; S. La China, Giusto processo, laboriosa utopia, in Riv. Dir. Proc., 2005, 1111 ss.; L.P. Comoglio, Il giusto processo nella dimensione comparatistica, in Riv. Dir. Proc., 2002, 702 ss.; S. Chiarloni, voce Giusto processo (Diritto processuale civile), in Enc. dir., Annali, Milano, 2008, 403 ss. ; S. Tarullo, voce Giusto processo, in Enc. dir.; Annali, Milano, 2008, 377 ss.

[5] Cfr. F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 126 ss.

[6] Se il giusto processo fosse finalizzato ad ottenere sempre una decisione giusta, ogni mezzo per ottenerla sarebbe legittimo, pure la deriva verso la natura inquisitoria del processo; al contrario, se l’aggettivo giusto è riferito alla correttezza delle regole processuali, il diritto di difesa delle parti mai potrà essere compresso. Cfr. M. Bellavista, Giusto processo come garanzia del giusto procedimento, in Diritto Processuale Amministrativo, 2011, 2, 2011, p. 598 ss.

[7] Sul punto si veda F. Benvenuti, Prefazione, in G. Pastori (a cura di), La procedura amministrativa, Milano, 1964, p. 13 s.

[8] Cfr. J. Freund, Droit et conflit (1937), trad.it. in Diritto e politica, Napoli, 1994, p. 35 ss.

[9] Sul cui contenuto si rimanda, trai tanti, a A.T. Denning Baron, The due process of law, II ed., Oxford, 1980; V. Vigoriti, Garanzie costituzionali del processo civile. Due process of law e art. 24 Cost,  Milano, 1970.

[10] A.V. Dicey, Lectures introductory to the study of the Law of the Constitution, London, 1895.

[11] Famosa è la risposta che Dicey dette al professor Barthèlemy, preside della facoltà di giurisprudenza parigina, ad interrogativi sul diritto inglese “In England we know nothing of administrative law; and we wish to know nothing” per cui si rimanda a A. Psygkas, From the "Democratic Deficit" to a "Democratic Surplus": Constructing Administrative Democracy in Europe, Oxford – New York, 2017, p. 179.

[12] Sul punto si veda fra gli altri P. Simpson, Aristotle on natural justice, in Studia Gilsoniana, 2014, p. 367 ss.

  1. B. Solum, Natural justice, in American Journal of Jurisprudence, 51, 2006, p.65 ss.; P. Jackson, Natural justice, II ed., London, 1979; E. Bindi, Natural justice e principio di buona amministrazione nel diritto comunitario, in A. Pisaneschi, L. Violini (a cura di), Poteri, garanzie, diritti a sessanta anni dalla costituzione. Scritti per Giovanni Grottanelli de’ Santi, Milano, 2007, p. 1029 ss.

[13] La rilevanza dei due principi, dei quali a noi interessa in modo particolare il secondo, deriva dal fatto che per secoli la giurisprudenza inglese abbia attinto alla filosofia ed alla religione come ambiti nei quali ab initio il diritto è venuto ad esistenza.

[14] Per il caso storico si rimanda a L.A. Knafla, Law and Politics in Jacobean England. The Tracts of Lord Chancellor Ellesmere, Cambridge, 2008.

[15] Cfr. S. H. Bailey, Cases, Materials and Commentary on Administrative Law, London, 2005, p. 657.

[16] Cfr. N. Picardi, Il principio di contraddittorio, in Riv. Dir. Proc., 1998, 673.

[17] Il contraddittorio costituiva, pure, la struttura portante dell’ordo probationum nel processo comune europeo, sul punto si veda N.Picardi, Audiatur et atera pars, le matrici storico-culturali del contraddittorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 7 ss.

[18] Sul punto D.P. Jones, A.S. de Villars, Principles of Administrative Law , Toronto, 2009, p. 210 ss. 

[19] Si veda in https://swarb.co.uk/cooper-v-the-board-of-works-for-the-wandsworth-destrict-21-apr-1863/

[20] Per il caso in esame si rimanda a P. Vinogradof, Some problems of public law, in California Law Review, 12,  6, 1924 p. 449 ss.

[21] Si veda in http://www.bailii.org/uk/cases/UKHL/1963/2.html

[22] Nell’ Acquisition of Land Act del 1946 e nel Town and County Planning Act del 1971 si prevede infatti che la mancanza o l’inadeguatezza della prior notice non invalida la procedura se l’interessato non è stato pregiudicato in “modo sostanziale”.

[23] Il fatto che “a fear hearing would make no difference” è un principio che si è invocato ad esempio in Malloch v. Aberdeen Corporation ,1971, WLR. 582 ; per il caso si rimanda a M. Elliott, J. Varuhas, Administrative Law. Text and Materials, Oxford – New York, 2017, p. 378.

[24] Così in General Medical Council v. Spackman, 1943, A.C. 627, in. www.casemine.com.

[25] Dalla Legge 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 21 febbraio 2005.

[26] Si vedano al riguardo alcune pronunce quali quelle del caso Kanda v. Government of Malaya, 1962, A.C., 332, in www.swarb.co.uk.

[27] Per approfondimenti sul contenuto si rimanda a L. Pearson, Procedural fairness. The hearing rule, Cambridge, 2007, p. 265 ss..

[28] Sul punto P. Craig, Natural Justice: Hearings; Natural Justice: Bias and Independence, in Administrative Law, London, 2008, p. 371 ss..

[29] Questo termine in genere viene utilizzato nei processi per indicare il mezzo con cui i fatti oggetto del giudizio vengono provati.

[30] Cfr. G. Napolitano (a cura di), Diritto amministrativo comparato, Milano, , 2007, p. 152

[31] Sul significato odierno della nozione si rimanda a  J. Maurici, The Modern Approach to Bias, in Judicial Review, 2007, 12, p. 25.

[32] Cfr P. Cane, Administrative Law, Oxford – New York, 2011, p. 72.

[33] Sul punto fra tutti G. Maher, "Natural Justice as Fairness", in N. MacCormick, P. Birks, The Legal Mind. Essays for Tony Honoré, Oxford, 1986, p. 103 ss.

[34] Sul punto si veda D.J. Galligan, La discrezionalità amministrativa, Milano, 1999, p. 233 ss.

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Élite politiche e amministrative tra crisi della democrazia e riforme dell’amministrazione (di Filippo Patroni Griffi)

L’impostazione stessa della riflessione odierna pone in correlazione i due termini di élite e classe dirigente. In primo luogo, cosa intendiamo per élites? anzi cosa decidiamo di intendere per élites, visto che mi sono accorto che in sociologia e scienza della politica le definizioni sono più importanti e, al tempo stesso, ambigue perfino che nel diritto?

Intenderei le élites come “ambiti di eccellenza” nei vari settori della società (questo mi sembra il senso della impostazione paretiana), fondati su tre elementi: merito, conoscenza, capacità di guidare e al tempo stesso di porsi al servizio della società nel proprio ambito di appartenenza[1]. L’élite –ipocrisie del politically correct a parte- presuppone un’identità che si risolve nell’appartenenza; ma non nell’appartenenza quasi dominicale o familiare a un gruppo, quanto piuttosto nell’appartenenza a un “gruppo” che, in quanto tale, assume una precisa responsabilità nell’ambito della società. Se viene meno uno dei tre elementi, se l’appartenenza si risolve in logiche familiste, se l’élite si chiude, essa cessa di essere élite per divenire casta.

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