Abuso del diritto ed elusione fiscale (parte II) (di Niccolò Rovai)
Come avevamo auspicato (in "Abuso del diritto ed elusione fiscale, su questa Rivista, consultabile qui), l’intervento del Legislatore in materia di imposta di registro era davvero necessario per fare un po’ di chiarezza in un contesto normativo, quello fiscale, pieno di lacune e incertezze.
Il problema, annoso, da cui prendevamo le mosse era la qualificazione giuridica del principio dell’abuso del diritto, un principio generale del nostro ordinamento, ma con risvolti applicativi e interpretativi ancora piuttosto indefiniti.
Per molto tempo la giurisprudenza ha interpretato l’art. 20 T.U.R come clausola generale anti elusiva. Si trattava di una norma di “qualificazione” degli assetti negoziali predisposti dalle parti. Con alcune sentenze recenti la Cassazione ha invece ritenuto che la norma avesse carattere interpretativo delle disposizioni in materia di elusione fiscale, estendendo il principio di abuso del diritto in materia di elusione fiscale (principio poi scolpito dall’art. 10- bis della l.n.212/2000, c.d. Statuto dei diritti del contribuente, introdotto dal d.lgs. n. 128/2015), anche all’imposta di registro (Cassazione n. 228/2016). Il classico caso era quello del conferimento di ramo di azienda con successivo trasferimento di quote che veniva tassato come cessione di azienda, applicando l’imposta prevista per quest’ultimo atto.
In tale contesto, gli Uffici tributari – con l’avallo della giurisprudenza di merito – erano soliti riqualificare gli atti soggetti alla registrazione in base agli effetti economici complessivamente raggiunti, anche attraverso più atti collegati. Il risultato è stato un sistema impositivo del tutto improntato alla libera valutazione degli Uffici che hanno fatto letteralmente “il bello e il cattivo tempo”, con non poche oscillazioni e, quindi, producendo incertezza.
L’art. 1, comma 87 della l. n. 205/2017 ha modificato gli artt. 20 e 53-bis del D.P.R. n. 131/1986, introducendo semplici regole che - si spera - possano rendere più agevole il compito sia dell’amministrazione finanziaria che del contribuente nell’adempiere ai propri doveri fiscali. In seguito alla modifica, l’art. 20 del DPR n. 131/1986 prevede che “L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti a esso collegati…”. La norma introduce, quindi, dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie.
In materia d’imposta di registro, più specificatamente, la novella afferma un doppio principio: 1) il carattere non elusivo dell’art. 20 T.U.R, utilizzato solo ai fini dell’interpretazione dell’atto in sede di registrazione, superando così la “teoria degli atti collegati”, secondo cui l’imposta di registro viene calcolata non solo in base all’atto presentato alla registrazione, ma anche in funzione degli atti a esso collegati (il che portava, come sopra detto, l’amministrazione a riqualificare l’atto soggetto a registrazione); 2) la separata applicazione della disciplina dell’abuso del diritto: sicché si supera l’interpretazione che rendeva non opponibili al Fisco le operazioni disciplinate sia dall’atto registrato sia eventualmente da altri negozi, i quali siano privi della connotazione della “sostanza economica” diversa dal mero riferimento al c.d. vantaggio fiscale. Così facendo il Legislatore ha sancito che l’imposta di registro è “un’imposta d’atto”, per cui le operazioni da tassare sono solo quelle contenute negli atti presentati alla registrazione. L’indirizzo giurisprudenziale, ormai consolidato, è stato quindi scardinato dalla nuova disciplina normativa la quale mira a rendere certo il confine impositivo e lo identifica nell’“effetto giuridico”, e non più economico (come sembra aver concluso Cassazione n. 2054/2017, per cui l’Amministrazione finanziaria non deve “ricercare un presunto effetto economico” dell’atto).
L’amministrazione finanziaria avrà dunque, d’ora in poi, l’obbligo di valutare e valorizzare solo gli effetti giuridici di un atto e non i risultati economici ad esso collegati. È in questo contesto che la modifica dell’art. 53- bis prende forma. Le attribuzioni e i poteri dell’amministrazione finanziaria, in materia di abuso del diritto, possono essere esercitati anche ai fini dell’imposta di registro, nonché delle imposte ipotecaria e catastale. Pertanto, qualora l’operazione posta in essere dal contribuente sia priva di sostanza economica e realizzi un vantaggio fiscale indebito, l’amministrazione potrà contestarla per abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis L. 212/2000.
Se, da un lato, la norma (art. 1, comma 87, l. n. 205/2017) compie un salto in avanti rispetto al passato, dando un segnale di innovazione; dall’altro sembra rimanere incerto il regime degli effetti. La Cassazione si è espressa recentemente con la sentenza n. 2007/2018 sancendo la irretroattività della norma in questione, sul presupposto che non si tratti di norma interpretativa ma innovativa; pertanto gli atti antecedenti alla riforma sarebbero assoggettati a imposta di registro secondo la disciplina del vecchio art. 20 DPR 131/1986. Il Legislatore, però, non si è ancora espresso sulla retroattività o meno della norma: problema, come s’intuisce, di non poco conto in quanto la retroattività renderebbe la nuova disciplina applicabile a tutti quei casi “passati” nei quali si sarebbe mal applicato l’art. 20. In tal caso, l’amministrazione finanziaria dovrebbe compiere un’opera di revisione generale di tutti gli atti soggetti a registrazione che hanno avuto un trattamento “di favore” rispetto a quelli che invece verranno registrati dall’entrata in vigore della nuova norma.
È vero che l’opera di revisione assumerebbe proporzioni non indifferenti, ma è altrettanto vero che un ricalcolo delle imposte dovute in base alle nuove norme contribuirebbe al recupero di una serie di cespiti utili anche, tramite il reimpiego, al finanziamento di opere di innovazione fiscale.