Francia e Italia: modelli amministrativi a confronto. Un colloquio con Frédéric Puigserver (Conseil d’État) (di Simone Lucattini)
Ho incontrato Frédéric Puigserver, giovane componente del Conseil d’État e allievo dell’École nationale d’administration (ENA), in un recente seminario senese sulla giustizia amministrativa in Francia e Gran Bretagna. Ne è seguita una lunga "chiaccherata" su amministrazione e giustizia, presidenziali francesi, Europa; sullo sfondo delle vie di Siena, tra il Duomo e il Palazzo Pubblico, dove risplende l’affresco del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti… Di lì a poco si sarebbe celebrato il secondo turno delle presidenziali, con la vittoria di Macron.
Per l’interesse che da sempre suscita un confronto sistematico tra i due modelli amministrativi – di Francia e Italia –, e per la grande competenza del nostro Interlocutore d’oltralpe, ho pensato di prolungare quella "chiaccherata senese" in un colloquio sulle pagine de Il Merito. Pratica per lo sviluppo, incentrato su una tematica cara alla nostra Rivista, ossia la formazione/selezione dell’élite amministrativa.
- Frédéric, la Tua formazione passa dall’ENA, o École National d’Administration, la struttura di alta formazione della pubblica amministrazione francese voluta nel 1946 da De Gaulle, dalla quale sono usciti ben quattro Presidenti della Repubblica (Chirac, Giscard D’Estaing, Hollande e ora Macron), sette primi ministri (Jospin, tra gli altri) e molti ministri, deputati, alti pubblici funzionari. Sarkozy ruppe la tradizione dei ministri quasi tutti provenienti dall’ENA e tentò di limitare fortemente il ruolo della Scuola; le cronache di allora si riempirono della polemica contro gli "enarques". In Italia, il modello dell’ENA è molto ammirato, anche perché da più parti si denuncia proprio la cronica assenza di scuole di formazione altrettanto eccellenti. Il modello ENA, a tuo avviso, è ancora valido e attuale o mostra i segni del tempo e dovrebbe quindi essere rivisto o aggiornato?
E’ vero che, da qualche anno, l’ENA viene criticata perché la scuola, da cui tante personalità francesi sono uscite, è diventata un simbolo delle difficoltà del paese. Si dice sempre più che la formazione che la scuola fornisce produce dirigenti tutti con le stesse idee, che hanno peraltro determinato lo scacco delle politiche economiche e sociali. Questa critica si inserisce nella sempre più netta divaricazione, che si osserva in tutta l’Europa, tra i cittadini e la classe dirigente. Al riguardo, bisogna essere giusti: si deve, sì, ammettere una responsabilità anche della scuola nella crisi che attraversa il paese da quaranta anni, ma sarebbe eccesivo considerare che fosse l’ENA la sola causa dell’alta percentuale di disoccupazione o dell’assenza di crescita. Al contrario, la scuola ha fornito allo Stato impiegati selezionati, ben formati e professionali. Insomma, è sempre possibile criticare un sistema e volerlo sostituire con un altro. La vera questione è, al solito, individuare un sistema migliore …
- Macron conosce bene l’ENA, essendosi formato (anche) lì; nel Suo programma è prevista una riforma dell’ENA?
Vero, anche Macron si è formato all’ENA. Ha cominciato la sua carriera alla notevole Inspection des finances. Non è rimasto molto tempo nella funzione pubblica poiché, dopo essere diventato consigliere economico del presidente François Hollande e poi suo ministro dell’Economia, ha lavorato, come sapete, qualche anno alla Banca Rothschild. Durante la campagna elettorale, non ha annunciato nessun riforma specifica dell’ENA; invece, vuole ridurre le spese della pubblica amministrazione e modernizzarne la gestione. Siccome la direttrice della scuola è stata nominata ministra degli Affari europei, verrà nominato un nuovo direttore che riceverà sicuramente une missione chiara.
- Si dice che uno dei principali punti di forza dell’amministrazione francese siano i passaggi ripetuti dal settore pubblico a quello privato, e viceversa. Questi passaggi richiedono infatti una buona reputazione professionale che costituisce un notevole incentivo, soprattutto per il funzionario pubblico che aspira a passare nel settore privato …
La funzione pubblica francese è basata sul principio della carriera. Vuol dire che, di norma, il fuzionario è assunto a seguito di un concorso e che, dal quel momento, tutta la sua carriera si volge nella funzione pubblica, cambiando solo le funzioni svolte. L’idea generale alla base di questa organizzazione é il carattere generalista del fuzionario, che deve essere capace di evolvere durante la carriera, di funzione ma anche di grado, e il legame speciale che si instaura tra il funzionario e la persona pubblica. Oltre questo percorso all’interno della funzione pubblica, il fuzionario può anche effettuare passaggi nel settore privato. Questa possibilità si giustifica perché a un certo momento della sua carriera, il fuzionario può volere arricchire la sua esperienza professionale nel settore privato. E, d’altra parte, l’ammistrazione francese può avere interesse ad approfittare di questa esperienza originale. Ci sono tuttavia due limiti: stringenti regole deontologiche da rispettare, per impedire conflitti d’interessi; poi, questi passaggi non possono durare più di dieci anni.
- Il sistema francese d’accesso alle più alte sfere dell’amministrazione,al pari di quello inglese, si basa sulla selezione dei meritevoli attraverso scuole d’eccellenza (ENA in Francia; sistema Oxbridge in Gran Bretagna). In Italia, un simile ruolo è stato in passato svolto, quasi in via di supplenza, dall’IRI e dalla Banca d’Italia. Con élites amministrative deboli e in assenza di strutturati laboratori di tali élite, si è poi introdotto, a partire dagli anni Novanta, un forte spoil system che ha definitivamente posto il vertice amministrativo (una dirigenza "precarizzata", che rischia l’incarico, mai il posto …) in balia della politica. In Francia, dove l’haute fonction publique è più forte che in Italia, come si configura oggi il rapporto politica/amministrazione?
Tutta la storia della funzione pubblica francese si spiega come une costruzione che permette all’amministrazione di essere protetta dall’instabilità del potere politico, che è stata grandissima. Il risultato di questo processo è quello che chiamiamo lo "statuto generale delle funzione pubblica". Questo statuto è basato su qualche principi essenziali: la carriera, di cui abbiamo già parlato; il fatto che qualsiasi impiego pubblico permanente è occupato da un funzionario; una deontologia che comporta ubbidienza e lealtà al governo. Il potere politico può cambiare, secondo il ritmo della vita democratica del paese, ma la funzione pubblica rimane: il suo ruolo precisamente è di fornire a qualsiasi governo una forza di lavoro professionale e competente. I vertici amministrativi – direttori di amministrazione centrale, prefetti, dirigenti di enti pubblici – servono come punti di contatto tra le sfere politica e amministrativa. Le loro funzioni non sono politiche, ma la fiducia tra loro e il governo deve essere piena. Ecco perchè possono essere cambiati da ogni nuovo governo. In pratica, questi cambiamenti sono pochi e vengono fatti gradualmente. Recentemente, il presidente Emmanuel Macron ha parlato di uno "spoil system à la française", ma il contenuto di questa riforma non è ancora ben chiaro.
- In Italia, ha riscosso un notevole successo il modello di amministrazione per autorità indipendenti. Oltre ad una autorità antitrust abbiamo autorità nel settore delle comunicazioni, dell’energia e dell’acqua, dei trasporti. In Francia, mi pare che il modello non abbia raggiunto la stessa estensione e soprattutto che si abbia qualche difficoltà in più ad accettare l’idea di autorità marcatamente indipendenti dal governo, specie quelle di regolazione dei servizi di pubblica utilità. Paradigmatico il caso della Commission de régulation de l’énergie che, nel 2006, ha visto ridotta la propria indipendenza dall’Esecutivo, anche a seguito di una aspra polemica politica sulle tariffe regolate ...
In Francia, dove l’amministrazione è, come abbiamo detto, sottomessa al governo e quindi dipendente da esso, era difficile concepire un’autorità ammistrativa che sia indipendente. Però, a poco a poco, tali autorità sono state create, nell’ambito della protezione delle libertà e della regolazione economica. Il Conseil constitutionnel ha poi riconosciuto l’esistenza di queste autorità, con la possibilità, ognuna nel rispettivo settore, di regolamentare e di punire. Il successo della formula ha condotto alla creazione di più di quaranta autorità amministrative indipendenti (AAI). Nel 2008, una di loro – il Mediatore della Repubblica – è stata addirittura inserita nella Costituzione, con la denominazione di Défenseur des droits. Numerosi rapporti, in questi anni, hanno racomandato di ridurre il numero di AAI e di uniformare il loro statuto legislativo. Questo è stato fatto con la « loi n° 2015-55 du 20 janvier 2017 portant statut général portant statut général des autorités administratives indépendantes et des autorités publiques indépendantes ». Certo, vi può essere la tentazione degli altri poteri pubblici di ridurre l’indipendenza di questa o quella autorità, ma questa nuova forma di ammistrazione sembra ormai definitivamente inseita nel paesaggio amministrativo francese.
- Ma veniamo alla giustizia amministrativa. Anche in Francia, come in Italia, il giudice amministrativo è, ad un tempo, giudice e consulente del governo. Questo doppio ruolo, in Italia, specie in tempi recenti, è stato oggetto di dibattiti e critiche. E in Francia?
Quello che chiamiamo la "dualité fonctionnelle" del Consiglio di Stato in Francia, che è il risultato di un lungo processo di costruzione di uno stato di diritto in Francia, è stata riconosciuto come un principio di valore costituzionale dal Conseil constitutionnel. In una prospettiva anglosassone, questa dualità può apparire strana e anche problematica. Invece, esiste in parecchi stati dell’Unione europea, in Francia, in Italia, ma anche in Belgio. Fa parte di quella che si potrebbe definire una "juridiversità europea". Durante il periodo recente, sotto l’influenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, abbiamo inserito nella legge, nel codice di giustizia amministrativa, regole di organizzazione che garantiscono la separazione delle due funzioni, che comunque rispettavamo da sempre, anche senza alcuna espressa previsione di legge. Perciò, questa "dualité fonctionnelle" non è molto criticata in Francia.
- Quali sono i tempi della giustizia amministrativa francese? Le Corti amministrative d’appello, nel vostro Paese, sembrano aver consentito al Conseil d’État di sgravarsi delle questioni minori…
Oggi i tempi di risoluzione delle controversie sono bassissimi: nel 2016, per i giudizi ordinari – senza quindi tener conto delle ordinanze e di quei giudizi assoggettati ad un rito speciale – è stato di 1 anno e 12 giorni, per il Consiglio di Stato, e di 1 anno, 1 mese e 26 giorni per le corti amministrative d’appello e di 1 anno, 8 mesi e 22 giorni per i tribunali amministrativi. I tempi di risoluzione delle controversie sono scesi molto in questi anni , grazie al cambiamento del metodo di lavoro e ad una più efficiente ripartizione dei casi che vengono direttamente sottoposti al Consiglio di Stato e di quelli che seguono invece il percorso normale di tre gradi di giudizio. E pensate che , in questo periodo, il numero dei casi da giudicare è sempre aumentato ...
- L’Italia ha preso in prestito dalla Francia numerose istituti: il modello ministeriale, il Consiglio di Stato, i prefetti, il sistema dei controlli interni, il sistema di finanza pubblica. Eppure l’amministrazione francese appare più efficiente e coesa di quella italiana. Forse le ragioni più profonde vanno rinvenute nel diverso processo di State building dei due Paesi, e anche a livello culturale, in una diversa percezione della noblesse d’État …
E’ sempre difficile paragonare due paesi, ciascuno con la propria storia. In Francia, la tradizione che risale alla monarchia è quella di uno stato forte. Altro profilo tipico è, come si diceva, l’instabilità politica, con numerose rivoluzioni e cambi di regime. Lungo tutto questo tempo, l’amministrazione pubblica e i suoi funzionari sono stati un elemento di continuità e di di stabilità. Anche durante il Novecento, se lo Stato francese non è crollato è stato soprattutto grazie alla la funzione pubblica. L’altra faccia di questa stabilità è che la funzione pubblica viene spesso criticata perchè costituirebbe una resistenza al cambiamento e alla modernizzazione del paese. A mio avviso chi la pensa così sbaglia target: il vero problema, di efficacia ma anche di bilancio, è il numero di impiegati pubblici – più di 5 milioni – e non la qualità della funzione pubblica.
- Una delle grandi leggi di scienza dell’amministrazione ci dice che – paradossalmente – è più facile riformare un’amministrazione fortemente inefficiente, e percepita come tale dai cittadini, rispetto ad una amministrazione con livelli ancora accettabili d’efficienza. L’Italia, nonostante questo "vantaggio", non sta comunque riuscendo a riformare in profondità la propria amministrazione. In Francia, pur a fronte di un elevato numero di addetti e di spesa per il personale pubblico, le difficoltà incontrate nell’introdurre riforme incisive sono dovute anche al fatto che, nonostante tutto, l’opinione pubblica ritiene – probabilmente a ragione – che l’amministrazione francese assicuri ancora un discreto livello di efficienza?
E’ esatto che i Francesi sono in maggioranza attaccati alla loro funzione pubblica. La criticano molto, a causa della sua lentezza e della sua complessità, della sua incapacità a riformarsi e ad avvicinarsi al livello di efficienza delle imprese, ma, in fin dei conti, l’apprezzano. Probabilmente perchè la Francia è ancora sotto l’influenza di ideali collettivi che abbiamo ereditato della Rivoluzione francese. Per dire le cose in un modo diverso, probabilmente i Francesi pensano che la Francia non sarebbe più se stessa senza la sua amministrazione ...
(6 luglio 2017)