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ISSN 2532-8913

L’importanza della giustizia amministrativa (di Sergio Fidanzia)

 

Premessa

 

Abolire la giustizia amministrativa è intento che ciclicamente viene riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica, sia a seguito di laconiche dichiarazioni politiche, sia per la presentazione alle Camere di disegni di legge che si prefiggono tale obiettivo[1].

 

In questa breve trattazione, prescindendo da sterili polemiche, si vuole esaminare la correttezza di un tale intervento e, per fare questo, pare necessario anzitutto chiedersi se l’abolizione della magistratura amministrativa comporterebbe effettivamente un beneficio al sistema della tutela del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione.

 

 

In sostanza -  sia consentito di parafrasare una celebre citazione - non è necessario tanto chiedersi cosa possiamo fare noi per la giustizia amministrativa, quanto cosa la magistratura amministrativa ha fatto, e continua a fare, per la tutela degli interessi pubblici e privati.

 

Ebbene, per questo motivo non può prescindersi dal ripercorrere la storia della giustizia amministrativa. Solo dopo aver ricordato il passato saremo in grado di valutare l’effettività della tutela presente offerta dal giudice amministrativo, nonché ipotizzare cosa accadrebbe nel caso di una futura abolizione del giudice amministrativo. Per fare questo occorre porre particolare attenzione alla giurisprudenza: il giudice amministrativo, infatti, ha sempre svolto una funzione creatrice[2], più che interpretatrice, della legge, anticipando, e spesso prescindendo, dall’intervento del legislatore. La storia della giustizia amministrativa, in effetti, può essere ben riassunta come una costante tensione verso l’affermazione dei propri principi, nati nelle stesse pronunce del giudice amministrativo[3] e disciplinati espressamente dal legislatore con il Codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010) [4].

 

 

La genesi storica

 

Cominciamo dunque col dire che la giustizia amministrativa italiana non è capriccio degli ultimi decenni, ma è stata accolta in Italia sin dall’epoca napoleonica, sul modello di contenzioso francese. Abolita quasi ovunque con la Restaurazione, la giurisdizione amministrativa era stata reintrodotta in quasi tutti gli Stati italiani già prima del 1848.

 

In particolare, l’attuale sistema di contenzioso è nato nel Regno di Sardegna con l’editto dell’agosto 1831, con il quale re Carlo Alberto istituì il Consiglio di Stato, con funzioni consultive. I poteri del Consiglio di Stato, articolato in tre sezioni, crebbero progressivamente, dapprima prevedendo un parere obbligatorio per una serie di atti e, successivamente, dal 1842, introducendo un vero e proprio contenzioso.

 

Sin dalle origini della giurisdizione amministrativa, però, numerose furono le voci ad essa contrarie[5], prevalentemente per due ordini di ragioni: il timore che un giudice diverso si risolvesse in un giudizio a favore dell’Amministrazione e la difficoltà nel porre confini certi e definiti tra le due giurisdizioni[6].

 

Subito dopo l’Unità d’Italia, il dibattito raggiunse il suo culmine con l’approvazione della legge del 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E (c.d. legge di abolizione del contenzioso amministrativo), il cui articolo 1 disponeva la soppressione dei giudici ordinari del contenzioso amministrativo.

 

La legge estendeva la cognizione del giudice ordinario a tutte le questioni relative a “diritti civili e politici”; nelle altre materie, invece, la tutela del cittadino era risolta all’interno dell’Amministrazione con ricorso gerarchico (c.d. “limiti esterni” alla giurisdizione civile). La risoluzione di eventuali conflitti di giurisdizione spettava al Consiglio di Stato.

 

Permanevano nelle controversie innanzi al giudice ordinario ragioni di specialità dell’Amministrazione: il giudice, infatti, poteva sindacare la sola legittimità dell’atto amministrativo e procedere unicamente alla disapplicazione di quest’ultimo (c.d. “limiti interni”).

 

Risultando il confine tra le due tutele poco chiaro, l’abolizione del contenzioso amministrativo provocò un immediato affievolimento della tutela per i privati[7], che non si risolse neppure con l’attribuzione della competenza a risolvere i conflitti di giurisdizione alla Corte di Cassazione (legge del 31 marzo 1877, n. 3761).

 

Il legislatore, dunque, con la legge del 31 marzo 1889 n. 5992, istituì la IV Sezione del Consiglio di Stato, competente a decidere sui ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione della legge, contro gli atti e provvedimenti dell’Amministrazione.

 

La giustizia amministrativa vedeva nuovamente la luce.

 

Dalla fine del XIX secolo ad oggi, la struttura della giustizia amministrativa si è ampliata notevolmente, dapprima con l’istituzione di nuove sezioni del Consiglio di Stato e, successivamente, con la creazione dei Tribunali Amministrativi Regionali[8].

 

A partire dalla costituzione della IV Sezione, la giurisprudenza amministrativa, in un processo costitutivo della stessa situazione giuridica tutelata, ha definito l’interesse legittimo e creato una tutela, sempre più piena, celere ed effettiva, da accordargli. Attraverso una lettura “conforme ai tempi” dei principi del processo amministrativo, infatti, i giudici hanno elevato lo standard di tutela non solo degli interessi legittimi dei privati, ma anche, nei casi di loro giurisdizione, dei loro diritti soggettivi; anzi, l’approccio “sostanziale” della giurisprudenza amministrativa si è rilevato nel tempo ancor più penetrante quando si controverte di diritti fondamentali e di materie rilevanti per i settori nevralgici dell’economia dello Stato, nei quali la tutela viene assicurata in tempi rapidissimi[9].

 

Il giudice amministrativo, dunque, inizialmente competente nel valutare la sola legittimità dell’atto amministrativo, ha progressivamente esteso il proprio sindacato fino a giudicare, in alcuni casi, sulla concreta spettanza del bene della vita cui il ricorrente aspira.

 

 

Alcune storiche decisioni della giustizia amministrativa … fino ai giorni nostri …

 

Tale rivoluzione è testimoniata da alcune delle pronunce storiche della giustizia amministrativa che, sin dalla sua creazione, ha posto al centro del proprio sindacato l’interesse – oltre dell’Amministrazione – del privato, perseguendo il raggiungimento del bene finale cui egli aspira, tanto individualmente (cfr. Ad. Plen., sentenza dell’8 aprile 1983, n. 8[10]), quanto collettivamente (cfr. Sez. V, sentenza del 29 dicembre 1950, n. 1335, Sez. V, sentenza del 9 marzo 1973, n. 253 e Ad. Plen., sentenza del 28 maggio 1979, n. 24[11]).

 

Sono indici di tale intento l’apertura alla valutazione della ragionevolezza dell’azione amministrativa[12] e la garanzia al privato di una piena tutela in materia di accesso[13], nonché l’evoluzione del ricorso avverso il silenzio, azione dalle tempistiche celeri e di creazione giurisprudenziale[14]. In tale ambito, il giudice, dalla sola affermazione della sussistenza dell’obbligo a rispondere, può oggi, a determinate condizioni[15], condannare l’Amministrazione ad adempiere in modo specifico, riconoscendo al privato una soddisfazione piena. Ugualmente è avvenuto per il giudizio cautelare, che, dalla mera sospensione dell’atto, è giunto a concedere provvisoriamente al ricorrente il bene della vita cui aspira[16].

 

Infine, dimostrazione lampante dell’impegno del giudice amministrativo verso il raggiungimento di una tutela piena, rapida ed effettiva è la giurisprudenza sulla sindacabilità della discrezionalità tecnica amministrativa, nella quale da un mero sindacato esterno della sola attendibilità e ragionevolezza dell’applicazione della norma tecnica da parte dell’Amministrazione, si è pervenuti ad uno intrinseco anche sull’opinabilità (Sez. IV, sentenza del 9 aprile 1999, n. 601).

 

Il giudice amministrativo, dunque, deve essere considerato parimenti idoneo rispetto al giudice ordinario a conoscere di questioni relative alle posizioni soggettive dei privati. Tale affermazione è condivisa dalla Corte costituzionale, che ha individuato l’esistenza di un “principio fondamentale dell’ordinamento, il quale riconosce bensì l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze, una più adeguata risposta alla domanda di giustizia” (Corte Cost., sentenza del 5 marzo 2007, n. 77).

 

Negli ultimi anni, l’intervento del giudice amministrativo a tutela dei diritti soggettivi si è reso ancor più necessario. Lo stato di incertezza delle leggi e il proliferare delle fonti, infatti, hanno rafforzato il ruolo del giudice quale tutore delle situazioni soggettive dei cittadini. Vediamone alcuni casi emblematici.

 

Mentre il Parlamento discuteva – tuttora senza risultati – di una legge sul testamento biologico, per esempio, la giustizia amministrativa ha provveduto in materia di autodeterminazione medica. Confermando la sentenza di primo grado (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, sentenza n. 214/2009), il Consiglio di Stato ha affermato che, essendo “il singolo paziente … il valore primo ed ultimo che l’intervento medico deve salvaguardare”, le cure mediche non devono essere imposte, ma accompagnate da un consenso informato del paziente (Sez. III, sentenza del 2 settembre 2014, n. 4460).

 

Sempre in ambito di diritto alla salute, il giudice amministrativo ha eliminato le disparità di trattamento contenute nel Sistema Sanitario Nazionale in materia di fecondazione assistita (Sez. III, sentenza n. 3297/2016) e di cure di malattie degenerative (Sez. III, sentenza del 10 giugno 2016, n. 2501)[17].

 

La giustizia amministrativa si è nel tempo occupata anche dei diritti dello straniero, assicurando a quest’ultimo cure necessarie ed urgenti anche se privo di permesso di soggiorno (Sez. III, sentenza del 27 ottobre 2014, n. 5328).

 

Il giudice amministrativo ha prestato la propria tutela anche a quei coniugi dello stesso sesso che, dopo aver contratto matrimonio all’estero, si erano visti annullare dal Prefetto le trascrizioni compiute dal Sindaco del Comune di residenza (Sez. III, sentenza del 1 dicembre 2016, n. 5047).

 

Anche gli interessi diffusi continuano ad essere oggetto di tutela da parte del giudice amministrativo, che, in tema di tutela dell’ambiente, ha definito la portata del principio di precauzione di derivazione europea. Con tale principio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ritiene che, qualora vi siano minacce di danno serio o irreversibile per l’ambiente, l’assenza di certezze scientifiche non deve impedire l’azione di misure di prevenzione[18]. Sulla base di tale assunto, il Consiglio di Stato ha affermato che, sebbene l’Amministrazione non possa imporre attività di risanamento e recupero ai soggetti che non abbiano responsabilità nell’eventuale danno, “per altro verso la messa in sicurezza del sito costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra pertanto nel genus delle precauzioni … che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possono scaturire danni all’ambiente” (Sez. V, sentenza dell’8 marzo 2017, n. 1089).

 

Infine, il giudice amministrativo accorda una tutela piena anche in quei procedimenti per loro natura celeri, quale quello elettorale, bilanciando l’esigenza di apprestare una tutela effettiva dei diritti del ricorrente con quella di garantire la stabilità e la continuità dell’esito elettorale. In tali ricorsi, oltre ai tempi accelerati, la “specificità dei motivi del ricorso” e “l’indicazione dei mezzi di prova” sono intesi in modo attenuato per l’impossibilità, il più delle volte, di reperire il materiale in contestazione (Ad. Plen., sentenza del 20 novembre 2014, n. 5328).

 

Quanto detto conferma che il giudice amministrativo è divenuto “non solo giudice del potere ma giudice del rapporto di questo potere con la società nel suo complesso[19], da giudice dell’atto, dunque, a giudice del rapporto tra privato e Pubblica Amministrazione.

 

 

L’esperienza nei paesi europei

 

Tale ruolo è ben presente anche in diversi paesi europei che mantengono e consolidano le corti amministrative nel proprio sistema di giustizia.

 

In Austria, per esempio, dal 2013 oltre ai già esistenti organi giurisdizionali amministrativi a livello federale, sono stati istituiti tribunali amministrativi anche nei singoli Lander. In Germania, il legislatore, lasciando invariato sistema di giustizia amministrativa articolato in tre gradi, negli ultimi anni è intervenuto in materia al solo scopo di snellire il processo.

 

Anche in Ungheria l’intenzione del legislatore è stata quella di rafforzare la giustizia amministrativa: le riforme costituzionali del 2013, infatti, hanno istituito venti corti amministrative su base regionale, accessibili dopo che siano stati esperiti i rimedi interni amministrativi.

 

Particolare è poi il caso dell’ordinamento inglese, da sempre contrario alla creazione di un giudice amministrativo[20]. A seguito di un’intensa attività legislativa in senso sociale a partire dagli anni tra le due guerre mondiali, sono stati istituiti special tribunals, la cui importanza per numero e per competenze è cresciuta nel tempo. Questi organi, estranei al sistema di corti ordinarie, sono caratterizzati da una maggiore accessibilità, minori costi e minore durata dei procedimenti. Dal 2007, anno di adozione del Tribunals, Courts and Enforcement Act, anche nel paese di common law per eccellenza si può dunque palare di un vero e proprio sistema di giustizia amministrativa.

 

La permanenza del giudice amministrativo, del resto, è necessaria anche a livello europeo. Nello specifico, il giudice amministrativo assume un ruolo centrale nel dialogo tra le Corti, tramite il ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea[21], che consente ad una giurisdizione nazionale di interrogare la Corte in ordine all’interpretazione o alla validità del diritto europeo nell’ambito di un contenzioso. L’uniforme applicazione del diritto amministrativo dell’Unione europea, infatti, non può che passare anche dal raccordo tra le Corti amministrative d’Europa dei Paesi membri.

 

 

Conclusioni

 

In definitiva, le “colpe” imputate alla giustizia amministrativa appaiono per lo più ascrivibili, in realtà, al legislatore. La giustizia amministrativa, al contrario, tenta di porre rimedio all’incertezza del diritto: dovrebbe quindi più correttamente auspicarsi un rafforzamento del ruolo del giudice amministrativo, per consolidarne la funzione di “costruttore del diritto a tutela del cittadino[22].

 

D’altra parte, bisogna considerare che, seppure la giustizia amministrativa fosse abolita, ne permarrebbe in ogni caso la funzione, che dovrebbe essere esercitata in altra sede. In tal caso – come logicamente prevedibile – sarebbe il giudice ordinario a doversene occupare, con i suoi tempi (di regola più lunghi) e con le sue competenze[23].

 

Da quanto detto, appare evidente come non vi siano valide giustificazioni per sostenere la soppressione del giudice amministrativo che, invece, assicura una tutela piena al cittadino, perseguendo al contempo l’interesse pubblico.

 

Il problema, riportando le parole del Presidente del Consiglio di Stato, è che “talvolta si confonde il medico con la malattia. Si pensa che sia meglio intervenire sulla giustizia amministrativa, mentre la malattia sta soprattutto nella complicazione delle leggi, nella loro farraginosità, nella mancanza di qualità dell’amministrazione e talvolta nella difficoltà delle imprese ad accettare le regole di concorrenza degli appalti. Queste sono le vere patologie che andrebbero curate a monte[24].

 

Si vuole quindi concludere ponendo una domanda: la storia testimonia a favore della giustizia amministrativa, perché ignorarne gli insegnamenti?

 

 

(28 luglio 2017)


 

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[1] Da ultimo, la proposta di legge costituzionale n. 4162 presentata alla Camera dei Deputati il 5 dicembre 2016, rubricata “Abrogazione degli articoli 103, primo comma, e 125 e modifiche agli articoli 100, 111 e 113 della Costituzione. Soppressione della magistratura amministrativa”.

[2] Come correttamente osserva Giovagnoli, “Non può essere disconosciuto, infatti, che, ancor prima, e anche a prescindere dai recenti interventi legislativi, il giudice amministrativo sia riuscito, attraverso una giurisprudenza meritoria e progressista, ad assicurare al privato una tutela piena nei confronti dell’Amministrazione, anche in un sistema ispirato alla tipicità delle azioni e connotato dalla centralità di annullamento” (GIOVAGNOLI, R., Effettività della tutela e atipicità delle azioni nel processo amministrativo, Relazione tenuta al Convegno “Giustizia amministrativa e crisi economica”, Roma, Palazzo Spada, 25-26 settembre 2013, in www.giustamm.it).

[3] Il principio del giusto processo trova una delle sue prime affermazioni nella sentenza del Consiglio di Stato n. 423 del 1895, nella quale si legge che è “principio di eterna giustizia informato al sacro diritto della difesa di non potersi infliggere una pena senza sentire l’accusato”. Anche l’obbligo di motivazione ha origini antiche: nella sentenza del Consiglio di Stato n. 178 del 1907 si legge che “la motivazione è ragione del giudizio di merito”.

[4] Il principio di effettività (art. 1), secondo il quale il giudice deve assicurare “una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”, il principio del giusto processo (art. 2), che prevede che “il processo amministrativo attua i principi della parità delle armi, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’art. 111, primo comma della Costituzione” e che “il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo” e il dovere di motivazione e sinteticità degli atti, ovvero che “ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato” e che “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera sintetica secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”.

[5] Il giurista Pasquale Stanislao Mancini, nel suo discorso alle Camere del giugno 1864, definì il contenzioso amministrativo “instrumento del dispotismo” (SCHINAIA, M. E. (2014), Giustizia amministrativa, Diritto on line, Enciclopedia Treccani).

[6] Le stesse motivazioni che, in parte, fondano l’attuale campagna a favore dell’abolizione del contenzioso amministrativo. Inoltre, al giudice amministrativo vengono imputate le lungaggini di concorsi, esami e gare, spesso sospesi a seguito di ricorsi dei partecipanti (RIZZO, S. (2017) Il Paese dei concorsi infiniti: 100 milioni al mese di spesa e ricorsi sempre in agguato, 4 luglio 2017, su Repubblica.it). Chi muove tali rimproveri forse dimentica però che il diritto a ricorrere è costituzionalmente garantito (art. 24): la soluzione più corretta in questa (distorta) prospettiva, allora, non sarebbe l’abolizione del giudice amministrativo, ma la preclusione ai privati di far valere i propri diritti.

[7] L’abolizione del contenzioso amministrativo portò alla paradossale situazione di una minore tutela per il cittadino, dal momento che, in concreto, la giurisdizione del giudice ordinario trovava applicazione solo per gli atti di gestione e non per quelli d’imperio dell’Amministrazione. Silvio Spaventa, in un celeberrimo discorso del 7 maggio 1890, sostenne l’imprescindibile esigenza del ritorno ad una giustizia nell’amministrazione.

[8] Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, articolo 4, a tenore del quale “… la competenza spetta ai tribunali amministrativi regionali per i ricorsi aventi ad oggetto diritti ed interessi di persone fisiche o giuridiche, la cui tutela non sia attribuita all’autorità giudiziaria ordinaria, o ad altri organi di giurisdizione”. Tali organi, cui è affidata competenza generale di primo grado, sono espressamente menzionati nell’articolo 125 della Costituzione come novellato dalla riforma del 2001, a tenore del quale “nella Regione sono istituiti organi di giustizia di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione”.

[9] L’articolo 119 del Codice del processo amministrativo, infatti, dimezza i termini giudiziari per le controversie relative agli appalti pubblici, ai provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti, alle procedure di privatizzazione, dismissione di imprese o beni pubblici, ai provvedimenti adottati nell'esercizio dei poteri speciali inerenti alle attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, ai provvedimenti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive, ecc.

Si consideri che nel solo 2016 sono stati definiti ben 9.858 ricorsi, di cui 2.743 con ordinanza cautelare, con enorme risparmio di tempo e risorse per l’intero sistema.

[10] Il giudice amministrativo afferma che, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma attributiva del potere, l’atto amministrativo su di essa basato deve essere annullato. Le soluzioni adottate fino a quel momento, infatti (quali la cessazione della materia del contendere o l’inammissibilità del ricorso) non attribuivano al privato il bene finale cui egli aspirava.

[11] Sin dal 1950, infatti, sono stati delineati i c.d. interessi diffusi ed è stata riconosciuta la legittimità a ricorrere per la loro tutela in capo a quelle associazioni che ne siano enti esponenziali.

[12] Il Consiglio di Stato ritiene che il sindacato di legittimità includa la valutazione “anche di soluzioni diverse e lascia spazio ad ogni possibile critica del merito politico-amministrativo” (Ad. Plen., sentenza del 6 febbraio 1993, n. 3).

[13] La sentenza dell’Adunanza Plenaria del 22 aprile 1999, n. 4, afferma che l’istituto trova applicazione nei confronti di ogni tipologia di attività della Pubblica Amministrazione.

[14] Già nell’Adunanza Plenaria del 10 marzo 1978 n. 10 si legge come “Il problema del silenzio nella giustizia amministrativa … è stato oggetto di una evoluzione particolarmente intensa, iniziatasi con la stessa creazione della giurisdizione amministrativa poiché è stata il frutto, più che di precise scelte legislative, di una intensa opera di studio e di approfondimento condotta in sede giurisprudenziale e dottrinale”.

[15] Ai sensi dell’articolo 31, comma 3, del Codice del processo amministrativo “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione”.

[16] Già dal 1983, il Consiglio di Stato (Ad. Plen., ordinanza del 1 giugno, n. 14), ha riconosciuto la funzione anticipatoria del giudizio cautelare, che, nelle more della definizione del merito del giudizio, può concedere al privato il bene della vita per il quale si ricorre (p.e. in materia di gare, concorsi pubblici ed esami, nelle quali si ordina l’ammissione con riserva). Si parla in questi casi di ordinanze propulsive (tipiche quelle che impongono all’Amministrazione di riesaminare il provvedimento amministrativo, tenendo conto dei criteri adottati dal giudice amministrativo nella motivazione dell’ordinanza, c.d. remand).

[17] Nel primo caso, il giudice ha ritenuto discriminatorio prevedere la fecondazione assistita omologa, e non quella eterologa, tra le prestazioni finanziate dal Sistema Sanitario Nazionale; ugualmente irragionevole è stata dichiarata nella seconda sentenza l’esclusione dalle prestazioni erogate di cinque patologie affini alla SLA, che vi era invece inclusa.

[18] Cfr ex multis, CGUE, sentenza del 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito/Commissione e sentenza del 21 marzo 2000, C-6/99, Association Greenpeace France e a./Ministère de l'Agriculture et de la Pêche e a.

[19] PAJNO, A., Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2017, Roma, Palazzo Spada, 31 gennaio 2017.

[20] Secondo le idee del costituzionalista Dicey (fine XIX – inizio XX), il diritto amministrativo non può trovare spazio nell’ordinamento inglese, perché contrastante con il principio fondamentale della rule of law.

[21] Nasce da rinvio pregiudiziale del Tar Lombardia, per esempio, la sentenza del 22 giugno 1989, – Fratelli Costanzo –, nella quale la Corte di Giustizia afferma chiaramente l’efficacia diretta delle direttive europee in senso verticale.

[22] PESCE, G. (2012), L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato e il vincolo del precedente, Editoriale scientifica, Napoli.

[23] Dovrebbe infatti prevedersi una specifica preparazione del magistrato, oltre che ad una riorganizzazione dell’intero sistema, per assicurare quella celerità cui il nostro ordinamento, anche per indicazione dell’Unione europea, aspira.

[24] PAJNO, A. (2017), Il Tar è una garanzia, certe sentenze sono colpa dei politici, 31 maggio 2017, Repubblica.it.

 

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