Proroga, la ladra di tempo: il caso del noleggio con conducente (di Valentina Rossi)
Proroga, la ladra di tempo: il caso del noleggio con conducente
(di Valentina Rossi)
In Italia il tempo viaggia in direzioni opposte a seconda del punto da cui si guarda, se dalla prospettiva del cittadino e dell’impresa, o da quella della Pubblica Amministrazione.
Un caso esemplare riguarda l’(ab)uso dell’istituto della proroga, che la burocrazia dà in pasto all’opinione pubblica come geniale espediente per “prendere tempo”, accompagnato spesso da suadenti ammiccamenti del tipo: “stai tranquillo, hai visto? Tanta paura per niente, non se ne fa di nulla neanche stavolta, che ti dicevo? sei salvo! un altro po’ per pensarci … poi si vedrà”.
Ma un Paese che non decide non fa un gran regalo a cittadini e imprese, semmai li danneggia.
Al grido di “per decidere c’è tempo!”, il 31 dicembre di ogni anno, mentre il resto del Paese brinda, non senza qualche preoccupazione, al nuovo anno, a Roma si vara, tra spume di champagne, il solito “Decreto Milleproroghe”, agghiacciante già nel nome, sconcertante nel contenuto. Contenuto che, peraltro, si rivela pienamente soltanto dopo settimane di cervellotica lettura. E così è stato anche nel 2015.
Il provvedimento recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative” rappresenta l’istituzionalizzazione della procrastinazione, l’ultima spiaggia del prendere (o perdere) tempo; di fatto è quasi impossibile dare conto di tutto quello che ci viene infilato dentro, in modo più o meno trasparente.
Tra i tanti temi possibili, ne ho scelto uno, il noleggio con conducente (in breve: NCC), che appare per certi versi paradigmatico del rapporto tra tempo (sprecato), (abuso di) potere pubblico e impresa.
Si conta infatti, nel Milleproproghe edizione 2015, il quindicesimo (sic!) rinvio dell’attuazione di quanto previsto dall’art. 29 della legge n. 14/2009 (legge di conversione, con modifiche, del decreto legge n. 207/2008) in materia di autoservizi pubblici non di linea.
L’art 29, comma 1-quater, della citata legge n. 14/2009 ha, tra l’altro, introdotto in materia di NCC esercitato con autovetture:
- l’obbligo di stazionamento dei mezzi all’interno delle rimesse (o presso i pontili di attracco) all’inizio e al termine di ogni servizio di trasporto;
- l’obbligo di presenza della sede legale del vettore e della rimessa all’interno del Comune che ha rilasciato l’autorizzazione;
- la possibilità, per gli enti territoriali, di regolamentare l’accesso nel proprio territorio degli operatori autorizzati in altri Comuni.
Tutto questo a fronte di una previsione originaria più “aperta”, che prevedeva soltanto il prelevamento dell’utente (inizio del servizio) all’interno dell’area comunale o comprensoriale e l’obbligo che la rimessa per lo stazionamento dei mezzi si trovasse nel territorio del comune autorizzante.
Già dal 2009 (decreto legge n. 5/2009), l’entrata in vigore della norma di cui all’art. 29, comma 1- quater, ritenuta probabilmente troppo restrittivo della concorrenza, fu rinviata; d’altra parte, anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con la Segnalazione al Parlamento ed al Governo AS683 del 22.4.2010-27.4.2010, ne aveva rilevato la portata anticoncorrenziale.
Finché, con l’art 2, comma 3, del decreto legge n. 40 del 25 marzo 2010, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti fu delegato ad adottare un decreto finalizzato alla rideterminazione dei principi fondamentali e delle modalità di esercizio dell’attività di NCC, contenente “urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia”.
L’“urgente” decreto attuativo non ha ancora visto la luce; cosicché, dal 2010 la proroga ha riguardato il rinvio dei termini ultimi per l’emanazione di quelle stesse misure attuative che avrebbero dovuto, nelle intenzioni del legislatore, ridisegnare l’intero settore.
Ne è scaturito l’ennesimo “pasticcio interpretativo”, stavolta riguardante l’effettiva vigenza della riforma introdotta dal più volte menzionato art. 29, comma 1-quater: ed infatti, anche coloro che considerano il rinvio del termine ex d.l. n. 40/2010 non incidente sulla vigenza della controversa norma, ammettono, perlopiù, che la mancanza delle disposizioni attuative inficia, di fatto, l’applicabilità della stessa (a suffragare questa tesi soccorre un parere ministeriale reso alla Camera di Commercio di Frosinone in data 07/09/2012). Anche la prevalente giurisprudenza, invero, ritiene congelata l’entrata in vigore dall’art. 29 e la pubblica amministrazione solitamente si adegua a questa lettura, applicando la versione ante modifiche della legge n. 21/1992.
Questo groviglio paradossale – una riforma nata male, una riorganizzazione del sistema mai realizzata ed ormai sopravanzata da fenomeni socioeconomici nuovi – ha creato non pochi problemi.
Si pensi al caso “Uber”. Non vi sarà sfuggito che chi esercita con licenza nel trasporto pubblico non di linea (definizione che accomuna taxi e NCC) ha dichiarato guerra a Uber, azienda americana che mette in contatto direttamente passeggeri ed autisti attraverso un’applicazione per telefonia mobile, fornendo un servizio di trasporto specifico, modellato sulle esigenze dell’utente, sia che questi pretenda un mezzo con autista (cc.dd. “UberBlack” e “UberVan”, guidati da autisti con licenza NCC), sia che si accontenti di un passaggio su un’auto privata (c.d. “UberPop”), dietro “rimborso spese”. Contro Uber spiccano in particolare le accuse di evasione fiscale e abusivismo, per il fatto che questo nuovo soggetto non soggiace ai vincoli normativi di settore: possesso di licenza, limitazioni del numero di veicoli, divieto di personale dipendente, obbligo di stazionamento in rimessa tra una chiamata e l’altra. Ora, pur comprendendo le resistenze di chi detiene un monopolio e preme per auto-preservarsi (magari anche perché l’aver ottenuto la licenza a caro prezzo gli fornisce qualche motivo di comprensibile risentimento), va però detto che, sul lungo periodo, il tentativo di bloccare l’avanzata di tecnologie innovative pare destinato al fallimento. Specie in un contesto ormai globale, e tanto più se in questo modo si finisce probabilmente per danneggiare il consumatore.
Il caso “Uber” dimostra come una proroga possa davvero fare male, ledendo seriamente la certezza del diritto. Evitare di intervenire in modo organico nel settore trasporto non di linea ha significato consentire (anche se temporaneamente, visto l’epilogo di cui si dà conto appena sotto) l’ingresso incontrollato di nuove modalità di offerta del servizio, che hanno portato ad una liberalizzazione de facto, senza alcun bilanciamento degli interessi coinvolti. In questa situazione, infatti, si rischia di perdere tutti, vecchi e nuovi operatori, consumatori: la diffusione di “UberPop” si inserisce nel vuoto e nel disordine legislativo, lasciando che siano, come sempre più spesso accade, le sentenze del giudice a regolamentare il mercato. Vedasi la recente ordinanza del Tribunale di Milano del 25 maggio 2015 che ha inibito l’utilizzo sul territorio nazionale dell’app “Uberpop” e “del servizio –comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso –che organizzi, diffonda e promuova un servizio di trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”.
Ma qual è dunque la morale della storia che si è provato a raccontare? E, soprattutto, quali – se vi sono – i possibili finali?
In proposito è di grande interesse l’intervento dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti [1], che il 21 Maggio scorso ha emesso un “atto di segnalazione a Governo e Parlamento sull’autotrasporto di persone non di linea: taxi, noleggio con conducente e servizi tecnologici per la mobilità (STM)”. L’Autorità non si limita all’analisi dell’esistente, ma si spinge fino a formulare alcune proposte di riforma della legge n. 21 del 15 gennaio 1992, nella versione integrata nel 2009.
L’Authority afferma di aver svolto un’indagine tra gli stakeholders: le associazioni rappresentative degli operatori dei servizi di taxi e NCC, le nuove piattaforme tecnologiche che in vario modo operano nel settore, le associazioni dei consumatori, l’ANCI e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Molto opportuno, dal momento che, come insegnava in una delle sue Prediche inutili Luigi Einaudi - “Conoscere per deliberare” -, conoscere in questo caso significa anche avere chiaro il livello di domanda del servizio (e questo non sempre è avvenuto a livello locale), mentre deliberare vuol dire definire regole organiche per l’intero settore, in modo da bilanciare costi e benefici dell’intervento.
Da tale analisi, oltre che dall’elaborazione dei dati forniti da dieci città capoluogo di Regione e dall’agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma capitale, emerge una “sostanziale staticità nel numero di taxi negli ultimi anni” ed una opacità delle tariffe, composte da una parte fissa e una variabile, che rende difficile la stima anticipata nel prezzo della corsa.
L’Authority ha, d’altra parte, riconosciuto non solo il crescente ruolo delle tecnologie informatiche applicate alla mobilità (STM) - che si sono ritagliate ampi spazi nel mercato della domanda di mobilità non soddisfatta dal trasporto privato o pubblico - ma ha anche evidenziato che tale diffusione ha intercettato la richiesta di servizi di norma meno costosi rispetto a quelli offerti da Taxi e NCC, oltre all’aver favorito effetti deflattivi della circolazione e la riduzione delle emissioni inquinanti.
Ora tra le proposte formulate dall’Autorità - e sull’interessante raffronto tra la disciplina attuale e quella suggerita dall’Autorità - mi preme evidenziare solo alcuni aspetti, che reggono, a mio parere, l’intero impianto della riflessione.
L’Autorità ha proposto innanzitutto una revisione del concetto di territorialità, che non può più intendersi riferito alle realtà locali, ma che va ricondotto ad un bacino d’utenza sovra comunale, stabilito a livello regionale, entro cui commisurare i fabbisogni e stabilire il numero delle licenze consentito. Questo, a mio avviso, ha potenziali effetti ampliativi sui contingenti.
In secondo luogo viene ipotizzata la legittima coesistenza di servizi esercitati in forme giuridiche differenti, mediante l’introduzione di una disciplina per i servizi STM, e distinguendo tra attività commerciali (da ricondurre entro un impianto normativo comprendente specifici requisiti soggettivi, del conducente, ed oggettivi, del tipo di attività) e non commerciali (esercitate sempre con strumenti tecnologici ma in modo non professionale, il tipico caso della condivisione di un percorso in auto, già predeterminato dal conducente, dietro rimborso delle spese vive).
L’Autorità introduce anche la possibilità per tutte le attività di natura commerciale - tassisti, noleggiatori, driver - di avvalersi dei c.d. intermediari (piattaforme telematiche di incontro tra domanda e offerta), ai quali sarebbe attribuita la funzione di controllo sul rispetto dei requisiti degli operatori.
In sintesi, per bilanciare gli interessi degli operatori attualmente sul mercato con quelli dei conducenti di nuova generazione, si propone di assoggettare i driver STM - esercitanti esclusivamente in forma occasionale - ad alcuni vincoli amministrativi, contemporaneamente togliendone di mezzo altri per i taxi - possibilità di esercitare in forma di impresa e di cumulare più licenze - e per gli NCC - bacino allargato e assenza obbligo di rientro in rimessa tra un servizio e l’altro (è chiaro che l’obbligo dello stazionamento in rimessa tra un servizio e l’altro deve per forza di cose venire meno, se si assume che domanda e offerta si incontrino su applicazioni telematiche!).
Condivido la proposta dell’Authority, oltre che con riguardo alla revisione dei bacini di utenza, laddove insiste per l’eliminazione di regole (troppo) restrittive per Taxi e NCC.
Credo d’altra parte che vada regolata nel dettaglio l’effettuazione dei controlli (indispensabile prevedere forme sanzionatorie con seri effetti deterrenti per gli intermediari incaricati della vigilanza), in particolare sui conducenti non professionali, vincolati ad un numero massimo di ore di servizio. In questo senso mi sembra opportuno ricomprendere tutte le tipologie di conducenti in piattaforme comuni, in modo non solo da allargare erga omnes la platea “trasversale” di potenziali utenti, ma anche per incentivare al contempo il controllo incrociato tra operatori.
In ogni caso, i presupposti per una buona regolazione di settore mi sembrano poter essere così individuati:
- l’obbligo per le piattaforme che intermediano domanda e offerta di registrare le ore di servizio e di fornire in maniera trasparente i dati in proprio possesso, visto il rilievo pubblico del settore in cui si opera;
- valutare attentamente le ragioni degli operatori Taxi e NCC, chiarendo fin da subito le “contropartite” per l’uscita da un conveniente monopolio privato.
In proposito, a fronte del probabile deprezzamento del valore della licenza, in caso di (anche parziale) apertura del mercato, c’è chi propone di compensare la perdita economica attraverso il contestuale rilascio agli esercenti di licenze alienabili, a titolo di “risarcimento”. L’ipotesi non è campata in aria a patto che si proceda ad una revisione dei fabbisogni che allarghi la torta. E’ vero infatti che una tale misura, per avere senso e risultare allettante, deve essere attuata mantenendo in essere i contingentamenti; del resto, come si è visto nelle proposte dell’Autorità, questi ultimi non sarebbero destinati a scomparire, ergo, aggiungo, i conducenti di nuova generazione potrebbero costituire un potenziale bacino d’interesse per i titolari di doppia licenza disposti a cederla, lasciando solo a chi voglia esercitare in modo occasionale l’onere di soggiacere al vincolo delle ore massime di servizio.
Dovrà essere chiaro che verranno imposti a tutti gli operatori sul mercato:
- vincoli fiscali (rilascio ricevuta a fine corsa, compresi i driver di UberPop)
- - requisiti soggettivi (controllo di regolarità delle patenti dei conducenti con divieti ed esclusioni all’esercizio dell’attività per precedenti penali rilevanti);
- - requisiti oggettivi (assicurazione RC in regola, con massimali adeguati).
In ogni caso, è opinione comune che le regole del settore siano diventate anacronistiche e troppo penalizzanti per gli operatori. Partendo da questo assunto, anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha di recente auspicato “una nuova regolamentazione su Uber e sulle nuove App digitali per il trasporto urbano” "e sollecitato, a tutela della concorrenza e degli utenti, " “una maggiore facilità di fruizione del servizio di mobilità, una migliore copertura di una domanda spesso insoddisfatta, una conseguente riduzione dei costi per l l'’utenza e, nella misura in cui si disincentiva l’uso del mezzo privato, un decongestionamento del traffico urbano”.
Che altro dire ancora?
Molto avrebbe a che fare con il coraggio di liberalizzare, che sembra mancare ad un legislatore che mostra troppo spesso un cronico ritardo nell’adeguarsi alle evoluzioni sociali ed una certa timidezza nel trattare con lobby agguerrite.
Si può liberalizzare, anche e soprattutto, non azzerando le regole, ma creandone di nuove e più semplici da rispettare, che contribuiscano ad innalzare la qualità dei servizi, riducendone il prezzo. In questo caso si tratta di allargare la platea di utenti dei mezzi pubblici e dei taxi, favorendo la mobilità delle persone, e, perché no, incentivando un uso condiviso, e dunque più sostenibile, dei troppo numerosi mezzi di trasporto privati, a beneficio della nostra salute. Magari – aggiungo io – sarebbe importante intervenire al più presto anche per favorire forme dinamiche di lavoro per giovani e disoccupati, in un contesto economico “precario” come quello attuale.
Solo pochi anni fa le cc.dd. “riforme Bersani” aprirono al mercato il settore delle attività commerciali (decreto legislativo n. 114/1998) e le attività di somministrazione di alimenti e bevande (legge n. 248/2006), eliminando contingenti, distanze minime e quote di mercato predefinite, seppure subordinando l’esercizio dell’attività a requisiti professionali ed igienico sanitari. Per esperienza diretta posso dire, che dopo quell’intervento, tali attività sono cresciute nel numero costantemente, per attestarsi su livelli numerici fisiologicamente tollerati dal libero mercato, ed elevando, grazie alle intrinseche virtù della concorrenza, i propri standard qualitativi, a tutto vantaggio del consumatore.
Immagino che sarebbe ragionevole aspettarsi altrettanto dal settore del trasporto pubblico non di linea, ma per scoprirlo sembra che dovremo aspettare fino al 31 dicembre 2016.
(24 febbraio 2016)