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ISSN 2532-8913

REMIT: difficoltà connesse all’attività di reporting, best practices aziendali e primi casi di possibili abusi (di Rosaria Arancio)

La disciplina introdotta dal Regolamento (UE) n. 1227/2011 (Regulation on Energy Market Integrity and Transparency, “REMIT”) riguarda essenzialmente l’abuso di mercato e gli strumenti posti a prevenzione di tali abusi.

 

Lo scopo del REMIT è quello di accrescere la fiducia di operatori e consumatori nella integrità dei mercati dell’elettricità e del gas e di assicurare che i prezzi dei mercati all’ingrosso riflettano una leale e concorrenziale interazione tra offerta e domanda.

Si tratta di obiettivi ambiziosi, in linea con il disegno di un mercato europeo dell’energia perfettamente integrato e concorrenziale che ancora sembra un miraggio regolatorio nonostante i numerosi passi compiuti verso l’omogeneizzazione della struttura e disciplina dei mercati nazionali.

L’analisi dell’impatto del REMIT e delle relative norme attuative di cui al regolamento esecutivo della Commissione Europea n. 1348/2014 (cc.dd. “Implementing Acts”) mette, tuttavia, in evidenza un aggravio operativo per i soggetti interessati dall’applicazione di tale disciplina e una serie di problemi tecnico-giuridici di assoluta novità che, ad oggi, non sembrano essere bilanciati da un accrescimento della fiducia nella integrità del mercato e della concorrenzialità dei mercati all’ingrosso.

L’adempimento degli obblighi di reporting, di fondamentale importanza per consentire ad ACER di monitorare i mercati, ha in modo prevalente assorbito l’attenzione dei soggetti coinvolti destando numerosi dubbi interpretativi in relazione alla tipologia di contratti e di informazioni oggetto di reporting e all’identificazione dei canali per poter assolvere a tale obbligo con i relativi riflessi negoziali e correlate responsabilità.

Le 20 edizioni di Q&A pubblicate da ACER (di cui 17 tra il 2015 e il 2016), una sorta di Bignami del REMIT, affrontano in larga parte dubbi inerenti alla registrazione degli operatori e al data reporting. Dalle domande poste e dalle risposte fornite è emerso come la compliance REMIT sia una faccenda veramente complessa con notevoli risvolti organizzativi e contrattuali e, inevitabilmente, economici.

Nei rapporti contrattuali tra operatori si è, per esempio, diffuso un assetto negoziale in virtù del quale nel caso di contratti di fornitura all’ingrosso di energia elettrica o gas una delle parti del contratto delega (in base all’espressa previsione contenuta in una clausola specifica del contratto di fornitura o con un atto negoziale distinto normalmente allegato al contratto di fornitura) la controparte all’adempimento del reporting ai sensi del REMIT e la parte delegata, a sua volta, sottoscrive un contratto di “data reporting” con un soggetto abilitato a svolgere tale attività (i cc.dd. “Registered Reporting Mechanisms” o “RRMs”), fermo restando l’obbligo di ciascuna delle parti di registrarsi e ottenere il proprio “ACER code”.

Attualmente esistono, al mondo, soltanto 111 soggetti abilitati da ACER a svolgere funzioni di RRMs (di cui soltanto 4 italiani) e i contratti di data reporting sulla base dei quali offrono il servizio in questione riflettono l’assetto di responsabilità declinato dall’art. 11, comma 2, degli Implementing Acts sulla base dei seguenti principi:

  • i soggetti tenuti al reporting sono “responsabili della completezza, esattezza e tempestiva trasmissione dei dati all'Agenzia e, se necessario, alle autorità nazionali di regolamentazione”;

  • se un soggetto obbligato effettua il reporting tramite terzi, esso “non è responsabile della mancata completezza, esattezza e tempestiva trasmissione dei dati che sono imputabili ai terzi. In tali casi la terza parte è responsabile di tali mancanze …”;

  • i soggetti tenuti al reportingadottano comunque misure ragionevoli per verificare la completezza, l'esattezza e la tempestività dei dati che trasmettono tramite terzi”.

Il primo principio (i.e. ciascuno è responsabile dell’attività di reporting che effettua direttamente per conto proprio) esplicita una regola di lapalissiana evidenza.

Il secondo introduce il delicato problema della limitazione di responsabilità del soggetto delegante e del delegato. Negli accordi contrattuali di data reporting esaminati tale criterio si traduce nel circoscrivere la responsabilità dell’RRM alla mera attività di “trasmissione” che dovrà essere corretta e tempestiva. Veridicità, completezza, completezza e tempestiva messa a disposizione dei dati e/o delle informazioni oggetto di reporting rientrano nell’ambito di responsabilità del soggetto delegante che comunque rimane responsabile verso ACER per l’adempimento dei propri obblighi di reporting. Mentre il delegato sarà responsabile nei confronti del delegante (e non ovviamente di ACER) per gli inadempimenti relativi alla propria attività di reporting.

Il terzo principio sembra rimettere tutto in gioco, prevedendo che il soggetto obbligato al reporting, pur delegando a terzi, rimanga onerato dell’adozione di misure “ragionevoli” di controllo sulla compliance REMIT. La “ragionevolezza” delle forme di controllo è, di fatto, lasciata alle discrezionali valutazioni delle autorità nazionali che si troveranno a decidere sull’eventuale responsabilità di un operatore che, pur avendo delegato l’attività di reporting, risulti totalmente o parzialmente inadempiente per “mancanze” imputabili all’RRM. Con tutte le immaginabili conseguenze in tema di uniforme applicazione della normativa.

Gli operatori più strutturati hanno in alcuni casi dato vita a best practices consistenti nella creazione di una cultura aziendale di “compliance REMIT”, nella identificazione dei soggetti responsabili di tale compliance e dei rischi aziendali connessi al mancato rispetto della disciplina REMIT, nonché nella definizione di linee guida e meccanismi di monitoraggio interni. Ma si tratta di soluzioni “ragionevolmente” praticabili in strutture di grandi dimensioni, già avvezze a sistemi di compliance più sofisticati, non ripetibili da parte di “market participants” di minori dimensioni (e ricordiamo che il reporting investe anche il cliente finale in alcune ipotesi).

Spostando l’attenzione dal reporting agli aspetti più sostanziali della disciplina, i dubbi interpretativi investono il delicato quesito (oggi di estrema attualità in Italia) di come e quanto il REMIT limiti l’attività di compravendita di prodotti energetici nei mercati all’ingrosso.

La stessa Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico ha dato segnali di indecisione circa la configurabilità di un “REMIT case” in relazione al noto fenomeno degli sbilanciamenti volontari nel settore. La delibera 342/2016/E/eel, che ha disposto l’avvio di un procedimento nei confronti di molteplici utenti del dispacciamento in relazione a talune strategie di programmazione asseritamente non diligenti, nel folto carnet dei possibili provvedimenti conclusivi prospettati (provvedimenti prescrittivi, misure di regolazione asimmetrica e provvedimenti sanzionatori) ha fatto riferimento ad un ipotetico avvio di procedimento REMIT ritenendo tali strategie “potenzialmente configurabili come manipolazione del mercato, ai sensi dell’articolo 5 del REMIT” (e, pertanto, informando l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER), ai sensi dell’articolo 16, comma 2, del REMIT), con tutte le conseguenze in termini di poteri ispettivi rinforzati dell’Autorità ex legge n. 161/2014 e possibili risvolti penali.

Nei provvedimenti conclusivi del procedimento avviato con la sopracitata deliberazione 342/2016/E/eel (vedi, inter alia, delibera 75/2017/E/eel e delibere 99-107/2017/E/eel), l’Autorità ha poi escluso l’avvio di un procedimento REMIT, placidamente affermando che le condotte di programmazione non diligenti messe in atto dagli operatori non risultano, singolarmente, aver alterato i prezzi di mercato, pur avendo influito sulla determinazione degli oneri di dispacciamento trasferiti al clientela finale.

Caso chiuso, o meglio mai iniziato. Fermo restando che ACER, notiziata della ipotetica manipolazione ma, a quanto risulta, mai pronunciatasi al riguardo, teoricamente potrebbe non fermarsi qui. Ai sensi dell’art. 16, comma 4 del REMIT, ACER, infatti, qualora, anche sulla base di prime analisi o valutazioni, sospetti che si sia verificata una violazione del REMIT potrebbe chiedere all’Autorità di fornire tutte le informazioni relative alla violazione sospettata e l’avvio di un’indagine.

Il sacrosanto, ma sempre più bistrattato, “affidamento degli operatori” che hanno ricevuto il provvedimento conclusivo contenente un’espressa esclusione della sussistenza di una violazione del REMIT (la deliberazione 342/2016/E/eel, appunto), potrebbe non essere sufficiente ad escludere un avvio su richiesta di ACER visto che, ai sensi del REMIT (art. 16, comma 5), un’autorità nazionale può rifiutarsi di avviare un’indagine su richiesta di ACER soltanto qualora:

  1. l’avvio potrebbe arrecare pregiudizio alla sovranità o alla sicurezza dello Stato membro destinatario della richiesta;

  2. sia già stato avviato un procedimento giudiziario per gli stessi atti e contro le stesse persone dinanzi alle autorità di tale Stato membro; o

  3. nello Stato membro destinatario della richiesta sia già stata pronunciata una sentenza definitiva a carico delle predette persone per le stesse azioni.

Ipotesi non ricorrenti nel caso di specie, in quanto la pendenza del procedimento giudiziario di cui alla lettera b) sembra essere riferita ad un’iniziativa giudiziaria di tipo penale avviata contro gli operatori coinvolti e pertanto non riconducibile ai numerosi ricorsi che sono e saranno proposti innanzi al TAR Lombardia contro i provvedimenti conclusivi del procedimento avviato con la delibera 342/2016/E/eel.

In conclusione, le precedenti riflessioni evidenziano come la disciplina del REMIT, con la numerosità e complessità degli adempimenti connessi alla compliance imposta e la rischiosa governance multi-livello (ACER-Autorità) che la caratterizza, abbia un impatto inatteso sull’ordinaria operatività dei soggetti coinvolti. Impatto che si è già tradotto in costi e rischi operativi non indifferenti che potrebbero, in modo controproducente e in contrasto con le finalità del REMIT, riverberarsi sui prezzi praticati ai clienti finali ad oggi ignari, sebbene in linea di principio beneficiari ultimi della normativa in esame.

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