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ISSN 2532-8913

La c.d. “vestizione dei vincoli” nel piano paesaggistico della Toscana Riflessioni a margine di TAR Toscana, sez. I, 10.10.2017, n. 1205 (di Marco Pastorelli)

  1. La c.d. “vestizione dei vincoli” consiste nella trasformazione dei vincoli paesaggistici (ex actu) da vincoli “nudi”, ovvero meramente perimetrali, in vincoli corredati dall’indicazione di obbiettivi, criteri e limiti necessari a valutare la compatibilità dell’intervento sottoposto ad autorizzazione con la salvaguardia dei valori tutelati dal decreto. Tale trasformazione viene operata, come prevede l’art. 143, D.Lgs. 42/2004, dal Piano Paesaggistico.

Nell’esperienza toscana – in cui, com’è noto, il piano paesaggistico è stato integrato all’interno del Piano di Indirizzo Territoriale – la “vestizione dei vincoli” paesaggistici è stata il risultato di un’attività di co-pianificazione tra Regione e MiBAC, che si è sostanziata nella redazione, per ciascun vincolo, di una scheda (Scheda 3b) comprendente l’identificazione del vincolo (sezione 1), la sezione analitico-descrittiva del vincolo (sezione 2), la cartografia identificativa del vincolo in scala 1:10.000 (sezione 3) la disciplina d’uso articolata in Indirizzi, Direttive e Prescrizioni (sezione 4).

L’applicazione e l’interpretazione, in particolare, della disciplina contenuta nella sezione 4, solleva problematiche teoriche di notevole ricaduta pratica, che possono essere così riassunte: a) se la disciplina del piano paesaggistico, accanto alla ricognizione dei vincoli esistenti, possa introdurne di nuovi, ovvero contenere prescrizioni più restrittive di quelle previste nel decreto istitutivo; b) se le direttive, al pari delle prescrizioni, siano o meno di immediata applicabilità all’interno dei procedimenti autorizzatori; c) quali siano i rapporti tra la “verifica di conformità” alla disciplina del piano paesaggistico e la tradizionale “valutazione di compatibilità paesaggistica” demandata alle soprintendenze in sede di rilascio del parere ex art. 146, D.Lgs. 42/2004.

  1. Con riferimento al primo interrogativo, si ritiene che «nell’ambito del codice dei beni culturali il piano paesaggistico perde definitivamente la sua antica connotazione strettamente ausiliaria rispetto ad uno specifico vincolo di matrice provvedimentale o legale ed assume, invece, la funzione di calare l’individuazione e la tutela dei beni paesaggistici nell’ambito di una considerazione “globale” del territorio regionale volta a far emergere i risvolti “identitari” dei suoi singoli contesti ed al complessivo miglioramento della sua qualità. In tale quadro il piano paesaggistico, accanto alla ricognizione dei vincoli esistenti, può autonomamente imporne di nuovi così come può individuare, anche al di fuori del sistema dei beni paesaggistici “ulteriori contesti” meritevoli di essere salvaguardati»1. Il venir meno, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 42/2004, del rapporto di rigida presupposizione tra piano paesaggistico e decreto di vincolo è stato del resto più volte affermato dalla giurisprudenza2 e anche di recente il TAR della Toscana ha ribadito che «le misure conservative affidate al piano paesaggistico dagli artt. 135 e 143 del D.Lgs. n. 42/2004 possono coincidere con veri e propri divieti di costruzione o con limiti di edificabilità (ex multis: TAR Toscana, I, 21.7.2017, n. 945; idem, 19.10.2017, n. 1254), e quindi contenere prescrizioni più restrittive di quelle previste negli atti amministrativi istitutivi di vincoli particolari»3.

La seconda problematica sorge a causa dello scarso coordinamento di alcune disposizioni della Disciplina di Piano del P.I.T. e della sovrapposizione dell’ambito applicativo delle stesse tra la sfera urbanistica e quella paesaggistica. Invero, l’art. 4 della Disciplina di Piano, dedicato al “carattere delle disposizioni”, traccia una distinzione abbastanza netta tra Direttive, Prescrizioni e Prescrizioni d’uso, stabilendo che «f) le direttive presenti nella disciplina generale, quelle correlate agli obiettivi di qualità d’ambito e quelle contenute nella disciplina dei beni paesaggistici costituiscono, in analogia ai valori regolamentari come attribuiti nell’ambito delle direttive europee, disposizioni che impegnano gli enti territoriali all’attuazione di quanto in esse previsto al fine del raggiungimento degli obiettivi generali e di qualità indicati dal piano, lasciando a detti enti la scelta sulle modalità per il loro raggiungimento; g) le prescrizioni costituiscono disposizioni alle quali è fatto obbligo di attenersi puntualmente; h) le prescrizioni d’uso costituiscono disposizioni sul regime giuridico dei beni paesaggistici, di cui all’artico 134 del codice dei beni culturali, cui è fatto obbligo di attenersi puntualmente». Le direttive paesaggistiche, dunque, stando a tale norma definitoria, non producono effetti diretti nei procedimenti autorizzatori e non hanno ex se efficacia conformativa della proprietà, ponendo bensì dei precetti di natura programmatica cui dovranno uniformarsi gli enti territoriali nella revisione dei propri strumenti di pianificazione territoriale. Tale interpretazione risulterebbe avvalorata dall’art. 19 della Disciplina di Piano (rubricato “Efficacia del Piano rispetto agli interventi da realizzarsi sugli immobili e sulle aree sottoposti a tutela paesaggistica”), secondo cui «dalla data di pubblicazione sul BURT della delibera di approvazione del presente piano gli interventi da realizzarsi nelle aree e sui beni di cui all’articolo 134 del Codice sono consentiti solo se conformi alle prescrizioni e alle prescrizioni d’uso della disciplina dei beni paesaggistici del presente Piano», da cui può trarsi che solo le prescrizioni (e non anche le direttive) sono di immediata e diretta applicabilità all’interno dei procedimenti autorizzatori. Ulteriore argomento a favore di tale opzione ermeneutica è dato dall’art. 4, comma 2, dell’Elaborato 8b del P.I.T. (Disciplina dei beni paesaggistici), secondo cui «i beni in oggetto, ai sensi dell’art. 143, comma 1 lettera b) e c) sono disciplinati ai sensi degli articoli seguenti che fissano gli obiettivi con valore di indirizzo da perseguire, le direttive da attuare e le prescrizioni d’uso da rispettare», da cui può evincersi l’esistenza di un regime di efficacia quantomeno differenziato tra direttive e prescrizioni.

La nitidezza del quadro normativo appena delineato viene però appannata dalla disposizione contenuta nell’art. 18, comma 1 lett. b) della Disciplina di Piano, che attribuisce alle “direttive contenute nella disciplina dello Statuto del territorio relativa ai beni paesaggistici” efficacia immediatamente integrativa e persino derogatoria della disciplina dello statuto del territorio contenuta negli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica.

In ragione di ciò, la dottrina ha ritenuto «incomprensibile che l’art. 19 renda immediatamente cogenti ai fini del rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche le prescrizioni e le prescrizioni d’uso, e non anche le direttive», ed ha espressamente invitato l’interprete a «ignorare la littera legis e recuperare l’efficacia immediata delle direttive ancorandola alla valutazione di compatibilità paesaggistica che in sede di autorizzazione occorre compiere insieme con la verifica di conformità a cui, sola, si riferisce l’art. 19»4: in sostanza, l’autore ritiene che la c.d. “verifica di conformità” debba avvenire assumendo come parametro solo le prescrizioni, mentre le direttive, in quanto non autoapplicative, verrebbero in considerazione nella fase successiva della valutazione di compatibilità paesaggistica. Secondo tale prospettazione, dunque, le direttive paesaggistiche svolgerebbero la loro efficacia su un duplice piano, indirizzando da un lato l’attività di pianificazione urbanistica e territoriale degli enti locali, e dall’altro, inserendosi nell’attività procedimentale di gestione del vincolo come parametri cogenti della valutazione di compatibilità paesaggistica.

  1. Quanto appena illustrato ci porta direttamente ad affrontare la terza problematica, che attiene, in buona sostanza, agli effetti della “vestizione del vincolo” sull’attività istruttoria prevista per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. L’approvazione, infatti, da parte della Regione Toscana, del P.I.T. avente valore di piano paesaggistico ha significativamente mutato la struttura del procedimento di cui all’art. 146, D.Lgs. 42/2004, imponendo all’autorità preposta alla tutela del vincolo di svolgere anzitutto una verifica di conformità dell’intervento prospettato alle norme del piano paesaggistico stesso. Anche in questo caso, prassi, dottrina e giurisprudenza dovranno chiarire in che modo la “verifica di conformità” si coordini con la tradizionale “valutazione di compatibilità paesaggistica”, ovvero se, addirittura, tale attività, siccome tipica del regime ante (e sine) piano paesaggistico, sia da considerarsi ormai del tutto assorbita dalla prima.

I primi commentatori del Piano hanno ritenuto che la verifica di conformità non abbia in toto sostituito la valutazione di compatibilità, andando semplicemente ad orientare e “comprimere” la discrezionalità tecnica che tipicamente si attaglia a tale tipo di attività5. In tal senso, l’introduzione del piano paesaggistico avrebbe determinato la duplicazione degli incombenti istruttori richiesti ai fini del rilascio del parere ex art. 146, D.Lgs. 42/2004, imponendo alle soprintendenze si svolgere preliminarmente un’attività – ovvero la verifica di conformità alle previsioni della Scheda di paesaggio – che presenta significative analogie con l’istruttoria compiuta dai comuni in sede di rilascio dei titoli edilizi e, successivamente, di valutare la compatibilità dell’intervento sotto il profilo paesaggistico, utilizzando in questo caso i tradizionali parametri tecnico-discrezionali.

Tale struttura bifasica dell’istruttoria procedimentale ex art. 146, D.Lgs. 42/2004 riprodurrebbe – e consentirebbe di razionalizzare – la dicotomia tra prescrizioni e direttive di cui abbiamo accennato al precedente paragrafo: la verifica di conformità, difatti, assumerebbe come parametro essenziale le “prescrizioni” e le “prescrizioni d’uso”, mentre la successiva fase di valutazione di compatibilità consisterebbe in un controllo sulla «sostanziale coerenza dei progettati interventi con le direttive dettate dal piano (da esso indicate come prevalenti): tale verifica potrà peraltro ragionevolmente orientare e circoscrivere (solo) l’esercizio della discrezionalità tecnica nella fase di valutazione di compatibilità paesaggistica successiva alla verifica di conformità, soprattutto laddove – in assenza di corrispondenti prescrizioni  o prescrizioni d’uso – la direttiva consenta di individuare con sufficiente nitidezza il bene giuridico protetto e detti chiare disposizioni precauzionali a garantirne la tutela»6

           

  1. La scarsa giurisprudenza che si è cimentata sul tema si è limitata ad affermare, di fronte alle denunciate incertezze applicative legate alla difficoltà di distinguere le disposizioni del PIT munite di forza immediatamente precettiva da quelle con funzione di mero indirizzo, che «per ogni categoria di beni sensibili dal punto di vista paesaggistico-ambientale, il gravato atto integrativo del PIT presenta una disciplina suddivisa per obiettivi, orientamenti, indirizzi, direttive e prescrizioni, il cui significato è descritto nell’art. 4 co. 2 della disciplina di piano; d’altro canto la disciplina dei beni paesaggistici distingue chiaramente le norme immediatamente precettive da quelle di indirizzo (si veda l’elaborato 8b del PIT), risultandone smentite le difficoltà interpretative denunciate dalla ricorrente con riguardo al differente contenuto e forza delle previsioni dettate dal piano»7. Malgrado il carattere epigrafico della statuizione, appare chiaro che il Giudice amministrativo toscano non abbia ravvisato nell’interpretazione della normativa in parola le difficoltà ermeneutiche invece rilevate dalla dottrina: in base, infatti, alle norme richiamate (ovvero l’art. 4, comma 2 della Disciplina di Piano e le disposizioni dell’Elaborato 8b), i livelli applicativi di direttive e prescrizioni appaiono nettamente differenziati, rimanendo le prime sul piano programmatico della futura pianificazione urbanistico-territoriale e le seconde incidendo sui procedimenti autorizzatori.

Questa lettura pare confermata da una recente sentenza (TAR Toscana, sez. I, 10.10.2017, n. 1205), che conviene esaminare più approfonditamente, siccome tra le poche in cui il Tribunale amministrativo della Toscana si è addentrato più nell’argomento. La controversia traeva origine da un parziale diniego di autorizzazione paesaggistica, relativo ad un intervento edilizio da realizzare in un edificio ricadente in area sottoposta a vincolo per decreto. La Soprintendenza aveva motivato il proprio parere negativo rilevando che il fabbricato rappresentava “un esempio rilevante di architettura contemporanea”, in quanto era stato censito come tale da una recente pubblicazione a stampa, e ricollegando tale considerazione al disposto della Direttiva 3.b.3 di cui alla Scheda di paesaggio relativa al decreto di vincolo, che impone di «riconoscere i caratteri architettonici e tipologici di valore, che caratterizzano gli insediamenti di Punta Ala».

Obiettava il ricorrente, censurando specificamente la legittimità della verifica di conformità condotta dalla Soprintendenza, che i beni indicati nell’art. 136 del Codice del Paesaggio (tra cui «le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza»), debbono, ai fini della soggezione al vincolo, essere specificamente individuati e che tale individuazione non era contenuta nel decreto di vincolo, siccome estraneo alla tutela dei valori architettonici in genere; né tale specifica individuazione poteva essere rintracciata – come pretendeva invece la Soprintendenza –  nel piano paesaggistico regionale, chiamando in causa la Direttiva di cui al punto 3.b.3 della Scheda di paesaggio, non essendo le direttive, giusto il disposto degli artt. 4 e 19 della Disciplina di Piano del P.I.T., immediatamente applicabili ai procedimenti autorizzatori. Il ricorrente rilevava altresì che, in ogni caso, la direttiva in questione, laddove richiamava “gli esempi rilevanti di architettura contemporanea”, non stabiliva alcun puntuale riferimento all’edificio in questione e che tale carenza di specifica individuazione non poteva essere surrogata da una pubblicazione a stampa, cui non poteva attribuirsi alcuna efficacia giuridico-ricognitiva dei beni assoggettati a vincolo.

Il TAR, accogliendo la specifica doglianza del ricorrente, osservava preliminarmente che i rilievi della Soprintendenza avevano carattere estrinseco rispetto al nucleo giustificativo fondante del provvedimento di vincolo, assumendo ad oggetto di tutela un valore (la coerenza architettonica dell’edificio) non assumibile a parametro centrale della funzione di controllo esercitabile nel caso concreto: il decreto ministeriale, infatti, «non comprende[va] tra i valori oggetto di tutela le costruzioni edilizie, limitandosi a descrivere le caratteristiche paesaggistiche di un’area di “notevole interesse pubblico”, in considerazione delle caratteristiche morfologiche e della bellezza panoramica del litorale». Siffatta affermazione presuppone una rigida corrispondenza, per quanto attiene all’individuazione delle categorie di beni oggetto di tutela, tra le indicazioni del decreto istitutivo del vincolo e le previsioni del piano paesaggistico, trovando peraltro un preciso appiglio normativo nell’art. 134, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 42/2004, secondo cui «gli immobili e le aree di cui all’articolo 136» debbono essere «individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141».

Di non meno interesse la successiva statuizione, che contiene una esplicita presa di posizione rispetto all’efficacia e all’ambito applicativo delle direttive: affermava, infatti, il TAR che «anche quanto contenuto nella direttiva (punto 3.b.3) della scheda di paesaggio del piano paesaggistico non è di per sé sufficiente a ricomprendere la villa di cui si tratta all’interno del vincolo paesaggistico, considerando che le direttive, sulla base di quanto disposto dagli artt. 4 e 19 della Disciplina di Piano, comportano la previsione di obblighi di natura programmatica al fine di dettare delle linee guida per la futura attività pianificatoria dell’Amministrazione comunale».

  1. In conclusione, sebbene le pronunce in commento, per la loro esiguità e frammentarietà, non consentano né di delineare, né tantomeno di affermare, l’esistenza di un indirizzo giurisprudenziale riferito alle problematiche in oggetto, è comunque possibile segnalare l’esistenza di un primo embrionale orientamento volto a considerare le direttive non immediatamente cogenti ai fini del rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Tutto ciò – senza con questo volersi spingere in una lettura dogmatica dell’istituto – implicherebbe una netta separazione tra le modalità operative delle direttive relative ai beni paesaggistici “in sede urbanistica” – in cui, stando al disposto dell’art. 18 della Disciplina di Piano, esse dispiegano un’efficacia immediatamente integrativa o modificativa delle previsioni urbanistiche vigenti – e delle stesse nella “sfera paesaggistica”, in cui, al contrario, sono solo in grado di orientare le future scelte pianificatorie degli enti territoriali, senza alcuna incidenza nei procedimenti autorizzatori8. Se così fosse, vi sarebbe un (ulteriore) ostacolo teorico all’utilizzo delle direttive in sede di valutazione di compatibilità paesaggistica, che finirebbe per essere sempre più compressa – se non addirittura assorbita – dalla verifica di conformità, da condursi esclusivamente sulla base delle prescrizioni dettate dalle schede di paesaggio (come del resto prevede l’art. 19 della Disciplina di Piano).

 (1 marzo 2018)

1 R. Gisondi, Il piano paesaggistico nella giurisprudenza, in Il piano paesaggistico della Toscana, a cura di G.F. Cartei e D.M. Traina (a cura di), Napoli 2015, p. 26.

2 Cfr. Cons. Stato, 16.04.2012, n. 2188 e TAR Sardegna, 15.01.2013, n. 33, citati da R.Gisondi, il piano paesaggistico nella giurisprudenza, cit., p. 31, nota 17.

3 TAR Toscana, sez. I, 28.12.2017, n. 1690.

4 D.M. Traina, La struttura normativa del piano paesaggistico, in Il piano paesaggistico della Toscana, cit., p. 86.

5 Cfr. in tal senso L. Paoli, Gestione dei procedimenti autorizzativi in applicazione del piano paesaggistico: verifiche di conformità e valutazioni di compatibilità paesaggistica degli interventi, in Il piano paesaggistico della Toscana, cit., p. 193 e ss.

6 Ibid., pp. 194-195.

7 TAR Toscana, sez. I, 12.9.2017, n. 1080; conforme TAR Toscana, sez. I, 21.7.2017, n. 945.

8 Sotto tale angolo visuale, la ricaduta delle direttive sull’attività pianificatoria riguarderebbe dunque essenzialmente gli obblighi di adeguamento e/o conformazione al P.I.T.: sul punto, cfr. il saggio di E. Amante, L’adeguamento o la conformazione degli atti di governo del territorio al piano paesaggistico, in Il piano paesaggistico della Toscana, cit., pp. 151-180; più in generale, sui rapporti tra pianificazione paesaggistica e strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica si veda per tutti G.D. Comporti, Piani paesaggistici, in Enciclopedia del Diritto, Annali V, Milano 2012, pp. 1070 ss.

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