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ISSN 2532-8913

Liberi da interessi. Ancora sul “macigno” del debito pubblico (di Stefano Borghi)

In un precedente numero de Il Merito. Pratica per lo sviluppo ho voluto incontrare e intervistare Carlo Giordano e Luca Giovanni Piccione, Autori di Liberi da interessi (ed. Dissensi, 2016), un libro che guarda al problema del debito pubblico in maniera eterodossa, per stile (un libro in forma di racconto) e contenuti (qui l'intervista).

Rileggendo quel primo dialogo ho pensato però che non tutto era stato detto e che valesse forse la pena sottoporre alla eretica visione degli Autori alcune delle principali questioni in materia di debito.

    1. Prima di affrontare la questione– debito, una curiosità: nella vostra precedente intervista per Il Merito. Pratica per lo sviluppo avete accennato ad alcune positive esperienze di microcredito informale. Di cosa si tratta esattamente?

Tecnicamente si tratta delle cosiddette Comunità Auto Finanziate (il progetto arriva dalla Spagna ed è stato premiato dalla Fondazione Giordano Dell’Amore).

Gruppi piccoli ed informali dove è possibile sperimentare, in un ambiente definito e trasparente, il sistema del credito, toccando con mano in scala estremamente ridotta le implicazioni e le responsabilità delle banche e degli organismi di controllo. Sono "giochi per grandi" dove è però possibile intuire la fatica e la responsabilità di chi lavora nel sistema del credito, servono a creare consapevolezza e a intravvedere nuove strade. Gli stimoli maggiori vengono proprio dalle domande che ci si pone nello stabilire le regole: cosa finanziare, che priorità dare, cosa controllare, come garantire, come comunicare. Possiamo definire positive queste esperienze perché anno dopo anno si sono evolute e, anche tenendo gli interessi a zero, hanno fatto crescere molto le persone. Soprattutto in termini di consapevolezza: curare la circolazione del denaro o in generale della ricchezza richiede attenzione, presenza, metodo. Tutti hanno partecipato alla redazione delle regole, se chiedere o meno interessi, in che misura e con quali priorità dare credito, come comportarsi sul piano delle garanzie. Oltre che un esercizio economico e finanziario è un esercizio di pensiero, di creatività e di qualità umane. Possiamo quindi dire quindi che queste piccole esperienze hanno comunque creato ricchezza.

    1. Ma veniamo al debito. Partiamo da una premessa: il debito, di per sé, non è né buono né cattivo. Se viene accumulato per investimenti in capitale umano, in infrastrutture o innovazioni tecnologiche esso genera i presupposti per la sua sostenibilità e riduzione, non appena gli investimenti generano i frutti attesi; se, invece, serve per spese correnti, agevolazioni, incentivi a pioggia, il rischio è di avvitarsi in una spirale senza fine dove debito porta solo altro debito, e non crescita. La strada seguita in Italia pare, ahimè, la seconda …

Corretto, ma purtroppo la nostra realtà non è più quella degli anni in cui con il debito pubblico si comprava il consenso politico. E’ un fenomeno che esiste ancora, ma si è ridimensionato (e, forse, è anche un po’ merito dell’Europa). Da un punto di vista strettamente contabile, gli ultimi venti anni di storia del nostro bilancio statale hanno registrato un costante avanzo primario, quindi le tasse percepite sono state superiori ai costi dei servizi erogati. Nonostante ciò il nostro debito pubblico ha continuato a crescere. Matematicamente tale fenomeno può essere stato causato solo da quel tipo di spesa che non si traduce in servizi ma in pura rendita: la spesa per interessi. E’ sicuramente vero che le agevolazioni e gli incentivi improduttivi e non volti a ridurre le disuguaglianze sociali sono da combattere fino alla loro completa eliminazione, ma gli spazi di manovra in tal senso si sono, nel tempo, ridotti. Spazi che, per usare un eufemismo, la plutocrazia finanziaria ha gentilmente concesso agli Stati. E’ sul fronte della rendita finanziaria che la classe dominante, l’èlite finanziaria, non è disposta a fare nessuna concessione (evitando così "l’eutanasia del redditiero" descritta da Keynes). Ed è proprio questo il fronte che noi abbiamo aperto e per il quale auspichiamo un forte intervento politico, magari preceduto da un atto concreto personale immediato da parte di ogni rappresentante delle istituzioni. In una delle nostre prossime azioni chiederemo ad ogni singolo rappresentante delle istituzioni di annunciare il suo impegno alla sottoscrizione di una quota della prima emissione a tasso zero volontario dello Stato italiano. Le elezioni si avvicinano e vogliamo dare a tutti la possibilità di dimostrare che sono "liberi da interessi".

    1. Ha senso, a vostro avviso, la proposta del presidente di Bundesbank Weidmann, che si muove nell’ottica del "rigore tedesco", di privare la Commissione europea del margine di discrezionalità di cui ha sempre goduto e "trasferire i compiti di vigilanza sul bilancio e di verifica delle regole in capo a una autorità indipendente"?

Il bilancio dello Stato è un atto politico, ancora prima di essere un atto economico. Come atto economico è volto a salvaguardare la stabilità finanziaria di una nazione. Come atto politico è volto a garantire le giuste priorità, anteponendo la dignità del proprio popolo a qualsiasi altra esigenza, ma sempre nel pieno rispetto degli altri. Quando si fa un debito si fa una promessa. Quando si fa un debito finanziario si fa una promessa di lavoro. I debiti presenti nel bilancio di uno Stato sono quindi la promessa che lo Stato ha fatto, in nome e per conto dei propri cittadini, sul contributo, in termini di conoscenza, di capacità, di impegno, di tempo, che i propri cittadini metteranno a disposizione di altri cittadini, del proprio stesso Stato o di altri Stati.

Le promesse vanno onorate, indipendentemente dall’esistenza di un organo di controllo che ne verifichi il corretto adempimento. Le promesse sono un valore da preservare, in qualsiasi società degna di questo nome.

Ma in un contesto come quello contemporaneo, in cui, grazie alla ideologia finanziaria dominante, l’unico valore riconosciuto è quello secondo cui è possibile misurare con il denaro (il maledetto principio di utilità, che pone come "fine" ultimo l’accrescimento, per sua natura infinito, della ricchezza) è inevitabile affidare ad un organo di controllo il rispetto delle promesse. Ciò che auspichiamo è che tale organo di controllo non sia né la Commissione Europea, né una agenzia di rating, né una società di revisione, né qualsiasi altro ente o istituzione che anteponga i numeri all’essere umano.

  • Per alcuni, più che al rapporto debito/PIL, bisognerebbe guardare a quello debito/ricchezza del paese. Ma poiché gli investitori guardano essenzialmente alla capacità di ripagare il debito, la pressione fiscale italiana, già elevatissima e quindi non aumentabile, e l’incapacità (politica) di tassare la casa (la tassa "meno amata dagli italiani") fanno si che, anche prendendo a riferimento la ricchezza complessiva, non siamo messi molto bene.

Debito e ricchezza sono le due facce della stessa moneta. Il problema, pandemico, è che questa è una moneta molto strana. La faccia che raffigura il debito è nelle tasche di un sempre maggior numero di cittadini, quella che raffigura la ricchezza si concentra sempre di più nei forzieri di sempre meno entità. E sono proprio queste entità a fissare le regole. Ecco perché ci hanno sempre raccontato che è con il reddito che si deve ripagare il debito (che per i meccanismi discussi in precedenza non potrà mai essere ripagato).

Reddito vuol dire lavoro, lavoro vuol dire controllo su chi possiede la propria forza intellettuale e fisica come risorsa economica principale. Il lavoro è tendenzialmente stanziale, la ricchezza è sempre di più apolide. In natura e nella nostra storia è sempre stato più facile colpire chi, perché stanco o incatenato, non si muove.

  • Quanto può incidere nella riduzione della spesa la drastica diminuzione del numero delle società partecipate su cui si è recentemente legiferato?

Dopo una sequenza infinita di parole, di concetti, di riflessioni, di speranze, vorremmo rispondere a questa domanda con un asettico calcolo matematico, da leggere sempre nella nostra prospettiva.

Risparmio totale stimato: dai 2 ai 3 miliardi di euro all’anno: lo 0,1% del nostro debito pubblico, meno di tre settimane di interessi annui sul debito pubblico (considerando che, grazie alla BCE, gli interessi pagati nel 2016 sono stati 68 miliardi di euro).

I dati cui qui di seguito facciamo riferimento sono stati presentati il 1° settembre 2014, all’interno del programma di razionalizzazione delle partecipate locali, nell’ambito degli interventi del Commissario Straordinario per la revisione della spesa. Ebbene, le partecipate locali sono 8.000, di cui 1.250 non operative. Le 6.750 partecipate possono ridursi di 800 unità per effetto della estensione del divieto di partecipazioni indirette ai servizi pubblici privi di rilevanza economica; altre 900 partecipate possono essere chiuse perché ad una certa data avevano dimensioni ridotte in termini di fatturato e/o dipendenti. Ne restano 5.050. Si possono ridurre ulteriormente a 4.050 applicando il divieto di partecipare in società in cui il "pubblico", nel suo complesso, non raggiunga almeno una quota del 10 percento; una ulteriore riduzione di 650 unità deriva poi dal vincolo di detenzione da parte dei comuni in cui la popolazione totale non raggiunge i 30.000 abitanti. Le 3.400 restanti possono ancora scendere a 3.000 applicando varie misure sui servizi a rete. La limitazione dei settori di attività per cui la semplice delibera da parte dell’amministrazione controllante è sufficiente a rendere possibile il mantenimento di una partecipata riduce il totale di altre 1.350 unità. Le 1.650 superstiti vengono quindi ridotte a 1.000 applicando altre misure suggerite all’interno del citato programma di razionalizzazione. L’obiettivo di distrarre le masse (e non solo) è stato, ancora una volta, raggiunto. L’effetto anestetizzante dell’ideologia della finanza continua.

Cari Carlo e Luca sicuramente il vostro è un modo originale per approcciare le criticità del problema del debito pubblico; sarei molto curioso di approfondire le implicazioni sul medio/lungo periodo se la politica economica che suggerite dovesse essere applicata. Il problema della coesione sociale e della sostenibilità dell’attuale sistema economico è materia di continuo dibattito e le evidenze che giornalmente emergono non sembrano andare nella giusta direzione. Proporre, come fate voi, un modello basato sull’etica e la cooperazione sociale , con l’obiettivo di prestare attenzione verso le generazioni future, non può che suscitare interesse. E sarebbe bello poter sviluppare un dibattito, franco e libero, su questi temi anche all’interno del mondo accademico.

Vi ringrazio del tempo che ci avete dedicato e spero sinceramente ti tornare a parlare presto con voi di queste tematiche.

 

29 marzo 2017

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